Ciao a tutt*, amic* del caffè letterario! Oggi un articolo un po’ diverso: voglio portare qua una riflessione scaturita dall’ascolto di un bellissimo brano di Franco Battiato, “E ti vengo a cercare”. Ascoltandolo mi è parso di sentire l’eco di numerosi filosofi studiati tra i banchi di scuola, come se ci fosse qualcosa di immortale nascosto tra le sue parole.
Vorrei parlarvene a cuore aperto: questa riflessione non si propone di essere precisissima, ma spero di potervi trascinare con me all’interno della meraviglia che ho provato ascoltando questo brano.
Galimberti e Battiato? Spieghiamoci meglio
E ti vengo a cercare
Anche solo per vederti o parlare
Perché ho bisogno della tua presenza
Per capire meglio la mia essenza
Il testo si apre così: dopo una introduzione musicale che sembra elevarci alla meraviglia dell’infinito con i suoi toni mistici, Battiato si esprime in una dichiarazione, fatta a cuore aperto, senza nessun preambolo.

Si rivolge a qualcuno, probabilmente alla persona amata, ammettendo che la sua presenza è essenziale per capire meglio la propria essenza. Ma cosa vuol dire questa frase? Umberto Galimberti, filosofo, saggista e psicoanalista italiano, nel suo saggio “Le cose dell’amore” ci spiega come l’amore sia anche un po’ egoisticamente la ricerca di un luogo sicuro, dove poter esprimere liberamente il proprio io trovando posto nel tu.
«È come se l’amore reclamasse, contro la realtà regolata dalla razionalità tecnica, una propria realtà che consenta a ciascuno, attraverso la relazione con l’altro, di realizzare se stesso.»
Ecco che dunque “la tua presenza” è essenziale per comprendere meglio “la mia essenza”: l’amore spesso è una radicalizzazione del sé raggiunta attraversando l’altro.
Amore come espropriazione del sé
Dovrei cambiare l’oggetto dei miei desideri
Non accontentarmi di piccole gioie quotidiane
Fare come un eremita
Che rinuncia a sé
Sempre Galimberti ci racconta però che il rischio è che in questo profondo desiderio di ricerca individuale si perda di vista la vera essenza dell’amore, che è invece espropriazione del sè: la consegna della propria individualità all’altro per permettergli di travolgerla e distruggerla, un immenso atto di fiducia che va verso la disintegrazione del sé, non la sua affermazione. Ed anche qua, Battiato sembra muoversi da un primo desiderio di riconoscersi nell’altro alla volontà di annientarsi per lui, farsi eremita per amore, perdersi nei confini dell’altro per non ritrovarsi.
Amore è piuttosto l’espropriazione della soggettività, è l’essere trascinato del soggetto oltre la sua identità, è il suo concedersi a questo trascinamento, perché solo l’altro può liberarci dal peso di una soggettività che non sa che fare di se stessa.
La critica al secolo corrente
Questo secolo oramai alla fine
Saturo di parassiti senza dignità
Mi spinge solo ad essere migliore
Con più volontà
Battiato si spinge poi in un’aspra critica al secolo corrente, “saturo di parassiti senza dignità”: questo lo rende ancor più volenteroso di perdersi per amore, di lasciare indietro la propria identità intrappolata in un secolo che non ha dignità. L’amore rende dignitosi perché eterni, immortali nella grandezza dell’infinito che ci accoglie e ci travolge.
Essere eterni significa infatti essere migliori della mediocrità terrena, essere qualcosa di più, di oltre.
Stoicismo e Battiato

Emanciparmi dall’incubo delle passioni
Questa frase in particolare mi ha ricordato molto la corrente filosofica dello stoicismo, originatasi circa nel 300 a.C ad Atene per opera di Zenone di Cizio. Per raggiungere integrità morale e spirituale, gli stoici praticavano il dominio sulle passioni, che avrebbero potuto arrecare turbamento e guastare la ricerca della saggezza che avevano intrapreso.
L’amore di cui ci parla Battiato è allora qualcosa di più, che lentamente si eleva e porta ad una totale rinuncia della propria contingenza per rendersi infinito, immortale.
Battiato e Plotino
Cercare l’uno al di sopra del bene e del male
Essere un’immagine divina
Di questa realtà
Al centro del pensiero di Plotino, esponente della corrente filosofica del neoplatonismo, vi è il concetto di Uno come prima realtà sussistente, principio del mondo rispettivamente intellegibile e sensibile, tale però da trascendere entrambi.
L’Uno è infinito, al di sopra della nostra comprensione, dello spazio e del tempo: è ciò che da forma alle cose contingenti che vediamo, come se dalla sua contrazione si manifestassero le realtà intellegibili e sensibili.
Battiato ci racconta di voler cercare l’Uno, l’infinito al di sopra dei concetti del bene e del male di cui facciamo esperienza e che ci tengono imprigionati a questa realtà terrena.
Conclusione: l’amore è una cosa semplice e divina
Nello sguardo dell’altro ci si riconosce per lasciarsi andare.
E ti vengo a cercare
Perché sto bene con te
Perché ho bisogno della tua presenza
Al termine della canzone, Battiato ci ricorda che l’amore è, di fatto, una cosa semplicissima: ci si cerca perché si sta bene con l’altro e si ha bisogno della sua presenza, ma questo ci trasporta alla riscoperta del sé per poi lasciarsi disintegrare e raggiungere l’eternità in una completa rinuncia di sé.
L’amore ci rende divini.

Ciao a tutt3! Sono Emma, studio Lettere Moderne e amo spulciare tra libri e parole per scoprire sempre qualcosa di nuovo. Leggo di tutto, soprattutto in compagnia dei miei gatti, e quando possibile scrivo o gironzolo in libreria 🙂
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