L’Amica Geniale: come la società condiziona l’individuo

l'amica geniale

Il 10 febbraio è approdato sul piccolo schermo il secondo capitolo de L’Amica Geniale: Storia del nuovo cognome, tratto dall’omonimo romanzo di Elena Ferrante

È una stagione che aspettavo con particolare ansia, perché Storia del nuovo cognome è probabilmente il mio preferito della tetralogia. Forse perché lo lessi all’Elba, dopo il test d’ammissione e prima che iniziassero le lezioni. Risiedevo in una zona temporale grigia, in cui avevo finito il liceo ma non ancora iniziato l’università, e un posto estraneo, circondata da mare e case bianche. Ero senza bordi, ma non sapevo come dirlo finché non lessi la Ferrante e mi sentii in bocca il suo lessico. 

Guardavo le persone sdraiate sulla sabbia, i bambini che schiamazzavano, gli ombrelloni, e sentivo di vedere con i suoi occhi, di pensare con la sua voce. Le sue parole erano per me quello che per Lenù erano le parole di Lila: sortilegi in grado di riportare la realtà e contemporaneamente imprimerle più forza.

La scrittura della Ferrante ha davvero una qualità quasi stregata, perché se ti prende non ti molla più. Più volte mi sono sentita inasprire perché influenzata da passaggi in cui Lenù, la voce narrante, era appestata da cattivi sentimenti, o Lila sembrava sprigionare quella forza maligna da cui l’amica è sia attratta che repulsa. Se Lenù provava fastidio, io diventavo astiosa. Se provava dolore sentivo un male diffuso. Se si sentiva vittoriosa, io mi inebriavo di rivalsa. E ogni volta non durava mai, perché Lila compariva sempre a sparigliare le carte, e ci lasciava entrambe confuse e ammirate.

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Lenù (Margherita Mazzucco) e Lila (Gaia Girace)/ Eduardo Castaldo/ HBO, Rai

La storia di Lila e Lenù inizia nella Napoli di fine anni ’50. La prima è spigolosa, impulsiva, incontentabile; la seconda ne è stregata e ne dipende come il pesce pagliaccio dipende dall’anemone: l’una lo protegge, l’altro la tiene in ordine. 

La tetralogia segue il dipanarsi delle loro vite e il modo in cui il loro rapporto si aggroviglia e distende incessantemente negli anni. A tratti ti chiedi se siano veramente amiche: Lenù stessa se lo chiede, assediata da dubbi, fraintendimenti, vere e proprie cattiverie. Non sanno bene perché si scelgano da bambine né cosa le tenga unite da adulte, eppure non riescono mai veramente a lasciarsi. Vorticano l’una intorno all’altra come satelliti che a volte si scontrano e si allontanano, ma sono sempre inevitabilmente vinte dalla reciproca gravità. 

Oscillano tra invidia e orgoglio, disprezzo e amore, dolcezza e violenza. Ed è questa incostanza, questa precarietà che rende il loro rapporto autentico al limite del tollerabile. 

Un’amicizia femminile del genere nella letteratura italiana non c’era mai stata. A dirla tutta, una tradizione letteraria legata all’amicizia femminile, in Italia, non esisteva proprio. 

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Lenù e Lila adolescenti/ Eduardo Castaldo/ HBO, Rai

La Ferrante scrive per ritrarre i rapporti e sentimenti umani nel loro disordine. Ma è subito chiaro, dalla descrizione del rione, dal suo isolamento, nella testa di Lila e Lenù, dal resto di Napoli, che questo non solo non possa prescindere dal contesto storico e sociale in cui la storia si svolge, ma ne dipende quasi interamente. 

(Attenzione: spoiler a seguire.)

È il boom economico che porta i fratelli Solara, i padroni del rione, ad aprire il negozio in Piazza Martiri con la foto di Lila in vetrina; sono le proteste degli anni ’60 a formare la coscienza di Lenù, e soprattutto è la nascita nel rione, nel quartiere più povero di Napoli, nella classe sociale più bassa della piramide, che determina la vita delle protagoniste, in un modo o nell’altro. 

Lila è un genio, eppure quella che va a studiare alla Normale a Pisa è Lenù. È lei a laurearsi, a scrivere libri, a condurre la vita di donna borghese intellettuale ed economicamente benestante che sognavano da piccole. È lei e non Lila semplicemente perché a Lenù il padre permise di continuare a studiare: mentre quello di Lila, alla stessa richiesta, la lanciò fuori dalla finestra. Perché era fimmena e doveva aiutare in casa e non parlargli così.

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Lila (Ludovica Nasti) e Lenù (Elisa del Genio) alle elementari/ HBO, Rai

L’istruzione rappresenta per Lila e Lenù l’unico possibile rimedio alla violenza. È lo studio che permette a Lenù di fuggire dal rione, ed è la miseria del rione ad alimentare la violenza in cui macera Lila. Violenza che permea ogni cosa e persona, che si esprime in strada con pestaggi e polvere da sparo, in casa con schiaffi e urla in dialetto, e che con le fimmene è particolarmente insidiosa, perché mariti, padri, fratelli la sanno sempre più lunga, e se ti devono educare con le cattive lo faranno, e tu potrai solo subire.

Vedere lo stupro di Lila da parte del marito la prima notte di nozze sullo schermo mi ha fatto sentire vulnerabile. Ma la sequenza che più mi ha spaventato e fatto male, come donna nel 2020, è stata quella successiva, in cui Stefano, Rino e Fernando, rispettivamente marito, fratello e padre di Lila, le spiegano, tra nuvole di fumo, perché non avrebbe dovuto fare tanto rumore per una storiella insignificante, ed improvvisamente tra loro non c’è nessuna differenza. Ci sono la madre, la suocera, tutto il resto della famiglia, e nessuno, nessuno fa cenno di notare i lividi sul suo viso, se non alla fine, per consigliarle di essere più attenta sugli scogli: è facile cadere. 

«A me l’idea di rimanere incinta mi fa schifo» sputa Lila in dialetto quando Lenú le suggerisce di ammorbidirsi con Stefano, e il rifiuto è anche quello di contribuire alla brutalità della società in cui vive: di mettere al mondo un figlio violento, una figlia che subirà la violenza altrui.

Perché come nota improvvisamente Lenú, le donne del rione nel giro di pochi anni «perdono i connotati femminili a cui noi ragazze tenevamo tanto»:

Erano state mangiate dal corpo dei mariti, dei padri, dei fratelli, a cui finivano sempre più per assomigliare […]. Quando cominciava quella trasformazione? Con il lavoro domestico? Con le gravidanze? Con le mazzate?

Elena Ferrante, “L’Amica Geniale: Storia del nuovo cognome”
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Lila balla con Pasquale (Eduardo Scarpetta) nella prima stagione/ HBO, Rai

Alla fine del secondo episodio Lila guarda fisso il mare quando confessa di essere incinta. Sapeva di sconfitta e mi sono sentita stropicciare dentro. 

Ero con i miei zii quando l’ho visto. Mentre partiva la pubblicità mia zia ha piagnucolato, «Poverina, e adesso che farà?»

Mio zio ha fatto spallucce. «Beh, abortirà. Sicuramente vorrà abortire.»

Io l’ho guardato stralunata. «Ma non hai visto come tutti le letteralmente rimproverassero di non essere ancora incinta? Non solo il marito, è la chiacchiera dell’intero rione. Pensi veramente che abbia altra scelta?»

Lui ha risposto tranquillo: sì.

Potrebbe sembrare normale, addirittura giusto pensarla così: se si vuole qualcosa basta farla. Invece un’affermazione del genere nasce da una quantità indicibile di privilegio: quello della classe dominante che ignora l’esistenza dell’oppressione sociale perché è essa stessa a reprimere, crede superficialmente che i propri privilegi siano la norma, che non si tratti affatto di privilegi, e quindi, che non esistano oppressi, che non ne sia essa stessa la causa. 

Questo perché la nostra società è fatta a misura di una sola, altamente specifica categoria: maschio, bianco, cisgender, etero. E mio zio, uomo intellettuale, affatto ignorante, comunque non poteva vederlo: perché è esattamente la sua misura. Perché può accedere solo alla visione a cui lo ha improntato il suo contesto storico e sociale, ed evidentemente l’istruzione questo non ha potuto cambiarlo.

Mi sono sentita vacillare. Quante cose assurde, tossiche, mi sono chiesta, trovo normali perché condizionata dalla visione della mia famiglia, dei miei amici, del mio paese, del mio periodo storico? 

Mia zia ha sbuffato. Poi, rivolta a mio zio, ha aggiunto, ad occhi bassi: non hai capito niente. 

Autrice: Alison Haughton

Alison studia Scienze Biologiche all’Università di Pisa e non le dà fastidio se pronunci male il suo nome, ha un quadernino su cui si annota le versioni migliori dal 2005. Fa parte di RadioEco dal 2019.

Altre riflessioni su cultura pop e società della stessa autrice: La fantastica signora Maisel e il “problema” della femminilità

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