«Chiedersi perché […] Genova sia l’epicentro storico della musica d’autore italiana e fucina ineguagliabile di talenti, è un po’ come domandarsi perché i Beatles sono nati proprio a Liverpool e il Rock’n’Roll negli Stati Uniti.»
Parlando ai microfoni della Repubblica, così Elio Giuliani presenta una delle più belle storie d’amore contemporanee: quella tra Genova e la musica.

L’importanza del mare
La città ligure, a partire dai primi anni sessanta, è diventata il palcoscenico di una vera e propria rivoluzione musicale che ha portato alla nascita della cosiddetta scuola genovese: un gruppo di giovani parolieri accomunati da un forte sentimento di amicizia.
Ma come mai? Innanzitutto perché la Liguria vantava un ambiente culturale già da tempo affermato. Basta pensare alle poesie di Sbarbaro e Montale, ai romanzi di Calvino, ai quadri di Guido Basso e al teatro di Paolo Villaggio per renderci conto di quanto fosse prolifica la sua produzione letteraria e figurativa, a cui finalmente adesso si aggiungeva anche un altra sfera: il cantautorato.
“Eravamo quattro amici al bar
che volevano cambiare il mondo
destinati a qualche cosa in più
che a una donna ed un impiego in banca
si parlava con profondità di anarchia e di libertà
tra un bicchier di coca ed un caffè
tiravi fuori i tuoi perché e proponevi i tuoi farò.”
Da “Quattro amici“, di Gino Paoli.

Ed è così che, ogni giorno, quei “quattro amici al bar” (Fabrizio de André, Gino Paoli, Luigi Tenco e Giorgio Calabrese) cominciarono ad incontrarsi alla Foce di Genova: un quartiere abitato da marinai e pescatori, dominato dalla presenza del porto e dal viavai del mercato. Una realtà che aveva necessità di trovare espressione, un nuovo linguaggio in grado di rappresentare quella vita marittima in maniera realistica e cruda, mettendone in luce il desiderio di rivalsa.

“Se t’inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell’aria spessa, carica di sale, gonfia di odori
Lì ci troverai i ladri, gli assassini e il tipo strano
…
Ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
Se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo”
Da “La città vecchia“, di Fabrizio De André.
Il dialetto genovese
Genova dipinge dunque il quadro perfetto di una città che, intrisa di passioni e carica di stanchezza, ha bisogno di trovare una sua tranquillità; una città dove l’unico lieto fine possibile per tutti risiede nell’accettazione della propria condizione sociale, nella rappresentazione di un mondo immobile. Questo compito è affidato agli interpreti, i poeti, che camminando per le vie del vecchio mercato raccontano le storie del vissuto mondano della gente.
Nascono così le prime canzoni in dialetto genovese, tra cui le famosissime “Creuza de ma” e “Bossa figgeu” :
“E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
Emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
Finch’ou matin crescià da puéilu rechéugge
Frè di ganeuffeni e d’è figge
Bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
Che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na crêuza de mä”

E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze
padrone della corda marcia d’acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare.
Per denunciare i cambiamenti della società, mettendo in luce un forte senso di appartenenza mischiato a necessità di riscatto sociale, è perfetto l’uso della lingua natia di Genova e di strumenti tradizionali come il mandolino genovese.
Appare insomma abbastanza chiaro come la musica, a Genova, sia un fatto corale. Non si parla quasi mai di esperienze personali in quanto tali, al contrario i grandi cantautori sfruttano l’immediatezza e la potenza espressiva della realtà per raccontare al posto di chi non ha voce.
La nuova scuola genovese
Nel corso del XXI secolo il capoluogo ligure ha poi continuato ad ispirare generazioni di artisti, soprattutto rapper, come Tedua, Bresh, Vaz Té, Izi, Nader… che non solo hanno dedicato varie canzoni alla loro città, ma vi hanno anche registrato un docufilm: “la nuova scuola genovese”, con la regia di Yuri Dellacasa e Paolo Fossati.
“Genova è una città ribelle, qui l’apparenza non conta… sugli scalini del Ducale vivevo alla giornata”, così Tedua racconta la sua infanzia tormentata, passata tra i caruggi della città e gli scalini di palazzo Ducale. Questi giovani artisti, proprio come i cantautori degli anni sessanta, portano il sentimento di anticonformismo e lotta sociale tipico della musica rap nei loro testi:
“Ragazzi veri da quartieri genovesi
In dieci contro venti, in venti contro uno
…
In quella piazza ho visto laureati parlar di politica
Storia e finanza con dei portuali
Ho visto il bullismo, il classismo, il sessismo, il razzismo
Hanno soltanto aggiunto un filtro
…
Il mio vissuto è nel tessuto della strada”
Da “Outro Purgatorio“, di Tedua

Ecco dunque come in questi versi Tedua riassume perfettamente l’aria che tira al porto: il dualismo di una città tanto priva di distinzioni culturali, quanto attraversata dai pregiudizi e segnata dall’irriverenza.
Autore
Ciao! Sono l’autore dell’articolo che hai appena letto: mi chiamo Matteo Andreani, frequento il corso di lettere moderne e scrivo per la rubrica “Il Giradischi” del blog di Radio-eco. Spero che la lettura sia stata di tuo gradimento! Per contattarmi e suggerirmi eventuali argomenti da trattare puoi lasciare un commento qui sotto oppure scrivermi su instagram…
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