IL LUME – Alphonse Mucha al Museo degli Innocenti

Dal 27 ottobre 2023 al 7 aprile 2024 si è tenuta, presso il Museo degli Innocenti a Firenze, la mostra Alphonse Mucha. La seduzione dell’Art Nouveau, a cura di Tomoko Sato e con la collaborazione di Francesca Villanti. L’esposizione copriva vari filoni della produzione artistica di Mucha, snodando il percorso fra manifesti per il teatro, oggetti di design, pubblicità per i prodotti più svariati, comprendendo infine una sezione per l’Art Nouveau in Italia.

Il celebre pittore è considerato quasi unanimemente fra i padri fondatori dell’Art Nouveau. Certamente un artista a tutto tondo, ha riscosso enorme successo principalmente grazie alle numerose pubblicità che, entro l’inizio del XX secolo, tappezzavano la Francia nel pieno fervore della belle époque. Non si limita alle grandi litografie, le celeberrime affiches per sponsorizzare spettacoli o mostre, ma disegna anche per confezioni di profumi, gioielli, decorazioni da interni, scatole di biscotti e molti altri generi di prodotti, in perfetto allineamento con ciò che le Secessioni degli anni Novanta stavano portando avanti: un’opera d’arte che fosse totale, e la necessità, dunque, di artisti pronti a sperimentare anche nel campo delle arti decorative.

Cenni biografici

Alphonse Maria Mucha (1860-1939) nasce a Ivančice, nella Moravia asburgica. Il suo percorso di formazione artistica non è certo tradizionale. Cresce a Brno, e qui non trova molti stimoli per coltivare le sue doti. Si diletta quindi come disegnatore, lavorando nella decorazione teatrale e come vignettista. Viene giù respinto dall’Accademia di Praga e dopo un anno (1879) si trasferisce a Vienna per lavorare presso uno studio di scenografia, dove ha la fortuna di conoscere Gustave Klimt e Hans Makart, anche se tre anni dopo viene licenziato. Torna in Moravia, dove studia presso l’Accademia delle Belle Arti di Monaco e Parigi grazie al sostegno di due conti. Così, ventisettenne, può finalmente diventare un pittore di storia a pieno titolo, interessandosi alla pittura civile legata all’indipendentismo ceco.

Autoritratto nello studio parigino di Rue de la Grande-Chaumière, 1892

 Nel 1888 entra poi nell’ Académie Colarossi, ancora a Parigi. Mucha non è certo in una posizione vantaggiosa: innanzitutto è uno straniero per il suolo francese, e soprattutto, per la sua età, non dovrebbe essere più un esordiente. Non è ancora inserito nei giri del mercato dell’arte, ad ha oltretutto esaurito ogni appoggio economico. Tuttavia il clima parigino è fervido e perfettamente stimolante. Oltre a frequentare la compatta comunità boema, stringe anche un’amicizia con Paul Cézanne, Camille Claudel e Paul Gauguin. È attraverso quest’ultimo che conosce i Nabis della prima ora, ma non si convertirà all’avanguardia.

Nel 1895 inizia la sua collaborazione con l’attrice Sarah Bernhardt, il suo vero e proprio trampolino di lancio. Ben presto acquista grande successo, e viene riconosciuto fra le figure artistiche principali della Francia della belle époque. Diventa il nume del Salon della rivista “La Plume”, con cui organizza il Salon des Cent. Per questa iniziativa illustra numerosi manifesti, pienamente accordati con il suo riconoscibilissimo stile seducente ed elegante.

XXème Exposition du Salon des Cent, 1896
Copertina della rivista La Plume
Copertina del catalogo della mostra del Salon des Cent, 1897

Già nella copertina del catalogo vediamo con chiarezza la nostalgia per la madre patria: la donna indossa il tipico berretto moravo, che è impreziosito da margherite, rimando ai prati della terra natia. Il cartiglio che tiene in mano, poi, raffigura tre corone intrecciate – di fiori, di spine e di frutti – che si intersecano sul cuore centrale, simbolo delle sorti della Patria. Questo forte sentimento nazionalistico non lascerà mai la produzione di Mucha, il quale rimane sempre attivo, attraverso le sue opere, nella lotta per l’indipendenza ceca.

Nel frattempo inizia a sperimentare anche in ambito fotografico, scattando immagini di cui si serve per la realizzazione delle affiches. La mostra di Palazzo degli Innocenti ha indagato questo suo modo di operare mettendo a confronto fotografie ed illustrazioni.

Smeraldo, dalla serie delle Pietre preziose
Rubino, dalla serie delle Pietre preziose
L’autunno, dalla serie delle Stagioni

Inizia allora ad uscire dalla tecnica pittorica: nel 1899 riceve delle commissioni dal gioielliere parigino Georges Fouquet. Da qui al 1901 gli chiede di realizzare non solo gioielli ma anche la sua nuova boutique. Nasce un capolavoro di Art Nouveau, un’opera totale che unisce scultura, mosaico, ebanisteria, vetrate, e pittura. Tutto ciò avviene sotto la sapiente regia di Alphonse.

Fotografia della vetrina della Boutique Fouquet
Disegno preparatorio per il caminetto della Boutique

Fondamentale è anche il legame che ha l’artista con la propria dimensione religiosa. Cresciuto in seno alla Chiesa, fin da giovane sviluppa un forte legame con il cattolicesimo, e fu iniziato come apprendista nella Loggia dei massoni di Parigi (1897). Più volte ha infatti specificato come la sua arte sia mossa da “un’esigenza spirituale”. Ciò è chiaro nella serie di litografie Le Pater (1899), che Mucha stesso descrive così: «Ecco il lavoro in cui ho messo tutto il mio cuore e tutta la mia anima. Si chiama il Padre Nostro ed è la versione celebrativa della preghiera». Le pagine illustrate analizzano il modello di preghiera cristiana: le litografie sono pregne di simbolismi massonici, e sicuramente distanti dallo stile leggero e seducente dei suoi modelli laici. Un’opera senza precedenti, che scardina le tradizioni figurative e che mette in discussione qualsiasi modello iconografico dell’arte cristiana.

Frontespizio di Le Pater
Interpretazione di “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”
Interpretazione di “non abbandonarci alla tentazione”

Nel frattempo conosce anche Auguste Rodin e intraprende i suoi numerosi viaggi negli Stati Uniti, dove capisce la forza del suo legame con la madre patria: grazie a un uomo d’affari che si fa suo mecenate riesce a mandare avanti la produzione artistica, spinto da un forte sentimento patriottico, e diventa il primo vero artista nazionale ceco.

Inizia dunque a lavorare all’Epopea Slava (1910-1918) che termina proprio il giorno della proclamazione della nascita della Cecoslovacchia. L’opera è un sogno ambizioso, che gli occupa moltissime ore giornaliere di faticoso lavoro, per svariati anni. In questo tempo legge e viaggia molto nei paesi slavi e nei Balcani, per studiare gli usi e costumi locali. Rappresenta ben trenta episodi tratti dalla storia delle nazioni che ha visitato (stavolta, lavora su dimensioni davvero importanti, servendosi di impalcature alte sei metri) dando vita così a miriadi di di figure in grado di parlare alla gente.

Mucha che lavora all’Epopea Slava nel suo studio in un castello della Boemia, dove si trasferisce appositamente per ospitare le sue grandi tele
L’Epopea Slava: Personificazione della Musica, 1928

Nel 1934 si trasferisce a Praga, ma cinque anni dopo arrivano le truppe naziste ad invadere la città. Mucha viene imprigionato per alcuni giorni a causa del suo rilievo politico, e muore mesi più tardi.

Il sodalizio con Sarah Bernhardt

La vera svolta nella carriera di Mucha avviene nel 1895, quando entra in contatto con una figura rivoluzionaria. Come si è detto, questa è Sarah Bernhardt, esordiente attrice dal profilo controverso. Costruisce il suo personaggio pubblico in un senso del tutto moderno, alimentando i gossip e le dicerie sul suo conto.

Esordisce già nel 1872, ma la sua fama sboccia quando inizia a lavorare al Théatre de Renaissance: il 26 dicembre 1894, la notte di Santo Stefano, “la Divina” trova l’unico artista disponibile nel periodo natalizio per commissionargli, entro pochi giorni, il manifesto per l’opera teatrale di Gismonda. Questo è proprio Mucha, che all’epoca faticava ancora a farsi notare sul mercato dell’arte in Francia. Allora si mette all’opera, e il 1° gennaio il manifesto è affisso: mentre cresce lo scalpore fra le vie di Parigi, nasce un’amicizia e una collaborazione vantaggiosa. Sarah si innamora subito dello stile iconico dell’artista, e gli propone un contratto in esclusiva di sei anni.

Gismonda, 1894
Dettaglio: alle spalle della Bernhardt si staglia il mosaico di una croce dorata e gemmata. Un’icona bizantina che esce dalla sua tavola.

Ben presto, le carriere dei due si allineano in un unico binario. La Bernhardt diventa musa ispiratrice che animerà gran parte della produzione di Mucha; egli dall’altra parte inizia proprio con lei a rendersi riconoscibile alle folle e a forgiare il suo stile irripetibile.

Médée (La Medea), 1898
La Samaritaine (La Samaritana), 1897

La mostra si apre, dopo una breve sezione dedicata alla biografia di Alphonse, proprio con questo sodalizio. I visitatori non possono che non rimanere incantati dalla modernità di una figura così singolare, e per molte sale sembra che la vera protagonista dell’esposizione sia proprio la Bernhardt. Effettivamente, anche nelle sezioni successive, il suo volto si ripete spessissimo, e diventa un fil rouge che accompagna l’intera visita – specularmente a come successe nella vita dell’artista. Ecco una testimonianza di Mucha riportata in questa sezione della mostra:

«Sarah è un’artista dalla testa ai piedi. Non badava alla moda, si vestiva da sola e i sarti, abituati alla normale routine, spesso avevano difficoltà nel soddisfare i suoi capricci. Nell’arte, come nell’abbigliamento, aveva sempre in mente un’idea globale e nulla riusciva a dissuaderla dal realizzarla. Non peccò mai di cattivo gusto; tutta la sua persona luccicava di gioielli, le piacevano molto gli oggetti insoliti. Possedeva un’enorme energia che metteva completamente al servizio dell’arte. Grazie a questa energia aveva trovato la sua strada, e l’aveva percorsa per oltre mezzo secolo. Gioie, sofferenze, speranze, sconfitte: tutto scompariva dalla sua anima non appena entrava in teatro e sentiva il flusso di simpatia e affetto che scorreva dalla sala verso di lei sulla scena. La sua vera vita era la l’unica che valeva la pena di essere vissuta.»

La princesse lontaine (La principessa lontana),1896

Il Mucha Style

Oltre che per le opere realizzate per la Bernardt, la figura femminile rimane una costante nella produzione artistica di Mucha. È anzi elemento fondamentale che rese ancora più universale ed accessibile la sua arte. Nel suo linguaggio vediamo distillati alcuni modi delle avanguardie, ma declinati in una pienezza visiva pronta a sedurre.

Teste bizantine: La bruna, 1897
La bionda, 1897

La linea di contorno è sapientemente modulata e crea effetti grafici che seguono squisitamente i profili delle sue figure. I colori non sono mai semplici stesure à plat, ma sempre attenti a finissimi giochi di sfumature. Mucha è davvero figlio del suo tempo: si lascia influenzare dalle stampe giapponesi, ben fedele alla moda del japonisme, non solo per le tonalità delicate ma anche per gli andamenti curvilinei delle pose; il taglio compositivo tuttavia è colto da un’altra cultura, quella bizantina. I soggetti sono ieraticamente centrali, e quasi sempre inquadrati da elementi decorativi che ricordano nembi, nicchie, archetti antichi. Le sue affiches sembrano, più che litografie, dei mosaici medievali. Si cala perfettamente nel clima Ottocentesco di recupero delle culture antiche e di amore per l’esoterico.

Pubblicità per il marchio di sigarette Job, 1896
Pubblicità per Moet & Chandon: Champagne White Star, 1899
Ladce Perfum “Rodo”

Tipico Ottocentesco è anche il suo focus sull’ornamento e sul decorativismo, che intanto veniva indagato dai pionieri del design. Sembra ispirarsi, infatti, proprio a Owen Jones e al suo “The Grammar of Ornament” (1856). Sperimenta infatti con le decorazioni che fanno da cornice alle sue sante donne, come anche fa per motivi floreali e fitomorfi, intrecci tipicamente orafi, capilettera, piume di pavone: tiene però sempre a mente gli effetti della grisaglia sulle vetrate gotiche. Crea così, nel 1902, i suoi Documents Decoratifs, un volume di settantadue tavole che serve da manuale per artigiani, grafici e studenti d’arte, e che è prova dell’illimitata fantasia del pittore.

Documents Decoratifs: motivi fitomorfi
Capilettera e arabeschi
Gigli

In generale, il Mucha Style ottenne la sua importanza per l’immediata leggibilità delle composizioni. Queste tappezzavano Parigi e venivano viste dalle masse, che avevano modo di apprezzare le sue novità tipiche dell’Art Nouveau. Lo stesso Mucha afferma: “preferisco essere qualcuno che crea immagini per le persone, piuttosto che qualcuno che fa arte fine a se stessa”. Lo ha ribadito la curatrice della mostra, Francesca Villanti:  

“Ha interpretato quelli che erano gli ideali dell’Art Nouveau, dell’idea di cambiamento di fine Ottocento, cioè rendere l’arte accessibile a tutti quanti, proprio perché per Mucha la bellezza serve ad educare lo spirito umano. È attraverso lo strumento della bellezza che si crea in qualche modo un popolo più unito e molto migliore.»

Illustrazione satirica di Adolphe Willette, “Pieuse Erreur” (Pio Errore): una donna scambia una pubblicità di Mucha per un’icona mariana.
Manifesto pubblicitario per le Bières de la Meuse

La scelta di Palazzo degli Innocenti

Perché, dunque, far ospitare la mostra proprio qui? Qual è la stata la scelta dei curatori?

Innanzitutto è necessario tenere a mente un importante dettaglio, purtroppo insufficientemente sottolineato nel pubblicizzare la mostra. Parte degli incassi delle vendite dei biglietti verrà devoluto da Arthemisia per progetti di tutela della salute delle donne. Questa associazione, infatti, collabora dal 2000 con Komen, nel progetto “Race for the cure”. I fondi raccolti sono destinati ad associazioni impegnate nella lotta ai tumori del seno che operano in Italia, ad istituire premi di studio e ad incrementare le tappe della Carovana della Prevenzione rivolte alle donne che vivono in condizioni di fragilità sociale.

Oltre a questa bellissima scelta di utilizzazione dei guadagni, proviamo ad indagare proprio l’ubicazione della mostra: il Museo degli Innocenti. La piazza Santissima Annunziata ospita sin dal 1445 lo Spedale degli Innocenti, nato come brefotrofio (luogo di accoglienza per i neonati illegittimi o abbandonati) grazie alla donazione del celebre mercante pratese Francesco Datini, mentre si deve la progettazione del loggiato che domina la piazza a Filippo Brunelleschi. Con questa sapiente costruzione egli pose le basi per i principi dell’architettura rinascimentale. Fece della modularità geometrica e della bicromia i suoi marchi di fabbrica, esplorando queste soluzioni nella sua prima opera architettonica.

La facciata dello Spedale degli Innocenti progettata dal Brunelleschi

Simbolo della cultura umanistica fiorentina, lo Spedale oggi ospita asili nido, una scuola materna, case-famiglia destinate all’accoglienza di bambini in affido familiare e madri in difficoltà, oltre al Museo e le sue centinaia di opere d’arte.

Mucha e lo Spedale

Questo spazio, per concludere, da più di cinque secoli si adopera in iniziative filantrope per la protezione dei bambini (gli Innocenti, appunto) e delle madri in difficoltà. È una realtà che ha visto l’impegno in prima linea delle donne: balie, nutrici, educatrici, suore, infermiere.

Azzeccatissima è allora la mostra di Mucha in tale contesto. Un luogo in cui le donne sono state protagoniste, ricoprendo ruoli fondamentali per queste sfortunate realtà, ospita oggi la celebrazione della donna artista e musa secondo la nuova concezione moderna che si stava iniziando a sviluppare dal XIX secolo. La figura femminile non manca mai in nessuna sala, sempre declinata dal pittore nella sua nuova affermazione di indipendenza. Non più simbolo di mera sessualità o scandalo, seduzione o voluttà; scompare in queste pubblicità la fragilità del “genere debole”.

Infine, ecco una dichiarazione di Marcus Mucha, bisnipote di Alphonse e direttore esecutivo della fondazione Mucha:

 «Siamo onorati di presentare per la prima volta il lavoro di Mucha a Firenze. Il mio bisnonno viaggiò nel 1880 attraverso l’Italia e si fermò qui, da dove spedì una lettera alla famiglia in Moravia. Raccontava di quanto gli piacesse il Duomo e la cupola del Brunelleschi. Credo che sarebbe molto onorato di sapere che il suo lavoro viene esposto oggi proprio qui, in questo edificio progettato dal grande maestro, dopo centotrent’anni.»

Autrice: Giulia Badame
Studentessa di Storia dell’arte, classe 2002, aspirante medievista; amo disegnare e studio danza di carattere russo. Scrivo per la rubrica Il Lume.
Mi trovate su @giulia.badame

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