Quando sei un appassionato di letteratura è inevitabile cercare riferimenti più o meno celati all’interno di altri media che possano ricollegarsi al tuo romanzo preferito del momento. Questo talvolta può portare a fare associazioni un po’ forzate, o molto fantasiose. Sin dalla mia infanzia, ho sempre dedicato tantissimo tempo alla letteratura e ai videogiochi. Due espressioni artistiche profondamente diverse, tuttavia questo non mi ha mai impedito di trovare un modo per conciliarle. Perciò tendo sempre a prediligere i videogiochi con un buon comparto narrativo, con una trama profonda e dei personaggi ben caratterizzati, anche a scapito della qualità tecnica e del sistema di gioco.
In questo articolo vorrei parlare di un videogioco in particolare, uscito nel 2011 ma che ho colpevolmente recuperato solo l’anno scorso. Uno di quei titoli che, pur avendolo finito da tempo, continua a nutrire la mia immaginazione.
Il titolo è, ovviamente, Dark Souls: il videogioco più influente degli ultimi 25 anni, capace di mettere d’accordo quasi tutti per il suo incredibile impatto visivo, il suo sistema di gioco ben realizzato e il suo sorprendente metodo narrativo.
Vorrei soffermarmi proprio su questi ultimi punti. Giocando a Dark Souls, infatti, non mi sforzavo di fare collegamenti; al contrario, le riflessioni letterarie sorgevano da sole, quasi come parte integrante e necessaria per la comprensione di quello che mi veniva posto di fronte.

Cos’è Dark Souls?
Dark Souls è un gioco dark fantasy, composto quindi dai classici elementi del gioco di ruolo fantasy quali draghi, stregoni e guerrieri. Essi, però, si muovono in un universo oscuro, quasi horror, dove angoscia e mancanza di speranza fanno da padrone. Quando si gioca per la prima volta ci viene mostrato un filmato iniziale dove vengono spiegati, in modo anche abbastanza didascalico, gli avvenimenti precedenti all’inizio del gioco. Il tutto rassomiglia molto a una sorta di mito della creazione: da principio il mondo era popolato solo dai draghi; il tempo non scorreva affatto, tutto era immobile e la vita era eterna. Poi venne il fuoco, e dal fuoco sorsero altre forme di vita; nacque, quindi, la guerra, la brama di potere e, inevitabilmente, la morte.
Il giocatore inizia così la sua avventura, preso per mano dagli autori che si sono presi la briga di fare un quadro generale della trama. Procede fiducioso, con l’illusione che il resto della storia gli verrà spiegato man mano che procede. Niente di più sbagliato. Quello iniziale è l’UNICO filmato realmente esplicativo; ne seguiranno pochissimi altri che però non hanno mai lo scopo di spiegare alcunché. Ed è proprio questo a rendere l’intreccio di Dark Souls così ben riuscito. La sua tecnica narrativa ti rapisce, al punto che le ore passate a giocare non bastano a condensare quello che rappresenta questa esperienza videoludica. Bisogna contare anche le ore passate a riflettere sugli indizi lasciati dai suoi scrittori, a disquisire con altri giocatori di questo o quel dettaglio omesso dalla narrazione, e tanto altro. È proprio questo aspetto che inevitabilmente lega questo videogioco ad opere letterarie più o meno antiche.

Cosa può avere in comune Dark Souls con l’Antico Testamento?
Recentemente ho visto un video molto interessante di Infomercial che parlava di come il sistema narrativo di Dark Souls, fatto di cose non dette e di omissioni, attinge a piene mani da quello che troviamo nell’Antico Testamento; in particolare nel Sacrifico di Isacco. L’autore del video cita addirittura il celeberrimo critico letterario Auerbach, che nel suo Mimesis spiega l’enorme differenza tra Omero e i testi biblici. Nel primo infatti troviamo uno stile di narrazione cristallino: tutti gli avvenimenti sono chiaramente illustrati, sia quelli passati che quelli presenti. Nell’Iliade e nell’Odissea non vi sono spazi per l’interpretazione, tutto è messo in superficie e il lettore non è costretto a indagare o a porsi domande per comprendere pienamente quello che legge. Tutto ciò è completamente sovvertito nell’Antico Testamento: la storia di Abramo inizia senza un’illustrazione dell’ambiente intorno a sé, non conosciamo dove si trova, né con chi. Chi parla è Dio, ma non sappiamo da dove arrivi la sua voce: egli si limita a ordinare a Abramo di recarsi in un luogo e sacrificare suo figlio. Nel racconto non vi è alcuna descrizione del viaggio: tutto è lasciato all’interpretazione di chi legge. Ciò contribuisce a scaturire una profonda tensione in coloro che leggono. La mancanza di dettagli “priva il lettore della sua libertà emotiva e fissa la sua attenzione su un singolo punto”, conferendo ai personaggi una profondità tale che, se l’autore si sprecasse in lunghe spiegazioni e descrizioni, andrebbe persa.
Dark Souls e le sue Terre Desolate
Trovo che il paragone tra il racconto biblico e Dark Souls sia del tutto attinente, ma penso possa essere interessante cercare delle corrispondenze letterarie anche con opere più recenti.
Mentre giocavo, mi venivano in mente numerosi collegamenti con Wasteland di T.S. Eliot. I due sono accomunati da una sorte piuttosto simile: entrambe le opere hanno subito importanti tagli, e la loro versione finale non rispettava interamente il modo in cui gli autori le avevano concepite. Ma questo non ha minato affatto la loro qualità, in alcuni casi ha anzi contribuito a renderle ancora più affascinanti.
Leggendo Wasteland e giocando a Dark Souls non ci viene raccontata una storia. Gli autori si limitano a darci dei frammenti in mano. Sta a noi comprendere che questi frantumi sono attimi d’esperienza umana, ormai immersa nella frenesia della modernità. Il caos della realtà moderna non può essere rappresentato così com’è: la superficie non è abbastanza. C’è bisogno di una terza dimensione che vada più a fondo possibile; che sappia raschiare nella disperazione, nella paura, nelle preoccupazioni delle persone, e che magari riesca pure a far riaffiorare le speranze che si spengono piano piano, inesorabilmente.

In Dark Souls il giocatore viene spronato a visitare i più remoti anfratti del mondo, affrontando creature spaventose nella speranza di trovare indizi sulla trama, o qualche elemento di buon auspicio. Allo stesso modo il lettore di Wasteland divora un verso dopo l’altro, prestando attenzione ai più banali dettagli, con l’obbiettivo di ritrovare un po’ di fecondità in quelle terre tanto aride.
Lead thy life as thou seest fit
Al finale ci si arriva da soli, coi nostri modi e con le nostre convinzioni, e per ognuno è un epilogo diverso.
Certo, è difficile pensare che Hidetaka Miyazaki (autore di Dark Souls) abbia letto Wasteland e che il suo intento fosse quello di farne una sorta di equivalente videoludico. Non sono i due autori a scambiarsi idee, ma le loro due opere. L’arte, quella che dà voce all’animo umano e lo eleva a spirito creatore, dialoga costantemente con l’arte. Si tratta di un dialogo acceso, a cui tutti dovremmo prendere parte. Solo questo può salvarci dall’aridità che avanza.
AUTORE: PAOLO BIANCHI

Sono uno studente di Lingue, Letterature e Filologie Euro-Americane. Amo la letteratura e scrivo molto, in particolare mi dedico alla poesia. Questo è il mio primo articolo, ma se vi va qui potete leggere le mie poesie. Faccio parte del Collettivo Power Napp con cui ho pubblicato alcune opere in collaborazione con gli altri artisti del collettivo.