Ogni volta che arriva la notizia dell’ennesimo femminicidio, viene subito da chiedersi: come è stato possibile? Ogni volta, sembra ripetersi la stessa storia. Dopo la tragica vicenda di Giulia Cecchettin, abbiamo riempito scuole e università di volantini e siamo scesi in piazza a migliaia. «Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima»: lo abbiamo ripetuto come un mantra.

Eppure, a distanza di pochissimo tempo l’una dall’altra, sono state uccise Ilaria Sula e Sara Campanella. È stata proprio la morte di quest’ultima, avvenuta il 31 marzo, a dare più scalpore. Per una volta, non è stato un ex fidanzato o un marito a commettere il crimine, ma un compagno di corso. Non c’è stata nessuna ricerca, e non ha avuto luogo nessun ritrovamento. Sara Campanella è stata uccisa mentre camminava per strada, sotto gli occhi di tutti.

Tra gli amici e i conoscenti di Sara, non c’era chi si aspettava che Stefano Argentino le avrebbe tolto la vita. “Il matto mi segue”, aveva scritto alle amiche: le ‘attenzioni’ del ventisettenne erano da tempo insistenti e indesiderate. Ma nessuno aveva mai pensato che questo collega di università potesse diventare un assassino.
Lo stalking
«L’ultima volta ti ho detto: “Lasciami in pace“. Cosa hai capito di questa cosa?» sono le parole di Sara Campanella nella registrazione di una conversazione avvenuta con il suo assassino. Le risposte di Argentino? «Cosa speri di ottenere?» e «Non è possibile parlare con te.» Sara non voleva ottenere proprio nulla: «Sei tu che vuoi ottenere qualcosa, se mi segui a ‘sti livelli,» gli aveva detto. Sara non voleva avere niente a che fare con lui. Il suo messaggio era sempre stato chiaro. Ovviamente, tra le molestie di Argentino nei confronti di Sara figuravano anche i messaggi sui social. E a proposito di messaggi, c’è anche una sentenza della Corte di Cassazione a sancire la sussistenza del reato di stalking anche nella messaggistica istantanea. Infatti, anche se è vero che la vittima può sempre bloccare l’autore dei messaggi, ciò non cancella l’azione perturbatrice dello stalker. Era proprio con la scusa di indagare sul motivo per cui ella non avesse risposto a un messaggio inviato a gennaio che l’assassino l’aveva avvicinata il giorno del delitto.
«Perché un bravo ragazzo sa che deve accettare anche un no»
È la risposta di Cetty Zaccaria, madre della vittima, alla domanda di una giornalista Rai. Questo è un concetto che dovrebbe essere elementare. Non lo era per Stefano Argentino, così come non lo è neanche per molti altri uomini e ragazzi. In troppi non sanno – o fanno finta di non sapere – che l’insistenza è violenza in ogni misura e forma. Spesso, purtroppo, si tende a sottovalutare o si sceglie di ignorare questo tipo di molestie. Ma non sempre la scelta o la tendenza sono giustificate dall’ingenuità.
Ha suscitato molte controversie il post Instagram pubblicato da parte dell’account ufficiale della Polizia di Stato poco dopo la morte di Giulia Checchettin. Il motivo? Nonostante l’hashtag #essercisempre e le frasi contro la violenza di genere, i commenti sono pieni di donne che raccontano le proprie esperienze agghiaccianti. Il comun denominatore? Anche se hanno provato a denunciare, le istituzioni non hanno fatto niente.
«Sono venuta a denunciare un ragazzo per stalking che mi scriveva ogni giorno cose schifose che io nemmeno conoscevo e non sapevo nemmeno da dove avesse preso il mio numero, l’unica cosa che mi avete detto è stata “vabbè ma lo avrà fatto per scherzo, comunque sei troppo piccola non possiamo fare nulla”»
«Sono stata seguita e violentata davanti alla porta di casa mia. Mi avete mandata a casa perché non avevo segni sul corpo e perché non avevo prove fisiche da mostrare.»
«Stamattina ho chiamato il 112, la Questura di Trento e il 1522. Nessuno è intervenuto. Forse la prossima volta che qualcuno vi chiamerà sarà per avvisarvi che sono morta. Grazie mille dell’aiuto e della collaborazione.»
È inutile, quindi, che continuiamo a chiederci come sia stato possibile. L’articolo 612-bis, introdotto col decreto legge n. 11 del 2009, inserisce nel codice penale una regolamentazione del reato di atti persecutori – o stalking – con pena di reclusione da sei mesi a cinque anni. Ma, finché le norme già esistenti non verranno correttamente applicate, sarà impossibile prevenire altri casi come questo. Bisogna imparare a riconoscere il male anche nelle interazioni più insignificanti. Dovrà essere giudicato anche il ragazzo che vuole attaccare bottone a tutti i costi in discoteca. Perché i “no” vanno sempre rispettati; perché lo stalking di Argentino non era qualcosa di profondamente diverso da quello. Era un altro frutto marcio caduto dallo stesso albero.
Colpevolizzazione della vittima
Quando muore una donna, i media si muovono sempre nello stesso modo. La colpevolizzano.
“Avrebbe dovuto denunciare” “Non aveva mai denunciato” “Sono stati ignorati i segnali”. È quello che ovviamente è successo anche nel caso dei femminicidi di Sara Campanella e Ilaria Sula.
Non ci si sofferma mai sulla descrizione imparziale dei fatti. Si incolpa. Si punta il dito. “Avrebbe potuto fare di più” questa è l’unica frase che risuona.
Perché dobbiamo stare attente a camminare, a coprirci abbastanza, a non muoverci in zone poco illuminate, a non dare troppa confidenza, a vivere, a respirare?
Il messaggio che passa da questa narrazione è che dobbiamo stare attente a chi frequentiamo, prevenire e stare in allerta perché se per caso ci ammazzano è colpa nostra.
E la narrazione del femminicida?
Beh, la figura del femminicida viene, all’opposto, continuamente infantilizzata o deumanizzata. Ricorderemo tutti il caso di Giulia Cecchettin e gli articoli pubblicati che raccontavano che Filippo Turetta “le faceva anche i biscotti” e “dormiva con l’orsetto”.
Anche in questo caso, Stefano Argentino viene descritto come “un introverso” che “aveva la passione per la danza”. Si prende più spazio sui giornali per raccontare della vita e delle passioni del femminicida che della vittima.
I commenti dei post sono pieni di persone che chiamano l’assassino “mostro”. Il femminicida non è un mostro. È vittima della cultura patriarcale.
Non sono persone deviate, non sono “l’eccezione”, gli assassini sono spesso nostri amici, fratelli, colleghi o compagni. Sono gli stessi che fischiano alle ragazze per strada insieme ai loro amichetti.
Gli stessi che scherzano sulla taglia di seno della cameriera che vi ha servito quella volta.
Un problema sociale:
Il problema non è individuale, è sistemico.
Il rapporto tra uomo e donna si configura come un esercizio di potere, a partire dai più semplici gesti, come quello di “conquistare una donna” o “portarsela a letto”.
Il catcalling è un esercizio di potere: chi fischia per strada non lo fa aspettandosi una risposta positiva, lo fa perché sa di poterselo permettere, perché gode nell’intimidire una donna che cammina per strada.
La molestia è un esercizio di potere, il femminicidio è un esercizio di potere.
“Io posso più di te”. È questo che ci racconta.
Per questo è tanto importante lo slogan “educate i vostri figli per non proteggere le vostre figlie”: non siamo noi a doverci proteggere, c’è bisogno di una educazione consapevole al consenso, alla sessualità.
C’è bisogno di decostruire la mascolinità tossica sulla quale si costruiscono tutte le dinamiche sociali.
Solo allora potremo smettere di piangere le nostre sorelle.
Educhiamoci ed educatevi, perché il primo strumento per poter cambiare un sistema malfunzionante è prenderne coscienza.
Bibliografia immagini
Fotografia Sara Campanella
Fotografia Ilaria Sula
Questo articolo è stato scritto in collaborazione da più mani, il tema ci è molto caro, speriamo che vi possa lasciare qualcosa.

Ciao a tutt3! Sono Emma, studio Lettere Moderne e amo spulciare tra libri e parole per scoprire sempre qualcosa di nuovo. Leggo di tutto, soprattutto in compagnia dei miei gatti, e quando possibile scrivo o gironzolo in libreria 🙂
Sono Sara, una studentessa del primo anno di Lettere Moderne, grande appassionata di libri, poesie, e arte. Le Cronache del ghiaccio e del fuoco e Notre-Dame de Paris sono due letture che mi hanno cambiato la vita. Da classicista convinta, mi sono ritrovata a sognare le guglie degli edifici gotici, la fede, e il mistero di un’epoca che credevo persa. Ho lavorato ai primi paragrafi di questo articolo.
