
Con folk-horror si indica quella branca dell’horror (letterario e cinematografico) che usa elementi del folklore per innestare nello spettatore un senso di paura e spaesamento. Forse con un esempio è tutto più chiaro: Midsommar. Perché in quel film ce la facciamo addosso anche solo quando la gente del posto balla? Per due motivi principali: a) non abbiamo mai visto nulla del genere e b) tutti sembrano capire esattamente ciò che sta succedendo tranne noi (e i protagonisti); questo vuol dire che non possiamo interagire con ciò che è intorno a noi, pena il dimostrare di essere estranei (altro esempio esaustivo, Eyes Wide Shut).

Ma fulcro di tale fiume di inchiostro non vuole essere Ari Aster, bensì di un altro genio fuori dagli schemi: Robert Eggers. Saltando le parti biografiche e accademiche, Eggers è uno dei cold case di Hollywood: i suoi film sono tra i più apprezzati da pubblico e critica, il soggetto e l’ambientazione cambiano a ogni pellicola ma con un filo rosso o, meglio, tre fili rossi; la paura, la follia e gli ultimi. In ognuno dei suoi 4 film troviamo almeno due di questi temi, e in ciascuno c’è l’elemento del folklore: Eggers, attraverso un’analisi approfondita delle credenze mitologiche, delle leggende e delle fonti storiche, crea ambienti in cui noi spettatori ci sentiamo non solo estranei, ma anche non graditi. Perché questo meccanismo funziona così efficacemente? Perché i personaggi principali sono gli ultimi, oppressi da un sistema di credenze, da una struttura sociale repressiva e dalla malvagità altrui; sono costretti a lottare per la sopravvivenza, e questa lotta li conduce alla follia.
Che poi la struttura narrativa sia il viaggio dell’eroe, la caccia alle streghe o l’asfissia mentale, quello che risalta è la persecuzione indiscriminata dei protagonisti. E il folk, in questo, è il motore principale: in The Witch Thomasin è costretta ad aiutare la famiglia ben oltre le proprie capacità e a essere incolpata di stregoneria solo perché donna in un ambiente puritano; i due Thomas di The Lighthouse sono vittime colpevoli di essere gli ultimi della catena sociale, costretti quindi a isolarsi per settimane per ricevere (forse) qualche spicciolo; l’Amleto di The Northman ha la colpa di essere figlio del re, e quindi deve prima scappare dal regno che è suo per diritto di nascita, e poi lottare solo per poter esistere; infine, Thomas (nome quanto mai ricorrente nella produzione di Eggers) in Nosferatu è l’ultimo di una ricchissima agenzia immobiliare che, per fargli sperare in una promozione, lo costringe ad andare da un vecchissimo nobile molto lontano per vendergli una catapecchia sovra prezzata (questo nobile si rivelerà essere niente di meno che Dracula, un affarone).
Come la cultura che circonda i nostri protagonisti li costringe al fondo della catena sociale, come spettatori, noi stessi dobbiamo sopportare la fatica di fare fatica anche solo per capire dove, quando e perché siamo. La forza di Eggers sta proprio nel rendere il folklore agente attivo nelle sue pellicole, come fosse un vero personaggio che, a differenza dei protagonisti, può interagire con lo spazio circostante.


Con folklore ci si avvale della definizione che ne dà Antonio Gramsci nei suoi Quaderni dal carcere: l’insieme delle tradizioni, credenze e pratiche popolari che riflettono la cultura e l’identità di un popolo. Esso rappresenta una forma di resistenza culturale e una visione alternativa rispetto alle narrazioni ufficiali imposte dalla società dominante. Senza cadere troppo nella sociologia e rimanendo su Eggers, è chiaro quindi che quello che vediamo nei suoi film è una cultura assolutamente subalterna e mai egemone: questa scelta è pienamente evidente in quello che è a considerabile il suo miglior film, ovvero The Lighthouse. Pattinson e Dafoe sono costretti da una classe egemone a vivere completamente da esclusi e alienati dal mondo circostante, solo con ciò che la stessa classe egemone gli permette di avere. Anche l’incipit di The Witch sottolinea la scelta di una classe dominante che confina in un luogo arido e dimenticato da Dio la classe subalterna, portandola inevitabilmente alla pazzia e all’odio.

Se a questa lettura si aggiunge la scelta di un cast sempre perfetto (d’altronde se hai Willem Dafoe e Anya Taylor-Joy come muse non puoi sbagliare) e una messa in scena che ha dell’incredibile, il risultato che ne consegue è un regista come Robert Eggers, forse l’artista più visionario e talentuoso del XXI secolo, Non si parla solo di un talento artistico e di scrittura, ma soprattutto di una consapevolezza dei mezzi che gli permette di avere sempre un risultato omogeneo in se’ ed eterogeneo nel mercato mainstream hollywoodiano.


Le opere di Eggers fungono da avvertimento sui rischi di una cultura di massa completamente omologata. Pier Paolo Pasolini analizzava il fenomeno dell’industrializzazione urbana e il conseguente svuotamento delle aree rurali. Il paradosso della società capitalistica dell’epoca risiedeva nel fatto che artigiani, contadini e operai erano indotti ad acquistare utensili in plastica, industriali e di scarso valore, mentre tra i borghesi si diffondeva la moda dell’arredamento in legno e degli utensili da cucina in rame. Pasolini definiva questo processo come folk-revival; Eggers, attraverso il suo folk-horror, affronta una situazione che, sebbene non radicalmente diversa, risulta ancor più problematica. L’idea che i suoi protagonisti vivano nelle briciole della classe dominante è rafforzata dallo stile visivo (il cinema è un’arte visiva, d’altra parte), che riprende ora l’espressionismo tedesco, ora le illustrazioni dei bestiari e ora Van Gogh: la costante è la distorsione (memore dello stile espressionista) della realtà, che si piega verso la follia e la paura dei personaggi. A volte le distanze e gli spazi sembrano cambiare da scena a scena; in Nosferatu vediamo l’alternarsi di scene a colori e in bianco/nero (scelta tanto modaiola quanto, a mio avviso, efficace); in The Lighthouse i personaggi e gli oggetti si sostituiscono tra di loro (il faro, brividi); sempre in The Lighthouse, Eggers sperimenta con il formato in bianco e nero e un rapporto 1.19:1, che conferisce al film un aspetto claustrofobico e vintage, accentuando il senso di isolamento dei personaggi. La colonna sonora, composta da suoni ambientali e rumori inquietanti, amplifica la tensione e il senso di disorientamento; in The Northman vediamo un “albero della vita” delle tradizioni norrene con i nostri occhi. Tutte queste sono scelte che derivano dalla già citata consapevolezza dei mezzi totale di Robert Eggers.




Questo articolo, queste considerazioni nascono dalla maratona che il cinema Beltrade di Milano ha organizzato nella notte tra il 31/12/24 e il 1/1/25, in occasione dell’uscita italiana di Nosferatu: dopo l’ultima fatica, il Beltrade ha proiettato di fila i tre film precedenti di Eggers. Alla fine di questo tour de force si insinua silente il pensiero di quanto il folk-horror sia in grado di aprire così tante finestre, avere così tante idee e a quanto sia difficile saperlo fare bene. Robert Eggers è solo uno dei tanti esempi nati in seno a questa fiumana di pensieri, a cui possono affiancarsi le produzioni di Ari Aster, Jordan Peele e Bong Joon-ho. La scarsità di registi capaci di realizzare pellicole di questo genere, o quantomeno di farlo in modo efficace, sottolinea le sfide intrinseche legate al folklore, che da anni è oggetto di studio nell’ambito dell’etnologia e rappresenta, in parte, un dramma irrisolto.
Sperando che abbiate trovato questi pensieri utili e interessanti, auguro a tutte e tutti voi una buona continuazione di giornata. Per dubbi, chiarimenti o per dare una vostra opinione (potete insultarmi) vi aspetto su Instagram @https.vasco. A presto!
Per approfondire Pasolini e il folk-revival: https://www.corriere.it/speciali/pasolini/potere.html e https://www.eretici.org/pier-paolo-pasolini-la-scomparsa-delle-lucciole/
Per approfondire il folklore secondo Gramsci: https://quadernidelcarcere.wordpress.com/2014/09/17/folclore/ e https://www.enricoberlinguer.org/home/glossario-gramsciano/55-cultura-popolare.html

L’autore
Vasco Calabrese
Studente di Beni Culturali di giorno e intellettuale maledetto di notte. Mi piace andare al cinema, leggere, andare ai musei e le solite cose. Nel tempo libero gioco (male) a scacchi ed esprimo le mie opinioni spesso non richieste. Cerco di approfondire quello che guardo e che leggo al massimo delle mie possibilità, ma probabilmente se siete in disaccordo con me avete ragione voi. Qui trovate l’ultimo articolo che ho scritto.