Non ci resta che il crimine: recensione e intervista a Massimiliano Bruno

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Al Cinema Arsenale non c’è stato spazio nè per il crimine, nè per piangere. Quando sul palco compare Massimiliano Bruno sai che su quelle poltrone finirai a ridere a crepapelle. Qui la nostra recensione del suo ultimo film, Non ci resta che il crimine, e l’intervista rilasciataci poco prima di salire sul palco.

Non ci resta che il crimine

È una Fiat 500 che arranca un pochino il nuovo film di Massimiliano Bruno Non ci resta che il crimine, ma una volta trovato il giusto ritmo e ingranata la giusta marcia eccola marciare con sicurezza sulla strada del caustico umorismo. Quella di Bruno non è solo una macchina del divertimento, ma anche del tempo; una Delorean invisibile che, non si sa come, o perché, catapulta i propri protagonisti (Marco Giallini, Gianmarco Tognazzi e Alessandro Gassmann) nella mala romana del 1982. Un po’ come accaduto a Roberto Benigni e Massimo Troisi in un altro “Non ci resta” (in quel caso “che piangere”) i tre acciaccati personaggi devono farsi largo tra minacce, omicidi e scommesse illegali messe a punto da Renatino e la sua Banda della Magliana. A complicare il tutto c’è poi la prorompente Sabrina (un’esplosiva Ilenia Pastorelli) amante di Renatino e sogno proibito del timido e fedele Sebastiano.

Pochi autori sanno raccontare la Roma terrena, quella vera, fatta di core e anima con sentimento e pathos come Massimiliano Bruno. Dai lavoratori precari di Gli ultimi saranno gli ultimi, ai ricchi divenuti poveri di Nessuno mi può giudicare, il regista pone davanti alla sua macchina da presa una storia dal sapore nostalgico, figlia di quel revival anni Ottanta così tanto portato in scena negli ultimi anni. Alle biciclette di Stranger Things, o a quelle di I.T. Bruno riscopre sia quell’Italia unita davanti alla TV ai mondiali del 1982, che quella impaurita, ingabbiata nel terrore degli anni di Piombo e della criminalità organizzata. A unire i tre protagonisti, Giuseppe (Tognazzi), Moreno (Giallini) e Sebastiano (Gassmann) è un’indole fanciullesca, di uomini ingabbiati nel ricordo di un passato andato. La voglia di racimolare qualche spicciolo in più organizzando un tour per i luoghi simbolo della Banda della Magliana è un’ulteriore conferma di quanto forte sia il legame con il loro passato, e quanto effimero sia il sentimento di rivalsa e soddisfazione personale a riempire il loro presente.

Tornare indietro, in quegli anni che si credevano persi è un po’ una rivincita per loro. Paradossalmente è proprio grazie a Renatino (un Edoardo Leo in grande spolvero) se si pone a compimento il loro arco di trasformazione interiore. Un cambiamento che infonde in ognuno di questi personaggi il coraggio necessario per superare le proprie ataviche paure ed esorcizzare quello spettro infantile che li bloccava rendendoli particolarmente insicuri. Per quanto immortali e riflettenti i ricordi più belli della loro vita, i vecchi motorini come il Boxer, i ghiaccioli tricolore, o le figurine di Paolo Rossi e di Figueroa devono lasciare ben presto spazio alla vera tragedia: crescere e diventare grandi.

L’intero comparto visivo è strutturato su un recupero di tecniche registiche e stilemi tipici non solo dei film anni Ottanta (in particolare quelli con protagonisti Tomas Millian), ma anche dei serial polizieschi un po’ “caciaroni” che impazzavano sui piccoli schermi in quegli anni. A dare il ritmo all’opera sono split-screen, maschere e fotografie dai colori accesi, al limite tra disco dance e commedie sexy, che fanno di Non ci resta che il crimine non una semplice commedia, ma l’ultimo degli innumerevoli tentativi compiuti dai registi italiani di ripristinare il gusto del genere. Sebbene non scevro di momenti naif e pretesti artificiosi, Non ci resta che il crimine si fa guardare con spensieratezza e simpatia; una girandola di personaggi stralunati volutamente non indagati psicologicamente e lasciati semi-tratteggiati, in cui anche il villain di turno, come Renatino, non riesce a farsi odiare del tutto per quella aura parodistica di criminale strafottente e bonaccione.

In un periodo di buio l’Italia ha bisogno di ridere e di prendersi in giro, magari ironizzando su momenti e personalità che quell’ombra avevano già tentato di lasciare in passato. Non sarà il ritorno della commedia all’italiana, ma sicuramente un barlume di speranza dopo cadute di stile in questo genere Non ci resta che il crimine lo è.


Voto: 7-

Qui di seguito l’intervista a Massimiliano Bruno rilasciataci il 26 febbraio al cinema Arsenale di Pisa

Elisa Torsiello per Radioeco