
L’uscita della serie tv M Il figlio del secolo diretta da Joe Wright è riuscita a dividere l’Italia e gli italiani sul tema del fascismo, ancora una volta.
In realtà, il dibattito appare incentrato su Mussolini stesso, la cui rappresentazione cinematografica, guidata da un imponente Luca Marinelli, appare al limite del grossolano.
La serie cerca di ricostruire la storia e la vita del fascismo e del suo “superuomo” (lo è davvero? Spoiler: no), permeando nelle profonde radici del passato, senza però il distacco tipico di una produzione a sfondo storico-storiografico.
La produzione
M. Il figlio del secolo è una serie tv tratta dall’omonimo romanzo di Antonio Scurati, docente universitario di filosofia, prodotta da Joe Wright e distribuita da SKY TV, disponibile sulla piattaforma streaming Now TV.
Il romanzo, parte di una trilogia (M. L’ora del destino, M. Gli ultimi giorni dell’Europa) , ricostruisce non solo la nascita del fascismo in sé – nonché i vari avvenimenti storici e sociali che lo hanno portato al potere – ma unisce anche la narrazione della costruzione del personaggio di Mussolini, mostrandoci il passaggio da un uomo emotivamente instabile e alla figura del dux.



Come il libro, la miniserie cerca di raccontare la nascita del fascismo, dai primi incontri fino all’arrivo al governo. Ciò che distingue la produzione è sicuramente la centralità della figura di Mussolini: non più un personaggio storico, ma protagonista totale dello schermo.
Il contrassegno è sicuramente l’abbattimento della quarta parete: Luca Marinelli rivolge la sua recitazione (completa, grottesca, avvolgente) verso lo spettatore, quasi a volerlo trascinare all’interno del fascismo stesso.
La produzione non è solo una critica al fascismo, ma cerca di mostrare quanto la retorica fascista può essere avvolgente, trascinando lo spettatore nello schermo, davanti a un Mussolini che cerca di convincerlo a prendere parte al suo gruppo, cercando quasi di giustificare le sue scelte.

La costruzione del fascismo, fino all’apice della dittatura totalitarista, è forse un tabù: nella visione collettiva (anche nelle stessa dei nostalgici del periodo) cristallizza la vicenda fascista negli anni al governo, accentuando la vicenda della Seconda Guerra Mondiale.
Il Mussolini di Marinelli, di Scurati e di Wright è un uomo, rozzo e ignorante per certi versi, che vive e costruisce il suo potere nei tradimenti e nella retorica trasformista.
Questa miniserie dona una panoramica della figura del duce, partendo dal Mussolini socialista, dalla direzione dell’Avanti, poi de Il popolo d’Italia, ancora di Gerarchia. L’ascesa al potere di un uomo, un semplice uomo, che per certi versi ha conquistato e diviso l’Italia. Viene evidenziato come la costruzione del potere sia stata altalenante, tra menzogne, esosità e violenza.
Gli effetti speciali, l’estremismo della camera e della recitazione, la complessità degli eventi storici conducono la produzione verso una meta precisa: mostrare la costruzione non solo del fascismo, ma anche del suo condutture, lvi.

La costruzione del personaggio di Mussolini ci mostra un processo di affinamento: dall’uomo romagnolo, socialista, forse un po’ rozzo fino ad arrivar all’ispiratore del nazismo.
Il processo di ascesa di Mussolini e le camice nere è lento, serpentino, a tratti incredibile (nel senso, è difficile crederci), ma che – in qualche modo – funziona.
La rappresentazione della nascita del partito fascista
La storia del partito fascista è uno degli aspetti centrali della serie.
La prima puntata ci mostra un Mussolini, già ben armato di retorica, attorniato dai ricordi della gioventù socialista, che inneggia alcuni reduci della Prima guerra mondiale.
Già dal principio, Marinelli rivolge lo sguardo in camera, cercando – in qualche modo – di convincere lo spettatore che quello che farà sarà giusto, giustificato e per il bene dell’Italia.

Insomma, la scena dell’osteria è forse esemplare: inizialmente, i fascisti, altro non erano un gruppo di una decina di uomini che seguivano gli ordini di un ex socialista, invasato quanto loro ma meno intraprendente.
Ben vediamo come, la cultura della violenza – intrinseca nella costruzione del consenso per il fascismo – veniva operata dai “cani” di Mussolini, mai da lui stesso.
L’ideologia alla base del fascismo cambia in relazione alle necessità: Mussolini è il trasformista per eccellenza. D’altro canto, questo adeguarsi alle condizioni e alle richieste storico-sociali ha favorito l’attecchimento dei valori e dell’ideali fascisti.
La miniserie riesce a delineare un percorso di costruzione di ideali, simboli, fiducia, patriottismo ed estasi riguardo uno dei movimenti politici che ancora ad oggi risulta divisivo.
Il fascismo non è mai rimasto puro e fedele ai suoi ideali: ha cambiato strada, valori, obiettivi. La costruzione del partito è buia tanto quanto la figura di Mussolini, che è riuscito nella sua impresa grazie al fanatismo che si è creato nei suoi confronti, diffusoti capillarmente in tutti gli strati sociali.
Mussolini: la caricatura del superuomo
Il Mussolini di Scurati (con le sembianze di un irriconoscibile Luca Marinelli) colpisce la pancia degli spettatori.
La funzione cinematografica e retorica del personaggio è quella di inserire colui che lo osserva nel processo di costruzione politica, renderlo partecipe (l’espediente della quarta parte, ricordiamolo), quasi facendolo sentire colpevole e parte delle sommosse fasciste.

Luca Marinelli ha sostenuto di essersi ispirato ad alcuni filmati presenti sull’archivio Luce, che ritraggono Mussolini nei momenti di gloria: dai discorsi dal balcone di Palazzo Venezia alle visite ai contadini. La trasformazione fisica e le doti attoriali di Marinelli hanno fatto il resto.
Ma, allora, perché la rappresentazione del dux del fascismo ci appare così iperbolica, esosa, grottesca? In realtà, lo era.
L’atteggiamento assunto da Mussolini durante le prime fasi della costruzione della retorica fascista doveva rappresentare la figura di un superuomo, un leader, un comandante in nome di cui tutti avrebbero sacrificato se stessi. Poi, che le imprese pubblicizzate fossero racconti inventati, è un’altra storia.
La capacità retorica, ben mostrata all’interno della miniserie, ha cercato di far leva su una ferita ancora aperta – la vittoria mutilata nella Prima Guerra Mondiale – ma anche sui sentimenti, il senso di esclusione, di paura e di tradimento che ha travolto migliaia di italiani nel primo dopoguerra.
L’abilità di Mussolini di attirare le masse ha fatto leva su una condizione storica, culturale e sociale che ha caratterizzato l’Italia nel primo dopoguerra. Una volta conquistata la massa – i “cani”, li avrebbe definiti Mussolini – la costruzione del consenso è venuta in maniera spontanea.
La descrizione di Mussolini – dai documenti storici alle produzioni romanzate – si colloca in un’aurea ben precisa: la costruzione del forte uomo politica, unito a un’aurea di misticismo e cristologica; capacità riportate ripetutamente nel Mussolini di Scurati.
Non è ben chiaro come Mussolini sia riuscito ad avere tanta influenza sulle masse.
Le doti oratorie e giornalistiche, unite a una prossemica ben studiata hanno contribuito a realizzare il mito del superuomo, l’uomo politico che ha conquistato l’Italia.

La produzione ci mostra più volte la devozione, al limite del mistico e del fanatismo, che i fascisti provano nei confronti del loro capo; unita alla capacità di Mussolini, in maniera grottesca, di inserirsi negli ambienti politici. Eppure, più volte, ci vengono proposte delle occasioni in cui Mussolini è totalmente fuori contesto (le corse ippiche, le cene a cui Margherita Sarfatti vorrebbe presentarlo come il grande uomo politico; ma, alll’epilogo, si rivela alquanto inadatto a certi ambienti).
Le inquadrature ci mostrano un’imponente figura politica, nelle stesse scene di sesso: la camera lo riprende dal basso, spesso occupa l’intero schermo, con uno sfondo oscurato. Queste scelte tecniche tentano la ricostruzione dell’uomo d’azione.
Ma, in fondo, come sullo schermo lo stesso meccanismo di costruzione è avvenuto nella realtà: Mussolini ha cercato di erigersi su un piedistallo, al di sopra del popolo che tanto lo osannava, ma del grande uomo politico aveva ben poco. E la strumentalizzazione di avvenimenti storici e personali ne è la prova.

La prossemica, l’impostazione del corpo, la voce: tutto di Marinelli è modificato affinché riporti sullo schermo il dittatore fascista. Il lavoro di ricerca portato avanti da Scurati, dalla produzione e da Marinelli cerca di ricomporre una sorta di puzzle, mostrandoci la costruzione del Mussolini della Seconda guerra mondiale, quello dell’alleanza con Hitler.
Da una parte, infatti, la nascita della figura di Mussolini, la costruzione del mito dell’eroe legato al capo del fascismo, è forse una realtà ancor poco trattata nella cultura popolare.
Perché la serie infuria i nostalgici?
La produzione ha diviso la critica: coloro che ne lodano l’estetica, la recitazione, la costruzione scenica e altri che attaccano ogni particolare, gridando all’inesattezza storica e la satira.
Il problema, ad oggi, di realizzare un prodotto culturale sul fascismo è la nostalgia verso di esso.
E’ evidente (purtroppo) che la nostalgia dei valori fascisti e della figura di Mussolini è ancora presente tra gli italiani, e questo rende la creazione di una serie che sottolinea le criticità e le contraddizioni di quel periodo, dura da assimilare.
M. Il figlio del secolo mostra la verità dietro il fascismo, sottolineando soprattutto la cultura della violenza, ma anche la figura ai limiti del caricaturale che Mussolini ha costruito nel tempo.
La nostalgia dei cittadini italiani verso il ventennio è cieca davanti la storia: “Mussolini ha fatto anche cose buone!” urlano a gran voce, ma quali?
La produzione di Joe Wright è, in poca parte, romanzata ma ciò non toglie che la maggior parte dei fatti narrati e le modalità in cui sono avvenuti, siano reali.
E la realtà è che Mussolini non era un gran uomo, ma la retorica populista è riuscito a farlo credere tale; e, forse, ci riesce ancora oggi.
In fondo, la serie cerca di darci un avvertimento: il fascismo non è piombato nelle vite degli italiani da un giorno all’altro, come un fulmine a ciel sereno; ma un’abile e violenta esperienza che si è instaurata attraverso la ricerca del consenso, a qualunque costo e con qualunque strumento.
Il tema, mai dimenticato dagli italiani, è tornato alla luce con l’elezione dell’attuale governo, guidato da Giorgia Meloni; la formazione governativa fa storcere il naso a metà Italia: troppe amicizie, troppe simpatie nostalgiche per il ventennio, poca sostanza. Un formazione politica che, forse, richiama alla disfatta del governo fascista.

Autrice: Michela Berti
Ho 23 anni ma sento di essere rimasta ferma ai miei amati 18. Sono innamorata del cinema, dell’arte e della scrittura, potreste chiudermi in un museo e non vedermi più uscire. Parlo di qualsiasi cosa, anche se cerco sempre una scusa per nominare Alberto Angela o i miei fervidi ideali femministi. Vorrei fare la scrittrice, ma anche la giornalista, e la divulgatrice, o la direttrice di un museo, e tante altre cose. Parlo di cinema e cultura su TikTok (@lanternamagica)