Toy Story 4 non è un semplice cartone animato. Toy Story 4 è un capitolo essenziale nella nostra fase di crescita e Woody il portavoce della nostra infanzia trasformata in età adulta. Qui la recensione del nuovo film Diney Pixar, al cinema dal 26 giugno.
Si può migliorare qualcosa che è già perfetto? È con questo dubbio amletico che lo spettatore cresciuto con la saga di Toy Story si appresta a entrare in sala. Il terzo episodio, uscito nelle sale nel 2010, era pura perfezione sotto forma di 3D. Un degno commiato per una trilogia che tanto ha dato a quel fanciullino alimentato dalla visione delle opere Pixar. “Sarà una buona idea questo quarto episodio? E se rovinano tutto?”: sempre più insistenti queste voci riempono la nostra mente per poi essere taciute da un mare di lacrime che a fine film bagna via ogni dubbio.
Sì, Toy Story 4 era necessario. Il nostro pregiudizio e il nostro timore, oltre che nascere da un dubbio sincero, vede la sua origine dal fatto che assistendo a questo quarto capitolo, il più maturo, ci rendiamo davvero conto di essere diventati grandi. Woody è il nostro surrogato animato; in questo giocattolo ritroviamo nel primo episodio l’indole gelosa che ci attanagliava da piccoli se mamma, papà o altri amici riversavano le proprie attenzioni verso altri coetanei (proprio come accade con Woody e Buzz Lightyear), mentre in quest’ultima versione il cowboy simboleggia il senso di responsabilità e protezione che ci assale nei confronti di chi amiamo davvero. Sin dalla sua prima uscita nelle sale (1995) Toy Story ha seguito ogni fase della nostra crescita, un privilegio che pochi altri cartoni possono vantare. Woody è così diventato grande, proprio come noi. Una parabola di crescita da ritrovarsi anche nella resa visiva dell’opera che agli ambienti intimi, privati di casa di Andy e dintorni, lascia spazio a luna park, negozi di antiquariato portati sullo schermo con scenari da noir classico e a tratti horror (vedi i riferimenti a bambole assassine e ventriloqui spaventosi).
Un dialogo metacinematografico e intertestuale intessuto con molti dei generi che hanno fatto grande il cinema hollywoodiano e della stessa Pixar (in un’inquadratura compare perfino il giocattolo musicista del corto Tin Toy, antesignano di Toy Story) qui perfettamente ricreato da ogni comparto di lavorazione: la fotografia ora accesa e brillante, adesso ricca di ombre allungate e anticipatrici di oscuri presagi; la musica di Randy Newman capace di adattarsi a ogni umore dominante sullo schermo enfatizzandolo in maniera armoniosa ed empatica; l’animazione curata in ogni minimo dettaglio e per questo capace di rendere visibile lo scorrere del tempo (da notare i vestiti consumati di Woody e Jess e le ammaccature di Buzz e Bo Peep); il doppiaggio italiano il quale, sebbene terribilmente orfano della voce insostituibile di Fabrizio Frizzi (ad Angelo Maggi va comunque il nostro applauso) risulta vincente e coinvolgente (Corrado Guzzanti come Duke Caboom è esilarante).
Toy Story 4 è un film d’animazione talmente curato tanto da essere al passo coi tempi, rivelando una sensibilità mai retorica verso l’universo dell’emancipazione femminile e della parità dei sessi. La sua sceneggiatura non si limita a mostrare “la quota rosa” dei giocattoli come pure donzelle in difficoltà, o semplici spalle, ma affida alla bambola Gaby Gaby e Bo Peep due ruoli chiavi – e apparentemente opposti – all’interno della storia senza i quali l’intreccio sarebbe risultato piatto e monotono. Unico neo l’aver accantonato in corso d’opera l’interesse per Forky. Questo nuovo personaggio è la miccia che accende il fuoco, il punto di partenza di questa nuova avventura.
Una forchetta, un utensile destinato alla spazzatura: ecco in cosa consiste il potere emozionale della Disney Pixar, un’azienda capace di far commuovere il proprio pubblico con una forchetta. In Forky si annida inoltre una nuova questione etica ed esistenziale nel mondo dei giocattoli: esiste amore al di fuori della cameretta di un bambino? Uno spunto di riflessione che stacca il cordone ombelicale che teneva uniti i giocattoli prima ad Andy e poi a Bonnie, emancipandoli. E ancora una volta dietro a questo punto di svolta non può che ritrovarsi lo specchio della nostra crescita: come Woody & co. anche noi siamo chiamati a staccare quel filo che ci lega a casa per diventare grandi ed essere giocattoli smarriti nel mondo in un’avventura orientata verso “l’infinito e oltre”.
Voto: 9-
Elisa Torsiello per Radioeco