Il Lume – Sacro e profano nell’arte del Medioevo

Quando un’opera è un palinsesto: da un sarcofago alla Madonna

Avete presente quelle opere poco conosciute, poco valorizzate, mai viste sui libri di testo? Quelle opere a cui spesso non si fa caso, magari frammenti rovinati o pezzi non restaurati che poco piacciono all’occhio? Spesso celano pagine di storia ancora intonse, ma la difficoltà è proprio nel saperle comprendere, data la scarsa fama che a volte tocca in sorte ad alcuni oggetti.  

Un esempio perfetto è un piccolo affresco, poco illuminato e abbastanza scolorito, che si trova a Massa Marittima, nella cattedrale della città. Un affresco su cui spesso non si sofferma il turista, attirato piuttosto dalle tante altre opere che danno grande fama a questa chiesa.

Vediamo insieme come dipanare la sua storia.

La Cattedrale di San Cerbone

La Cattedrale di Massa Marittima è dedicata a San Cerbone, Vescovo di Populonia dal 570 al 573, patrono della città. L’edificio fu iniziato a partire dall’XI secolo, e costituisce un notevole esempio di architettura romanico-gotica. Oltre alla grandiosa struttura, quel che più colpisce è l’enorme quantità di opere conservate al suo interno (nonché di quelle che un tempo vi si trovavano, e che oggi sono esposte al Museo di San Pietro all’Orto).

Cattedrale di San Cerbone, Massa Marittima, Piazza Gabribaldi.

Alcuni esempi sono l’Arca di San Cerbone di Goro di Gregorio (1324), uno dei massimi capolavori della scultura gotica italiana, con scene della vita del Santo e i suoi miracoli, oppure il Fonte Battesimale in travertino di Giroldo da Como (1267). Veramente cattura lo sguardo la Maestà della scuola senese di Duccio di Buoninsegna (1316), ma anche la Croce dipinta di Segna di Bonaventura è tra le tante opere che certo non passano inosservate qui dentro.

arca san cerbone
Arca di San Cerbone, Goro di Gregorio, recto.
arca san cerbone
Arca di San Cerbone, Goro di Gregorio, verso.
Fonte Battesimale, Giroldo da Como.
maestà duccio
Maestà di Duccio di Buoninsegna.
crocifisso duomo di massa marittima
Croce dipinta, Segna di Bonaventura.

Ma numerosissimi sono i piccoli capitelli, colonnette o pezzi di muro che meriterebbero anch’essi attenzione. Sono opere di cui, per un motivo o un altro, si è persa memoria. Con questa, anche l’interesse che spinge i visitatori del Duomo a soffermarsi su questo tipo di manufatti. Così facendo, si instaurerebbe un circolo vizioso che porta questi oggetti verso un immeritato oblio.

massa marittima duomo
Dettaglio del portale maggiore: architrave con storie della vita di San Cerbone e teste animali.

L’opera: un palinsesto fra pittura e scultura

Una semplice nicchia affrescata, in un angolo buio sulla parete della navata sinistra. L’opera si presenta così, molto frugale, mal conservata. Pezzi di intonaco si sono staccati e quel che è rimasto non ha più il colorito sgargiante come in origine. Ma che il turista (o il fedele) non cada in errore! Questo piccolo fazzoletto di muro dipinto è in realtà un palinsesto dal grande valore storiografico.

Madonna con Bambino e Santi, anonimo, Duomo di Massa Marittima.

L’iconografia è semplice: al centro, a mezzo busto, Maria Vergine tiene in braccio Gesù bambino, e ai lati ha due altri santi. Alla nostra sinistra, San Francesco – con l’abito monacale, la tonsura e un libro tra le mani. A destra invece Santa Caterina d’Alessandria, con i suoi attributi legati al suo martirio: la palma e la ruota. È evidente la gerarchia proporzionale, così didascalica, che fa apparire le due figure centrali più alte e grandi delle laterali – la testa di Gesù Bambino è grande quasi quanto quella di Santa Caterina.

Alle spalle dei santi si alza una struttura cuspidata, che termina con due colonnine decorate ai lati. Sembrerebbe quasi un grande trono, e il seggio centrale, il più alto, spetta ovviamente alla Madonna e a suo figlio. Le figure però sono chiaramente stanti: è come se la pittura a muro si fosse affidata alla soluzione iconografica della pittura su tavola, ovvero il polittico. Con questa lettura acquistano un forte senso decorativo anche le due colonnette agli angoli, che rappresentano quella parte di falegnameria posta a cornice laterale, appunto, per i polittici.

La pittura senese a Massa Marittima

Lo stile è asciutto, tipico della pittura dell’ambito senese di Ambrogio Lorenzetti. Proprio a pochi metri da questa pittura, sulla medesima navata, si trova infatti un’altra Madonna, un’Annunciata di fronte all’Arcangelo Gabriele, attribuita proprio ad Ambrogio. Ma il confronto è ancora più chiaro con un’altra opera di Massa Marittima, nella Chiesa di San Pietro all’Orto: una Madonna in trono attribuita alla bottega di Ambrogio Lorenzetti. I due Bambinelli sono davvero diversi nei volumi e nella resa delle membra infantili, ma è sufficiente gettare uno sguardo al volto di Maria per capire che la bottega è la stessa. Anche se la qualità e la conservazione delle due opere sono davvero diverse, i due visi sono praticamente sovrapponibili. Non è da scartare l’idea dell’uso di un medesimo cartone, magari per soddisfare la grande richiesta di icone di questo tipo alla bottega.

madonna con bambino
Madonna con Bambino, bottega di Ambrogio Lorenzetti, S. Pietro all’orto.
annunciazione lorenzetti
Annunciazione, Ambrogio Lorenzetti, Cattedrale di San Cerbone.

Ma qual è la particolarità di quest’opera?

Alla base dell’affresco vediamo che il muro non continua, come dovrebbe normalmente, dritto, ma è aggettante verso di noi. Un grande parallelepipedo di marmo vi è posto sotto: probabilmente fungeva da mensola, magari era un piccolo altare laterale a muro, per offerte e preghiere a Maria e ai due santi al suo fianco. Ma questo altare non è certo coevo alla pittura. Siamo di fronte alla coesistenza di due elementi, la pittura e la scultura, di due epoche diverse. La prima è medievale e cristiana, la seconda romana e pagana. Il cosiddetto altare è infatti un antico sarcofago Romano.

Il sarcofago:

sarcofago romano massa marittima
Sarcofago romano sottostante alla pittura.

Oltre al modellato, chiaramente classico, o almeno di molto anteriore alla pittura, è fondamentale l’iconografia. Al centro vediamo un volto di donna, ormai rovinato – o scalpellato per cancellarne la memoria? – e illeggibile, inserito all’interno di un clipeo rotondo. Questo è sorretto da due figure alate speculari, che fluttuano in volo: sono due personificazioni della Vittoria. Al di sotto, si affrontano due leonesse e, davanti a loro, due cornucopie strabordano di frutti.

Ciò che è più curioso qui, però, sono le due figure che si ripetono agli angoli: due giovani fanciulli uno di fianco all’altro, dagli incarnati pieni come le Vittorie, ma con sembianze più infantili. Lui nudo, e lei vestita di un elegante drappo all’antica, si stringono in un abbraccio in entrambe le scene. Ai loro piedi si trovano una faretra, a sinistra, e un arco, dal lato opposto.

Dettaglio del sarcofago: le due figure sull’angolo a sinistra…
…e a destra.
Dettaglio del sarcofago: la faretra sotto alla Vittoria Alata di sinistra.
L’arco sotto alla Vittoria Alata di destra.

Il mito rappresentato

Ecco che deve venire in nostro aiuto il riconoscimento iconografico. Per identificare questi due soggetti, e capire perché sono ripetuti, occorre osservare intanto le loro ali. Quelle di lui sono ali di cherubino, mentre quelle di lei sono ali di farfalla. Siamo indubbiamente di fronte ai due personaggi partoriti da Apuleio nel II secolo d.C., Amore e Psiche. In arte infatti, Psiche viene spesso raffigurata con le ali di farfalla, sebbene fosse una semplice fanciulla e non una creatura mitologica, perché il suo nome in greco, Ψυχή, significa sia anima – da qui assume significato il mito, che racconta l’unione fra l’Eros e l’Anima, coì da raggiungere l’immortalità – ma significa anche farfalla. Si crea così un rapporto speculare fra il figlio di Afrodite, uomo dalle maestose ali piumate, e la sua amata, che invece le ha minute, sottili e colorate.

Perché proprio Amore e Psiche?

Nel sarcofago, i due si abbracciano assumendo pose simmetriche e alternate, cingendosi con le braccia in un bacio pieno di affetto. Nella seconda raffigurazione, quella a destra, in particolare Psiche carezza la guancia di Amore, mentre lui mette la sua mano sul ventre di lei. Occorre allora chiedersi se questo gesto sia soltanto un abbraccio o se il lapicida abbia voluto alludere alla scena conclusiva del racconto di Apuleio. Dopo il banchetto per festeggiare la loro riconciliazione e l’arrivo di Psiche fra gli dèi immortali, i due si unirono in matrimonio: da questa unione nacque una figlia, Voluttà. La mano di Amore sul grembo della sposa potrebbe quindi rimandare all’attesa del frutto del loro matrimonio. Forse, allora, il sarcofago ospitava la salma di una moglie, amata dal marito come Amore amava Psiche, e probabilmente la defunta romana aspettava da lui un figlio.

La contaminazione fra pagano e cristiano

A prescindere da questa ultima possibile lettura iconografica, questa giustapposizione di sarcofago e affresco, di sacro e profano, crea non pochi problemi. Un duomo romanico, ricco di opere sacre, di Santi, di Madonne e di Bambinelli, di padri della Chiesa e di Crocifissi, ospita un sarcofago romano. Ma non un sarcofago qualunque: uno che raffigura proprio il mito sulla nascita della voluttà. Una storia di passione e desiderio, che narra di due amanti destinati ad essere separati – Venere, gelosa della bellezza di Psiche, voleva che Amore la facesse innamorare dell’uomo più vile e disgraziato della terra. Una storia risolta in un lieto fine, certo, ma sicuramente non concepita per il contesto cristiano.

Amore, Psiche e la Vergine Maria

Ecco, tutto questo si trova non solo in una cattedrale, ma sotto gli occhi della Vergine Maria, di Gesù Bambino e dei due santi. L’Immacolata, il concepimento senza peccato, convivono nello stesso spazio del mito dell’amore erotico. Non è un caso isolato, questo, di reimpiego di materiali di spoglio, cioè di elementi architettonici o decorativi che sono stati riutilizzati soprattutto in epoca medievale (ma non solo) ma che appartenevano ad opere antiche, romane o greche. La causa era specialmente il bisogno di materiali pregiati, come appunto il marmo, che fossero già disponibili, lavorati e decorati. Questi oggetti spesso avevano già perduto la loro originale funzione, il loro significato del contesto culturale di partenza, e quindi gliene viene attribuito uno nuovo per la loro seconda vita, con forzature più o meno evidenti.

In questo caso, il sarcofago romano sembra fungere da mensola, da piccolo appoggio per un altarino laterale, magari per candele o fiori (è difficile immaginarsi altro, come ostensori o reliquiari, data la posizione infelice dell’affresco, vicinissimo alla controfacciata). Ma la contaminazione fra sacro e profano, o meglio il ricondizionamento del profano era una pratica non rara nel Medioevo.

Non un caso isolato: San Frediano…

Anche a Pisa possiamo vederne dei casi. Ad esempio, nella Chiesa di San Frediano, la chiesa degli universitari, fra Piazza Dante e Piazza dei Cavalieri, l’architrave del portale centrale non è romanico, come il resto della facciata, ma è una manifattura romana del IV secolo d.C. Il cornicione in marmo è decorato con finissimi motivi a intreccio, nell’ordine più alto, e a scendere poi con una fila di ovuli, poi astragali e fusarole, e ancora con altri motivi geometrici e floreali. Questi modellati così ben eseguiti sono proprio la causa del reimpiego: si vuole nobilitare l’entrata di uno spazio sacro con un elemento architettonico di altissima qualità, anche se ciò significa utilizzare qualcosa fatto verosimilmente per un edificio pagano.

Architrave romano, portale centrale di S. Frediano, Pisa.

… e il Duomo di Pisa

Ben più evidente è il caso della Cattedrale di Pisa, in Piazza dei Miracoli. Oltre ai numerosi marmi di spoglio che ne costituiscono le pareti esterne – basta passeggiarci vicino per vedere decorazioni e scritte incise sulle varie lastre – l’elemento davvero curioso è in alto, su di una colonnina in corrispondenza dell’abside. È un grifone in bronzo, di fattura islamica, del XI secolo circa, e arrivato a Pisa forse in occasione della vittoria della Repubblica Marinara contro i Saraceni, alle Baleari (1113-1115).

Grifone islamico in bronzo: la copia dove fu posta la scultura, sul tetto del Duomo di Pisa.
Grifone islamico in bronzo, l’originale al Museo dell’Opera del Duomo.

Non è certa la sua funzione originale, forse era un acquamanile, forse parte di una fontana, o addirittura una sorta di strumento che faceva risuonare al suo interno il rumore del vento. Ad ogni modo, la sua bella fattura e il suo fascino lo portarono ad una particolare collocazione. Quasi come trofeo di guerra, fu posto nella zona considerata la più sacra della cattedrale: sul tetto, in corrispondenza dell’altare maggiore. Per giustificare il posizionamento di un oggetto pagano, decorato con iscrizione islamiche, proprio in quella posizione così santa, si paragonò la doppia natura del Grifone – sia a felino sia uccello – con la doppia natura di Cristo, che è Dio fatto uomo.

Per approfondire:
La Cattedrale di San Cerbone a Massa Marittima.
La Chiesa di San Frediano a Pisa.
Il grifone in bronzo al Museo dell’Opera del Duomo di Pisa.


Autrice: Giulia Badame
Studentessa di Storia dell’arte, classe 2002, aspirante medievista; amo disegnare e studio danza di carattere russo. Scrivo per la rubrica Il Lume: vai a leggere il mio ultimo articolo!

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