Caffè Letterario – “Lettera al padre”

Franz Kafka, da wikipedia

Ciao a tutt*, amic* del caffè letterario! Oggi ho deciso di portare un testo letto qualche anno fa che mi è rimasto nel cuore.

Nel 1919, Franz Kafka scrisse una lunga lettera al padre, mai inviata e pubblicata postuma. Oltre ad essere una interessante testimonianza dello stile poetico dell’autore, è anche il racconto di un rapporto travagliato e doloroso di un figlio molto sensibile con la classica figura del padre “vecchio stampo”. Questo testo è uno squarcio che si apre sulla vita personale dell’autore e ci permette di sbirciarvi dentro: oggi faremo insieme un breve viaggio attraverso le sue pagine. Spero che vi piaccia tanto quanto è piaciuto a me!

Brevi cenni sul rapporto padre-figlio

Hermann Kafka, da Wikimedia Commons
Hermann Kafka, da Wikimedia Commons

Hermann Kafka, padre del nostro autore, nacque nel 1852. All’età di 30 anni sposò la figlia di un ricco birraio, Giulia Lowy: insieme ebbero sei figli e Franz fu il primo. Sfortunatamente, due dei sei figli morirono da piccoli. Aprì un’ attività di commercio all’ingrosso, della quale si occupò fino a quando non fu venduta a un parente nel 1918. Non approvò mai l’attività letteraria del figlio e fu un padre molto autoritario: ad esempio, si racconta che imponesse regole rigidissime alla famiglia e che egli fosse l’unico a potersi permettere di non rispettarle.

Dopo questa breve introduzione, scopriamo il personaggio: iniziamo a leggere insieme!

Incipit della lettera

Carissimo padre,
di recente mi hai domandato perché mai sostengo di avere paura di te. Come al solito, non
ho saputo risponderti niente, in parte proprio per la paura che ho di te, in parte perché
questa paura si fonda su una quantità tale di dettagli che parlando non saprei coordinarli
neppure passabilmente. E se anche tento di risponderti per iscritto, il mio tentativo sarà
necessariamente assai incompleto, sia perché anche nello scrivere mi sono d’ostacolo la
paura che ho di te e le sue conseguenze, sia perché la vastità del materiale supera di gran
lunga la mia memoria e il mio intelletto.

Già dall’inizio della lettera si capisce qual è l’elemento fondamentale che tiene in piedi il rapporto tra i due: la paura. Premette infatti che l’atto dello scrivere non lo protegge dal terrore del padre, e il testo sarà dunque necessariamente incompleto.

Kafka da bambino: il confronto con il padre

Ero un bambino pauroso, ma ero anche testardo, come lo sono i bimbi; sicuramente la
mamma mi ha anche un po’ viziato, ma non posso credere che fosse così difficile
indirizzarmi, non posso credere che una parola gentile, un tacito prendermi per mano, uno
sguardo buono non avrebbero potuto ottenere da me tutto quel che si voleva. Tu sai trattare un bambino solo come tu stesso sei fatto, con forza, rumore e scoppi d’ira, e nel mio caso il sistema ti pareva ancora più opportuno, volendo fare di me un ragazzo forte e coraggioso

Franz Kafka da bambino, da wikipedia
Franz Kafka da bambino, da Wikipedia

Risulta notevole osservare come questo trattamento abbia subito gli effetti contrari sul piccolo Franz, cresciuto convivendo con un profondo senso di insicurezza ed inferiorità che l’ha accompagnato per tutta la vita. Per spiegarmi meglio, riporto qua la descrizione del momento in cui il piccolo Kafka era solito cambiarsi con suo padre al mare.


Mi ricordo per esempio tutte le volte che ci siamo spogliati nella stessa cabina. Io magro, debole, sottile. Tu forte, alto, robusto. Già nella cabina mi facevo compassione, e non solo di fronte a te, ma di fronte a tutto il mondo, perchè tu eri per me la misura delle cose.

Per Franz, l’atto dell’identificazione con il corpo del padre viene meno e lascia subito spazio alla vergogna e al senso di inferiorità, perché il padre e la sua autorità sono per lui l’unica verità, l’unica cosa giusta. Il corpo di Hermann appare inarrivabile al piccolo Kafka, magro e debole: si vergogna di questo suo piccolo corpo e prova compassione per la sua condizione.

Kafka adolescente: la superiorità spirituale del padre

La figura di Hermann sovrasta Kafka non solo fisicamente, ma anche spiritualmente: crescendo, quando da adolescente dovrebbe iniziare a formarsi un pensiero critico, lo scambio di opinioni con il padre è reso impossibile dall’atteggiamento autoritario che quest’ultimo tiene anche nella conversazione.


A ciò corrispondeva anche la tua superiorità spirituale. Ti eri fatto strada unicamente con le tue forze e avevi quindi una fiducia illimitata nelle tue opinioni. Per me bambino questo fatto non fu così accecante come in seguito, quando fui adolescente. Dalla tua sedia a dondolo governavi il mondo. La tua opinione era giusta, tutte le altre erano folli, esagerate, pazze, anormali. E la tua fiducia in te stesso era tale che non avevi neppure bisogno di essere coerente, senza per questo smettere di avere ragione. Poteva anche accadere che tu su un certo argomento non avessi alcuna opinione, e quindi tutte le opinioni possibili in proposito dovevano essere sbagliate, senza eccezione. Potevi ad esempio insultare i Cechi, poi i Tedeschi, poi gli Ebrei, e non a un certo riguardo, ma sotto ogni punto di vista, e infine non rimaneva nessun altro a parte te. Tu eri avvolto per me dall’enigma di tutti i tiranni, il cui diritto è fondato sulla loro persona e non sul pensiero.

Effettivamente quello che Kafka padre ha con il figlio è un vero e proprio rapporto di tirannia: avvolto nella sua nube di superiorità, ogni sua opinione appare come inconfutabile e assolutamente vera, anche se si tratta di critica spietata verso chiunque. Hermann si guadagna diritto di parola e ascolto incondizionato per la sua autorità, non per la validità delle sue opinioni, che non possono essere messe in discussione in alcun modo. E così Franz disimpara lentamente a parlare.

In tua presenza – e quando si tratta di questioni che ti riguardano diventi un eccellente conversatore – mi accadeva di esprimermi incespicando e balbettando, la cosa ti dava estremamente fastidio, e allora finivo per starmene zitto, all’inizio forse per ripicca, poi perché davanti a te non ero in grado né di parlare né di pensare. E poiché tu fosti il mio unico educatore, le conseguenze si sono riflesse su tutti gli aspetti della mia vita. 

Kafka scrittore

Più giustificata fu la tua avversione per le cose che scrivevo e per quanto, a tua insaputa, ad esse si collegava. Qui ero riuscito realmente a ritagliarmi uno spazio indipendente da te, anche se ricordavo un po’ il verme che, schiacciato da un piede nella parte posteriore, riesce a liberare la parte anteriore e striscia via di lato.

Ovviamente, dalla spietata critica del padre non è esente l’attività letteraria di Kafka: in questa avversione, però, il nostro autore sembra trovare una propria libertà.

Quello della scrittura è uno spazio solo suo, che lui solo conosce e utilizza; forse proprio perché il padre, per quanto possa criticarlo, non può arrivare a comprenderlo.

Le critiche sembrano non poterlo scalfire in questo cantuccio che è riuscito a costruirsi, ma è solo un’illusione, perché anche quando scrive ogni pensiero è rivolto al padre, alla rabbia che prova per lui o forse all’incompreso desiderio di sentirsi amato.

Kafka, da wikibooks
Franz Kafka, da Wikibooks

Naturalmente mi sbagliavo, non ero affatto libero o, nel migliore dei casi, non lo ero ancora. Nei miei scritti parlavo di te, vi esprimevo quanto non riuscivo a sfogare sul tuo cuore, era un congedo da te volutamente dilazionato, un congedo che avevi messo in moto tu, ma che si dipanava lungo un percorso stabilito da me. Eppure, a quanto poco serviva tutto questo! 

L’illusione è che la scrittura segni un distacco dalla figura paterna, ma non è così: al centro rimane Hermann, di cui Kafka scrive in continuazione. Quindi a tutti gli effetti è un allontanamento messo in moto dal padre e di cui il figlio crede di essere l’artefice.

Ebraismo: padre e figlio

Altrettanto poco mi sono salvato da te nell’ebraismo. Qui sì che la salvezza di per sé sarebbe stata pensabile, ma ancor più sarebbe stato pensabile che nell’ebraismo noi due ci ritrovassimo o che addirittura esso costituisse il nostro punto di partenza. Ma quale fu mai l’ebraismo che tu mi trasmettesti!

L’autore racconta di aver attraversato tre modi diversi di avvicinarsi all’ebraismo.

Da bambino a tenere in piedi il suo culto religioso è la paura del giudizio del padre: confrontandosi con lui, si rimprovera ad esempio di non essere andato abbastanza al tempio o di non aver digiunato.

In realtà, Hermann non si può certo definire un grande praticante: come lo stesso Kafka ci racconta, andava al tempio solamente 4 volte all’anno, recitando le preghiere con indifferenza. Da adolescente dunque Franz non capisce come con quel poco di ebraismo di cui il padre dispone possa rimproverarlo di non sforzarsi abbastanza.

Da adulto racconta di aver raggiunto una consapevolezza diversa: l’ebraismo del padre, seppur praticato in maniera incostante, è specchio del contesto in cui è cresciuto.

Hermann, cresciuto in un piccolo villaggio, aveva praticato poco l’ebraismo e con quel poco era rimasto per tutta la vita: non si era mai messo in discussione, anzi, la sua fede veniva vissuta come indiscutibile. Per il figlio, perciò, era molto difficile avvicinarcisi dato che il padre in primis viveva l’ebraismo con superficialità.

La fede paterna era espressione della fede nutrita nelle opinioni di una determinata classe sociale ebraica, e dal momento in cui queste opinioni erano da lui condivise, la fede nell’ebraismo era anche fede in stesso. Quindi si trattava di una fede non propriamente riposta nella religione, ma nelle opinioni della classe sociale ebraica dalla quale aveva appreso la religione.

In fondo la fede che guidava la tua vita era la fede nell’assoluta giustezza di una determinata classe sociale ebraica e, poiché queste opinioni facevano parte del tuo essere, era anche la fede in te stesso.

Il matrimonio: ultimo confronto

Anche nel compito di sposarsi il confronto con il padre ed il suo senso di inferiorità si aggiudicano la meglio: Hermann è il perfetto esempio di padre forte, che si è sposato e ha messo e tenuto insieme una famiglia. Franz è invece logorato dal senso di colpa e dalla mancanza di fiducia in sé stesso, che lo rendono impreparato e non gli permettono di avere un rapporto sereno con la sessualità ed il matrimonio.

Franz Kafka e Felice Bauer
Franz Kafka e Felice Bauer, da Wikipedia

Il nostro autore, infatti, non si sposò mai: ebbe una relazione contrastata e piuttosto oscura con la propria sessualità e con il corpo, cercata in maniera spasmodica, ma spesso allo stesso tempo respinta.

Qua racconta nello specifico di un episodio in cui si lamenta con il padre di non essere mai stato istruito né preparato in merito, ed egli molto semplicemente dice di potergli dare qualche consiglio su come praticare in sicurezza “quelle cose”.

Questa risposta turba molto Franz: a quanto pare, il padre gli consiglia di “tenere lontano da casa quella sporcizia”.

In questo modo la sessualità viene descritta come la cosa più sporca che ci sia, da praticare “lontano da casa”: Hermann è il marito perfetto, l’uomo modello: la sua casa non può essere sporcata da un atto così degradante.

Anche in questo caso il padre schiaccia il figlio, mostrandosi come uomo superiore persino ai bisogni e alle curiosità del piccolo Franz. Non mi stupisce quindi che Kafka abbia avuto un rapporto conturbato con la sessualità, se questa è l’educazione che gli è stata fornita in merito.

La cosa principale era semmai che tu, al di là del tuo consiglio, rimanevi un marito modello, un uomo puro, superiore a queste cose [….]

Il pensiero che tu avessi potuto dare anche a te stesso un consiglio simile, magari prima del matrimonio, era per me completamente improponibile. Così su di te praticamente non c’erano resti di sporcizia terrena.

Conclusioni

Insomma, “Lettera al padre” è un racconto dolorosissimo e introspettivo, che attraversa la vita di Kafka bambino, adolescente e adulto con lucidità.

Il rapporto tra padre e figlio è centrale in ogni esperienza di vita dell’autore: la durezza, la negligenza, l’autorità paterna hanno lasciato ferite insanabili nell’animo di Kafka, che ha vissuto sentendosi inadeguato alla vita, impreparato ad affrontarla con la stessa forza di suo padre.

Chissà se scriverla è stato per lui un atto terapeutico, un tentativo di mettere su carta il suo dolore: certo è che oltre a offrirci una chiave di lettura per addentrarci nella sua poesia, ci permette di entrare nella sua vita e condividere, per il tempo impiegato leggendola, un pezzetto della sua sofferenza.

Ciao a tutt3! Sono Emma, studio Lettere Moderne e amo spulciare tra libri e parole per scoprire sempre qualcosa di nuovo. Leggo di tutto, soprattutto in compagnia dei miei gatti, e quando possibile scrivo o gironzolo in libreria 🙂

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