“Io ho sempre creduto che Piero Ciampi fosse quello che valeva di più di tutti noi. Il più poeta, il più lirico, il più artista, il più folle.”
Gino Paoli
Proprio in questi giorni la città di Livorno si sta preparando per celebrare il 100° anniversario della morte di uno degli artisti più importanti a cui abbia dato i natali, ovvero Amedeo Modigliani. Un pittore di fine ‘800 che, scegliendo di spostarsi a Parigi per vivere appieno il fermento artistico che all’epoca animava la città, è divenuto uno degli artisti più importanti al mondo. Appena cinque giorni prima ricorrerà però un altro anniversario per la città, forse meno atteso e discusso, ma non per questo meno importante: La morte di Piero Ciampi.
Un uomo molto simile sotto vari aspetti al noto Modigliani, che ironicamente nacque proprio nella casa di fronte a quella dove molti anni prima era nato il celebre pittore.
L’intenzione di questo articolo è ricordare a quarant’anni dalla morte un artista che a suo tempo seppe imporsi per la sua poetica, per la sua visione della vita, romantica e al tempo stesso scanzonata, ma che oggi non molti ricordano.
Chi era Piero Ciampi?
Livornese, classe 1934, Ciampi è stato uno dei cantautori più importanti del ‘900 italiano, fra alti e bassi, periodi alterni di notorietà, rocambolesche esibizioni dal vivo e vagabondaggi improvvisati. Se si pensa alla figura-stereotipo del “cantautore maledetto”, dalla personalità problematica e complessa, è difficile non operare un paragone con Piero Ciampi.
I suoi testi, malinconiche poesie sulla solitudine, sui disagi esistenziali, sui suoi amori e amicizie, sono un perfetto riflesso delle sue travagliate vicende di vita, sia personali che professionali, che lo portarono ad essere a un tempo uno degli autori più omaggiati e apprezzati della sua epoca, all’altro uno dei più controversi.
Il suo talento è infatti sempre andato a braccetto con un carattere notoriamente difficile, dovuto tanto alla sua intrinseca personalità quanto all’innata insofferenza nei confronti delle logiche di mercato del mondo musicale e discografico. Sicuramente il suo noto rapporto con la bottiglia, del quale egli stesso parlerà nelle sue canzoni, non aiutava:
“Ha tutte le carte in regola
(dal brano “Ha tutte le carte in regola”).
Per essere un artista.
Ha un carattere melanconico,
Beve come un irlandese.
Se incontra un disperato
Non chiede spiegazioni.”

La giovinezza e le prime esperienze musicali
Il soprannome “l’italianò”, alla francese, Piero se lo guadagnò a Parigi, dove si recò (come a suo tempo fece anche Amedeo) per cercare un ambiente nuovo, viste le poche soddisfazioni che all’epoca gli regalava la scena toscana. Lì si esibiva per pochi spiccioli nei locali della città, cantando le sue poesie con il sostegno di un accompagnamento musicale essenziale ma ricco di emotività.
L’esperienza musicale tuttavia inizia nella sua Livorno, dove negli anni ’50 forma un trio insieme ai fratelli Paolo e Roberto, nel quale ricopre il ruolo di cantante. Fondamentale sarà l’incontro, durante il periodo di leva svolto a Pesaro, con Gianfranco Reverberi, anch’egli futuro musicista e cantautore, che lo aiuterà più avanti ad inserirsi nell’ambiente musicale ed incidere i suoi lavori.
Il periodo milanese e gli anni ’60
Sarà infatti su invito di Reverberi che, all’inizio del 1960, Ciampi si trasferirà a Milano per lavorare con l’etichetta Ricordi insieme a Franco Crepax. Qui si presenteranno per Piero le prime occasioni di incidere le sue composizioni, e proprio in questo periodo, dopo la registrazione di qualche singolo, verrà alla luce il primo album di Ciampi, intitolato semplicemente “Piero Litaliano” (1963), senza l’accento francese. Di quest’album Reverberi curò la produzione e gli arrangiamenti orchestrali, molto presenti in tutti i brani, capaci di legare ad una musicalità all’epoca decisamente pop (forse troppo per Piero) i testi sempre nostalgici e decadenti. Tuttavia il lavoro, pur mettendo in luce le sue qualità liriche e poetiche, non riscosse pressoché alcun successo, sia a livello di critica che di pubblico.

Negli anni successivi Ciampi inizierà a farsi apprezzare come autore firmando, per vari interpreti, canzoni che non faticheranno a farsi notare nel panorama nazionale. Fra le più conosciute, “Ho bisogno di vederti”, che sarà interpretata da Gigliola Cinquetti e cantata in finale al Festival di Sanremo del 1965, dove otterrà il 4° posto.
Ma gli anni ’60 in generale non rappresentano un bel periodo per Piero, soprattutto per quanto riguarda la sfera personale e affettiva. Si separa dalla prima moglie, Moira, non prima che questa gli abbia dato un figlio, nato nel ’63. Anche dalla seconda moglie, Gabriella, si separerà e avrà una figlia pochi anni dopo. Queste complicate vicende amorose troveranno spazio in diversi brani di Piero, ad esempio nella sua “In un palazzo di giustizia”, dove si parla di una coppia che, fra rancore, imbarazzo ma anche tristezza, si reca appunto in un palazzo di giustizia per perfezionare la propria separazione:
“Siamo seduti in una stanza
Di un Palazzo di giustizia.
Tu sei pazza, vuoi spiegare
Una vita con due frasi.”
Gli anni ’70 e gli album capolavoro
Cominciano gli anni ’70, quello che sarà l’ultimo, burrascoso decennio di vita di Piero, ma allo stesso tempo forse il più prolifico a livello artistico. L’amicizia con Gino Paoli gli permette di procurarsi un contratto con la RCA, insieme ad un anticipo in denaro che spenderà in vari modi, ma non certo per le registrazioni.
Dopo essere stato scaricato dalla RCA ormai spazientita all’etichetta sussidiaria Amico, qui conoscerà Gianni Marchetti, compositore di talento, anche se poco conosciuto, specializzato in colonne musicali per film.
Finalmente con Marchetti funziona. La sua esperienza come compositore in ambito cinematografico fa sì che i suoi non siano semplici accompagnamenti, ridondanti e monotoni, ma dei commenti, capaci di esaltare e valorizzare i contenuti delle poesie di Piero.
Già nell’album omonimo, “Piero Ciampi” (1971), le differenze stilistiche rispetto ai precedenti lavori sono ben evidenti. Il sontuoso jazz orchestrale caratteristico del primo LP è quasi del tutto sparito, lasciando il posto ad arrangiamenti meno densi e più intimistici. A fare da perno nelle composizioni sono soprattutto il pianoforte e la chitarra, arricchiti da qualche fiato e una sezione ritmica piuttosto vicina al jazz. Le influenze musicali di Marchetti sono varie, e qui sono tutte presenti e amalgamate: Dal jazz alle sonorità più tipicamente mediterranee e folkloristiche, che si possono ascoltare in pezzi incalzanti come “Il vino” o “il giocatore”, ma anche in un brano sulla guerra di una sensibilità commovente come “40 soldati 40 sorelle”.
L’album successivo, “Io e te abbiamo perso la bussola” (1973) prosegue nella stessa direzione. Si tratta probabilmente (almeno secondo chi scrive) dell’apice creativo del duo Ciampi/Marchetti. Qui Piero ne approfitta per fare una sorta di “panoramica” sulla propria esistenza, infatti i riferimenti autobiografici sono presenti pressoché dal primo all’ultimo brano. Dai problemi coniugali, le problematiche del rapporto di coppia, fino all’affidamento dei figli, ma anche brani su altri temi sociali, come “Il lavoro”. Alcuni pezzi sono stati scritti da Ciampi in collaborazione col cantautore (ed amico) calabrese Pino Pavone, fra cui “Bambino mio” e “Mia moglie”.

Anche nel cantato possiamo riscontrare alcune differenze rispetto al Piero Ciampi delle origini. Un modo di discorrere che ricorda, in certi brani in particolare (come “Te lo faccio vedere chi sono io”, “Ha tutte le carte in regola”, ma anche la già citata “Il giocatore”), quasi un monologo, un “monologo in musica”, più che un cantato vero e proprio.
Gli ultimi anni e la morte
Le ultime, rilevanti gesta musicali di Piero si collocano fra il 1975 e il 1976. Nel ’75 esce la raccolta “Andare, camminare, lavorare e altri discorsi”, antologia di brani estratti dai due precedenti album, fatta eccezione per due inediti. Uno è la title-track, un brano che fra sonorità blues/funk e il solito stile di canto “cabarettistico” di Piero punta i riflettori, con intenzione decisamente satirica, sul mondo del lavoro, sempre più esigente e spietato, legato al fenomeno del consumismo e dell’industrializzazione all’epoca in crescita. L’altro inedito, “Cristo fra i chitarristi”, come il titolo suggerisce prova ad affiancare due figure, quella di Cristo e quella di un cantautore in crisi, sotto il segno della sofferenza e del sacrifico.
Pochi mesi dopo sarà la volta dell’ultimo effettivo lavoro di inediti di Piero: “Dentro e Fuori”. Sempre in collaborazione con Marchetti, tira fuori per questo album dei testi che forse sono fra i suoi migliori, ma che rispetto ai precedenti lavori si dirigono (come anche le musiche del resto) verso lidi ancor più cupi e decadenti. Fra gli altri, “Sul porto di Livorno”, sognante omaggio alla città natale di Ciampi e al rapporto di amore/odio che li ha sempre legati (brano in realtà già pubblicato nell’album “Ho scoperto che esisto anch’io” di Nada Malanima, contenente brani composti e arrangiati dal trio Ciampi/Marchetti/Pavone).
Negli anni successivi si sentirà di tanto in tanto parlare ancora di Ciampi, ad esempio grazie alla sua celebre apparizione dal vivo al Club Tenco nel ’76. In quell’occasione, nonostante i suoi ormai celebri diverbi fra pubblico e organizzatori, tenne comunque un concerto memorabile, che venne registrato e pubblicato qualche tempo dopo.
Troverà la morte a Roma, per un cancro all’esofago, il 19 gennaio del 1980, assistito dal medico, amico nonché cantautore Mimmo Locasciulli. Proprio Locasciulli per ricordare Piero inciderà più avanti una delle sue canzoni, “Tu no”.
Così, in maniera piuttosto discreta, terminò la vita di Piero Ciampi. Un cantautore che, se solo avesse voluto, avrebbe potuto stare in cima al piedistallo, ma quello non era il suo posto. Era sul fondo che si trovava veramente a suo agio, insieme agli umili, ai vinti, ai falliti, ai miserabili; a tutti quelli che la vita, un po’ come lui, non l’avevano mai capita fino in fondo. Piero Ciampi non era tagliato per questo mondo. O forse questo mondo non era tagliato per Piero Ciampi.
“Ha tutte le carte in regola per essere un artista
(…)
Vive male la sua vita
Ma lo fa con grande amore”
Poiché è di fatto impossibile riassumere degnamente la vita intera di un musicista nello spazio di un articolo, tanto meno una vita densa (seppur breve) come quella di Piero, lascio da ascoltare qualcuno dei suoi brani a me più cari, che (IMHO) ritengo fondamentali per la comprensione della sua opera musicale:
“Ha tutte le carte in regola“
“Te lo faccio vedere chi sono io”
“40 soldati 40 sorelle”
“Sul porto di Livorno”
“In un palazzo di giustizia”
“Andare, camminare, lavorare”

Autore: Alberto Iuliano
Studente di Discipline dello spettacolo all’Università di Pisa e “musicofago” da sempre. Incurabile nostalgico, pensava di esser nato nel secolo sbagliato, ma dopo aver visto Ritorno al futuro ha capito che è sempre la stessa zuppa. In Radioeco dal 2019.