Il 29 gennaio è stato un giorno da incorniciare. Al cinema Arsenale di Pisa Valerio Mastandrea ha presentato il suo primo film da regista Ride. Qui la nostra recensione dell’opera e un piccolo report della serata.
“Ho fatto un film da regista a 45 anni perché non mi bastava più agire per qualcun altro; avevo bisogno di esprimermi in prima persona su questa questione, in un momento storico in cui il lavoro è diventato quasi sinonimo di condanna a morte”. Lo dice con garbo, pacatezza Valerio Mastandrea. La testa china, rivolta verso il pavimento in quell’atteggiamento tipico del suo essere timido, e così rassomigliante a un inchino riverente e sincero verso un pubblico “uscito di casa” nonostante il freddo gelido che riempie le vie cittadine di Pisa. Il suo primo film da regista, Ride, è la perfetta reduplicazione del suo autore: gentile, schietto, ironico, nonostante il tema delicato come le morti bianche. Ma anche coloro che il film lo rendono vivo, come gli attori, nascondono dietro ogni minimo gesto e microespressione facciale quel quid e quel sarcasmo sottile tipico di Mastandrea. Una recitazione, quella dell’interprete romano prestato alla regia, non “generata dall’ardere del fuoco sacro”, bensì da una necessità di placare i propri timori e colmare le proprie mancanze che si insinua brulicante tra le battute recitate con educazione e mai urlate, o tra gli occhi espressivi dell’ottima protagonista Chiara Martegiani. Quando si parla di morte, e in particolar modo di morte sul lavoro, è normale che a riempire lo schermo vi siano lacrime e grida disperate. Qui non c’è nulla di tutto questo. Caduto fatalmente in fabbrica, Mauro Secondari è l’assenza che offre a Mastandrea l’opportunità di aprire uno spiraglio sull’intimità di un dramma famigliare e, universalmente parlando, anche collettivo, perché nel mondo di oggi perfino il posto di lavoro potrebbe tramutarsi nel punto di incontro con la morte. Carolina, moglie e a suo malgrado vedova di Mauro, proprio non riesce a piangere. Vorrebbe tanto che a irrigarle la faccia vi siano quelle calde lacrime che la aiuterebbero catarticamente a sciogliere il dolore, proprio come la recitazione aiutava Mastandrea a liberarsi da pesi opprimenti. Eppure quella pioggia intrinseca al suo corpo proprio non vuole scatenarsi. Un’operazione così naturale e fisiologica e così facile negli altri, con lei si tramuta in una missione impossibile. Il pubblico assiste a questo calvario, dove la giovane si arrabbia più per una lacrima incapace di scendere, che per la morte ingiusta del proprio amato attraverso inquadrature fisse, mai invadenti, che registrano la scena come finestre aperte sul mondo di Carolina. La regia di Mastandrea lascia che siano i personaggi a muoversi, mentre lui, immobile, tenta di stare il più fermo possibile, attento a non rivelare la propria presenza con una minima parvenza di movimento. Un ribaltamento di quella spettacolarizzazione della morte messa in atto dai mass-media in cui a mancare è la morte stessa negli spazi angusti dell’appartamento di famiglia. Così come le lacrime, anche ogni ricordo visivo di Mauro manca sulla scena. Non una foto, una presenza fantasmatica, un flashback, niente in Ride rimanda all’uomo, come se quei dotti lacrimali e la figura di Mauro siano strettamente correlati, e dove manca uno, a non segnalare la propria presenza sarà anche l’altro.
La pacatezza della performance di Chiara Martegiani rivela una dignità femminile di affrontare il lutto esaltata dall’opposta reazione di coloro che, con l’intento di sollevarla, finiscono per narrare i propri dolori, inondando i fazzoletti di lacrime dal sapore egoista. Il divorzio degli amici di famiglia, il ricordo di Mauro come primo amore (e per questo molto più importante, a detta sua, di quello con Carolina), la morte del marito e la rottura del femore della vicina di casa, sono tutte gallerie di personaggi grotteschi, fuori posto, che Mastandrea ha saputo orchestrare con maestria, esaltando la purezza e nobiltà d’animo della protagonista, portavoce elegante di coloro che con coraggio restano. La morte di Mauro dà via a una gara della sofferenza in cui tutti partecipano esplicitando il proprio dolore su “chi soffre di più”. una gara alle emozioni che non pare distante da quella che più o meno inconsciamente intraprendiamo tutti i giorni sui social. Come argutamente sottolineato da Mastandrea durante il suo intervento a introduzione del film “si sta cambiando modo di sentire le cose perché sta cambiando il modo di comunicare. Non ci sentiamo a proprio agio se ci sentiamo male e per questo lontani dai canoni di perfezione imposti dai social network”. Sebbene vi siano momenti in cui la mancanza di esperienza si faccia spesso sentire, soprattutto nella costruzione dei blocchi narrativi e sul loro assemblaggio, il film scorre con eleganza e in maniera lineare. Se è pur vero che ogniqualvolta compaia in scena una pistola è giusto che spari, il fatto che questa azione venga a mancare non costituisce un problema a livello visivo, o di genere, quanto a livello logico; qui, come in altri punti, soprattutto nella seconda parte del film, molti aspetti si ritrovano sospesi, privi di una spiegazione, lasciando allo spettatore il compito di colmare queste falle di sceneggiatura. Ciononostante questo lutto bloccato, posto sull’orlo della sua esplosione e rielaborato in maniera differente da ogni personaggio, racchiude in sé un’originalità di fondo attraverso cui Mastandrea analizza, in maniera anche spensierata, il tema della morte. E così il pubblico si ritrova a ridere dinnanzi alla Signora con la falce, grazie soprattutto a un personaggio come il piccolo Bruno, che prende il funerale del padre e la possibile intervista televisiva, per un modo con cui conquistare la bambina che le piace. Proprio grazie all’ottima riuscita dell’asse narrativa di Carolina e Bruno, si fa più forte e acerbata la medesima capacità di Mastandrea di calibrare e costruire con altrettanta forza quella con protagonista Cesare, il padre di Mauro, e il fratello. Tutto nel mondo di Ride si gioca sul principio di sottrazione e proprio per questo il film di Mastandrea lascia un segno indelebile e commovente nell’animo dello spettatore, dando a ognuno di loro la possibilità di scegliere se ridere o piangere. Noi abbiamo fatto entrambe.
Voto: 7
Elisa Torsiello per Radioeco