L’Opera al Verdi di Pisa: Don Pasquale, 03/12/2022

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Il sipario che ci accoglie a teatro.
Credits: FB – Fondazione Teatro Verdi di Pisa

Sono le tre e un quarto del pomeriggio. Non appena entrati a teatro, prima di cercare la nostra poltroncina, siamo accolti da un sipario chiuso. Non è però il sipario muto e di stoffa pesante che prelude generalmente all’inizio della recita. Assomiglia piuttosto alla copertina di un film e proprio come tale ci presenta l’opera. Don Pasquale, a buffi caratteri cubitali, rimane impresso di fronte ai nostri occhi: se immaginiamo il cartello seguito da generici titoli di testa, allora potrebbe ben aprire una pellicola di Totò e Peppino.


Ahò, Dottò… Ahò, Don Pasqua’!

(così si salutano complici Malatesta e Don Pasquale, sul punto di smascherare l’appuntamento amoroso del terzo atto)

Don Pasquale ha la fortuna, come molte opere buffe, di non essere troppo dipendente dal periodo storico in cui è ambientata la storia. La trama stracolma di momenti patetici e buffonerie potrebbe funzionare con uno sfondo qualsiasi, a patto però che venga mantenuto proprio lo spirito ambiguo della commedia. 
Non sembra dunque sbagliata la via intrapresa della nuova produzione Teatro di Pisa, già allestita dal Teatro Comunale di Bologna nel 2004.

Il finale del primo atto nel precedente allestimento bolognese.
Credits: Teatro Comunale di Bologna

Roma rimane la stessa ma cambia il tempo. La scena si finge a cavallo tra gli anni ‘50 e ‘60, con riferimenti espliciti, sebbene generici, alla cultura del tempo. Si tratta però di un’ambientazione surreale, cartoonesca, lepida: non c’è spazio per riflessioni storiche o retropensieri e tutto scorre fluido. 

Così verso il finale del primo atto (Pronta sono!) Norina e Malatesta sfrecciano verso il finto matrimonio su una vespa gialla. Lo sfondo non è unico, ma composto da pannelli verticali mobili che, in questo caso, portano in scena vari monumenti e panorami dell’Urbe. Vacanze romane: un mimo – vero e proprio quinto personaggio, trasformista ed onnipresente, che ci accompagnerà per la maggior parte della narrazione – fa da vigile urbano e spunta persino un semaforo che, quand’è rosso, sorprende la sciagurata coppia con una multa.

Don Pasquale canta Un foco insolito mi sento addosso arrampicandosi sul gigantesco cartonato che ricorda un’Anita Ekberg in atteggiamento ammiccante. Certo è la sublimazione di un desiderio da parte del vecchio che non nasce solo dalla sposina in pectore ma da qualsiasi donna ben disposta, a maggior ragione se rappresentata dall’icona stessa del bel vivere e del bel sperare quale la diva de La dolce vita.

Ancora. Ernesto ha asserito di voler lasciare Roma e l’Europa per la cocente delusione d’amore: quale luogo più lontano da Norina e Malatesta può trovare se non lo spazio profondo? Durante la scena del matrimonio l’amante scornato compare in tuta da cosmonauta sovietico e con lui, sullo sfondo, ecco un grande razzo lunare. Rivedremo questo razzo, evidentemente privo di pilota, orbitare attorno alla luna cartoon che domina la scena del boschetto.

Nel primo atto Norina siede dal coiffeur: non legge storie cavalleresche, ma l’ultimo fotoromanzo alla moda. I piani ideati rispettivamente da Malatesta e Don Pasquale per sventare l’incontro amoroso tra moglie di quest’ultimo ed il cosiddetto drudo viene esposto in pannelli di strisce fumettistiche.

Dimenticavo: il notaio è Groucho Marx.

Regia e scene

La commedia funziona. Di questo sono testimoni le risate del pubblico, che non mancano così come non mancano applausi a scena aperta. Non mancano nemmeno, ma senza strafare, aggiunte ad lib degli attori, che conferiscono un tocco di pepe a scambi già sapientemente orchestrati. Le scene risultano estremamente dinamiche senza diventare confuse, in particolar modo per quanto riguarda le coreografie del coro che coinvolgono numerosi elementi. 

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Terenzi, Govi, Verzier e Cortés sul finale del secondo atto.
Credits: FB – Fondazione Teatro Verdi di Pisa

Lo stile è ben definito e coerente in ogni aspetto. Dalla cura della recitazione ai costumi vignettistici ma ben studiati, senza dimenticare i disegni dei pannelli e grandi elementi mobili ritagliati dalla stessa mano – la Ekberg di cui sopra, elettrodomestici, la cornice televisiva che permette di visualizzare il racconto del coro – non c’è niente che strida. Molto simpatica anche la soluzione per rappresentare lo stravolgimento che la giovane sposa porta in casa a Don Pasquale: le pareti dell’appartamento romano sfoggiano due mezzobusto incorniciati. Ricordano vecchie fotografie di nonni e, non appena passa il terremoto Norina, sono sostituiti da due ritratti cubisti

Meno bene per il vero e proprio fondale statico, illuminato di un colore solo, dietro ai pannelli. Quando questo colore è il verde – acceso, monotono – sembra un green screen che si sia dimenticato di sostituire in fase di postproduzione.

La regia è di Gianni Marras; scene e costumi di Davide Amadei.

Interpreti, direzione, coro ed orchestra

Passando alla vera carne dello spettacolo, e cioè alla parte musicale, le considerazioni generali non possono che esprimere soddisfazione. Il cast è di livello abbastanza omogeneo e la direzione sceglie un passo rilassato senza essere per questo rallentato, che si flette bene a seconda della necessità di una scena brillante o patetica.

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I ringraziamenti alla prima recita di venerdì 2.
Credits: FB – Fondazione Teatro Verdi di Pisa

Michele Govi come Don Pasquale ha timbro timbro caldo e autorevole, capace di agilità libere, puntuali e fresche a discapito del personaggio. Si cala bene nei panni del vecchio di buon cuore e la recitazione comica risulta coinvolgente, sebbene talvolta distragga lo spettatore a scapito dell’ascolto. Per la maggior parte della recita riempie il teatro. Il volume purtroppo non è però sempre omogeneo sulle note gravi. Splendido momento patetico su È finita, Don Pasquale.

Considerazioni simili sembrano adatte anche alla prova di Daniele Terenzi nel ruolo del Dottor Malatesta. La voce è generalmente precisa e molto convincente, spesso brillante, leggermente appiattita nel registro acuto. Il timbro è bello e corposo. Terenzi porta un personaggio caratterizzato a tutto tondo, genuino motore della narrazione, ed esprime fortissima complicità con Verzier.

Elisa Verzier è la vera stella della serata. Costante, brillantissima, sempre perfettamente posizionata, fa sfoggio di acuti pieni e sonori così come di una completa conoscenza del personaggio di Norina. La sua prova è stata giustamente elogiata dalle esclamazioni a scena aperta e dai copiosi applausi finali. Verzier riempie tutta la scena con la sua bella presenza ed una voce ancora migliore.

Fa bene ma non trionfa l’Ernesto interpretato da César Cortés. La voce è piacevole e ha sapore lirico adatto alle richieste del personaggio. Il suo è un giovane innamorato credibile, più vicino all’eroe romantico che al Lindoro di rossiniana memoria. La voce suona a momenti trattenuta, come per assicurarne la rotondità. Peccato per l’acuto finale di Cercherò lontana terra, del tutto redento però dall’accattivante esecuzione – vocale e attoriale – di Com’è gentil… Tornami a dir che m’ami

Una nota del tutto personale: il Groucho Marx notaio di Tommaso Tomboloni, efficacissimo, mi ha strappato risate sincere.

Menzione d’onore al mimo-factotum Daniele Palumbo la cui bravura ha minacciato più volte di rubare la scena ai pur ottimi attori.

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Uno dei momenti di coreografia del coro.
Credits: Teatro Comunale di Bologna

Il direttore d’orchestra e maestro concertatore Carmine Pinto sceglie di esasperare la vena romantica della composizione. La direzione dona un bel passo agile all’altrettanto equilibrata partitura. L’orchestra Arché riesce particolarmente efficace nei momenti più spiccatamente patetici, come nei soli di violoncello e trombe rispettivamente nell’ouverture e nell’apertura del secondo atto. Sempre nell’ouverture un rubato molto marcato dona grande sentimentalità ma confonde appena l’esposizione dei temi. Non è mai compromessa la godibilità dell’ascolto complessivo.

Il coro Arché è svelto, coordinato e leggero. Risponde con brillante prontezza allo sforzo musicale così come alla coreografia che nel terzo atto lo trasforma in un protagonista collettivo, del tutto comprimario ai principali durante la serenata di Ernesto. Insomma è un organismo unico che, oltre a cantare ottimamente, recita pure bene.

L’avventura del Don Pasquale al Verdi di Pisa si chiude così in bellezza. Torneremo a teatro a gennaio con la Manon Lescaut diretta da Marco Guidarini.


DON PASQUALE

Opera buffa in tre atti su libretto di Giovanni Ruffini e Gaetano Donizetti
Musica di Gaetano Donizetti

Maestro Concertatore e Direttore: Carmine Pinto
Regia: Gianni Marras
Scene e costumi: Davide Amadei
Luci. Michele Della Mea
Maestro del Coro: Marco Bargagna

Personaggi e interpreti

Don Pasquale: Michele Govi
Il Dottor Malatesta: Daniele Terenzi
Ernesto: César Cortés
Norina: Elisa Verzier
Il notaro: Tommaso Tomboloni
Mimo: Daniele Palumbo

Coro e Orchestra Arché

Nuova Produzione Teatro di Pisa
Allestimento del Teatro Comunale di Bologna


lucrezia ignone

Autore: Lucrezia Ignone

Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog personale e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. Sono una nuova aggiunta a Radio Eco dove mi occuperò principalmente di Opera e della stagione lirica al Teatro Verdi di Pisa.

Mi trovi su @ffffoco. Per contatti: lucrezia.ignone@gmail.com

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