Viva Verdi! – Così fan tutte, 15/03/2024

Qui a RadioEco ci sciogliamo in brodo di giuggiole per la chiusura della stagione lirica al Verdi di Pisa. Il direttore artistico Cristian Carrara firma una delle più belle stagioni degli ultimi anni ed è suo il pregio di aver riportato a Pisa un capolavoro mozartiano troppo poco frequentato.

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Il Così fan tutte di Mozart-Da Ponte chiude la stagione lirica al Teatro Verdi di Pisa.
Credits: tutte le foto dell’articolo provengono dalla pagina Facebook Fondazione Teatro di Pisa e appartengono a Kiwi

Così fan tutte … e tutti

Il Così fan tutte torna solo per la terza volta al Teatro di Pisa, a differenza dei ben più frequentati fratelli nella trilogia Mozart-Da Ponte. Non stupisce: della fortuna laterale del capolavoro si seppe sin dalle prime rappresentazioni, proprio al tempo di Mozart. Sulle considerazioni a monte riguardo questa cattiva nomea – o interpretazione – discorrono a lungo le ottime note firmate dalla musicologa Giulia Vannoni e dal regista Stefano Vizioli. In questa occasione il programma di sala diventa un must have. In primis, perché il Così fan tutte è una commedia esoterica maltrattata a causa del suo faccino coquette; secondo, perché solo una guida all’ascolto può riuscire a coniugare l’apporto “denso di cinismo e raffinata crudeltà di Da Ponte” con “l’insondabile purezza di Mozart” (si parafrasa Vizioli). Mai come in questo caso non si può parlare del materiale senza ascoltarlo. 

Guida all’ascolto

L’ipotetico spettatore che avvicina quest’opera potrebbe condursi così: prima, procurarsi – se non l’ha già – un’infarinatura di cultura pop illuminista, favorendo Goethe e Mesmer; poi ascoltando e vedendo l’opera; e chiudere masticando note di sala, considerazioni musicologiche, possibilmente la partitura stessa. Quanti lo farebbero? Così si spiega la tarda fortuna del Così fan tutte.

Per chi non ha tempo, l’opera va condensata in uno scambio – forzato – delle parti che coinvolge due coppie e due concertatori, anche loro simmetricamente uomo e donna. La tipica geometria mozartiana sboccia in un prisma concettuale. 

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Despina, travestita da notaio, si accinge a sposare le coppie “scambiate” formate da Fiordiligi con Ferrante e Dorabella con Guglielmo

Se è vero che Da Ponte parafrasa Metastasio in salsa misogina (“è la fede delle femmine come l’araba fenice” contro l’originale “è la fede degli amanti…”) e il sottotitolo paritario La Scuola degli amanti cede il luogo di titolo ad una condanna, è vero anche che il Settecento trasuda teorie di affinità, e si può interpretare la licenziosità femminile come una nuova forma di libertà

Il primo secolo bagnato dalla scienza moderna spiega con leggi meccaniche quel che oggi si indaga mediante la psicologia. Insomma così fan tutte, e tutti, perché l’eccezione non esiste.

Regia, scene e costumi

Fra le ispirazioni letterarie a monte del libretto dapontiano figurano Le metamorfosi di Ovidio. Proprio ad Ovidio e alla mitologia sono relative delle illustrazioni firmate da Milo Manara che campeggiano sulla scena. In questa coproduzione Pisa-Modena-Rovigo-Metz il celeberrimo fumettista cura scene e costumi, ma è la mano di Stefano Vizioli ad esaltare l’operato di Manara con una regia davvero eccellente.

Siamo coinvolti in un Settecento contemporaneo. L’impianto di scena è classico: tutta la regia posa su fondali mobili variamente dimensionati, compresi alcuni sagomati e oggetti a slittamento sul palcoscenico – la vasca da bagno, il vascellino di Guglielmo e Ferrando. 

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Despina (Francesca Cucuzza), Fiordiligi (Maria Mudryak) e Dorabella (Lilly Jørstad) con alcuni dei fondali disegnati da Manara

Compaiono pochi oggetti di scena. Vince l’assenza, la feritoia: porte, porticine, finestre e portoni cavati dai fondali. Ogni dettaglio del palcoscenico avrebbe potuto essere realizzato proprio nel Settecento mozartiano, perché non servono proiezioni, video o giochi di luci particolarmente articolati – luci peraltro belle e curate da Nevio Cavina – quando il dinamismo dell’azione viene da un’ottima regia, da bellissimi fondali e dalla buona recitazione.

Lo sfondo obbligato in Così fan tutte è il mare. Anche Manara deve assecondarlo. Soddisfatto il requisito, però, nel resto dei disegni egli dipinge un mondo mitologico lezioso quanto un Capodimonte e pieno di nudi delicatissimi. Poche le pose statiche o rilassate. Le figure di Manara si inanellano fra loro e persino i satiri complementano zufolando la grazia delle ninfe. I pannelli mobili raffigurano appunto scene di inseguimento amoroso. Anche questo, dipinto, è dinamismo e un fortissimo plauso va al coordinatore delle scene Benito Leonori.

Sulla sommità della scena due disposizioni più statiche: una sequenza di medaglioni raffiguranti le vicende delle Metamorfosi – Ganimede e l’aquila, Venere e Callisto, Danae e la pioggia d’oro, Leda e il cigno, Europa e il toro… – e, fisso, il parterre dell’Olimpo fra le nuvole. Zeus al centro si sporge e brandisce la folgore, in procinto di colpire i nostri attori.

Manara cura anche i costumi, coordinati da Roberta Fratini, coerentissimi nell’ottica di un Settecento rilassato ed elegante. In alcune istanze le mise sono militari oppure vicine a quel lido esotico, puramente di maniera, che all’epoca di Mozart riuniva Turchia, Albania, Impero Ottomano e vicino Oriente. D’altronde un artista che ha disegnato la Storia dell’umanità non poteva mancare il bersaglio.

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Ferrando (Antonio Mandrillo) e Guglielmo (Jiří Rajniš) in abito da nobili albanesi (sic!)

Interpreti, direzione e orchestra

La stagione del Teatro Verdi si chiude in gran bellezza. Musicalmente e metaforicamente nessuna stonatura, anche grazie ad un cast vocale di primissimo livello.

Attraversare la partitura – orchestrale e vocale – del Così fan tutte non è facile. Seppure accanto alle definizioni di purezza e luminosità utilizzate per questa musica possano ben figurare termini di semplicità e linearità, non sarebbe corretto utilizzarne: di Mozart si può dire poco, perché anche dirne tanto non basterebbe a descriverlo. In questo caso si può dire che il suo capolavoro è stato eseguito in maniera eccellente.

Maria Mudryak interpreta una Fiordiligi molto intensa, dai ripensamenti marmorei e struggenti. Dotata di una voce brillantissima e penetrante che trova corrispondenza nelle sue scelte recitative, Mudryak imposta con Lilly Jørstad – fresca di esperienza scaligera – un duetto saporito grazie a timbri differenti non solo per tessitura ma anche per colore. Per entrambe la sintonia del corpo, e cioè del fiato, col cantato appare pressoché perfetta e l’emissione non perde mai di consistenza. La Dorabella di Jørstad riporta nelle corde del mezzosoprano tratti di coquetteria e giocosità spesso riservate a parti meno scure. Entrambe posseggono quanto caratterizza i grandi cantanti: voci duttili e vivaci, sapientemente misurate, una grande intelligenza nell’emozione e nella recitazione, un bel colore. Stupendi i filati di entrambe. 

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Fiordiligi (Maria Mudryak) e Dorabella (Lilly Jørstad)

Serve sottolineare la sapidità del duetto Mudryak-Jørstad anche per compararlo con l’unisono creato dalle voci di Antonio Mandrillo e Jiří Rajniš (Ferrando e Guglielmo). La coppia vocale non risulta meno riuscita, anzi ne fa da pari, ma in un senso differente. Laddove le differenze caratterizzano la coppia femminile, quando Mandrillo e Rajniš cantano assieme l’impressione è quella di una sovrapposizione perfetta o di una terza voce che è la somma delle due. 

Mandrillo sceglie un Ferrando particolarmente patetico – nell’inflessione espressiva – e il suo timbro non privo di lievi opacità contribuisce a tratteggiare un personaggio credibile, equilibrato quanto il Guglielmo di Rajniš, scevro della goliardia di quest’ultimo. Rajniš dal canto suo sfoggia un baritono corposo e rotondo dalle sfumature scure, incisivo. L’unisono fra loro non si limita alla sfera vocale: anche in termini recitativi nei momenti che li vedono soldati disciplinati e seri il sincronismo emozionale fra i due è assicurato. 

Canta perfettamente anche Francesca Cucuzza. La sua Despina viene complicata da due sottointerpretazioni buffe, e del medico e del notaio. A Cucuzza non manca nulla. L’aggettivo che più le si addice? Brillante: nella recitazione, nella voce – splendida e splendidamente usata – e nella capacità comica che il ruolo richiede. La voce è centrata, tonda e precisa; investe il pubblico con una schiettezza spaventosa senza per questo perdere in agilità. Cucuzza fa ridere quando deve, e molto. Non è l’unica, ma sicuramente la più trascinante.

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A sinistra Francesca Cucuzza nei panni di Despina

Al suo corrispettivo maschile Don Alfonso, interpretato dal basso Emanuele Cordaro, vanno lodi riguardo la completezza del personaggio. Un Don Alfonso come si deve: convincente, paziente, vero dottore, forte di una declamazione seria e sicura. Mostra bordi più morbidi rispetto alla stentorea Despina, ma il nocciolo è più duro. Il timbro suona affascinante e la voce misurata, soprattutto nel registro medio.

Coerentemente col magnetismo mesmerico menzionato nell’opera, un plauso va alla chimica di scena tra tutti i cantanti. Non solo le coppie, originarie e poi ricombinate, sfoggiano tutte punti di forza differenti ma ugualmente validi: anche l’ensemble canoro e recitativo si muove tutto di pari passo, con una cura eccezionale.

Si evince cura straordinaria anche nella parte musicale. Dalla direzione di Aldo Sisillo Mozart esce come deve, luminoso, celeste. L’Orchestra della Toscana sfoggia un tessuto sonoro resistente alle tante evoluzioni melodiche, leggiadro, talvolta sottile pur senza diventare diafano. Il raddoppio degli strumenti alla voce, tipicamente mozartiano, suona cantato esso stesso con grande qualità lirica. Sisillo opera una scelta esecutiva piuttosto classica nell’accezione migliore del termine. Eccezionale come sempre – forse una contraddizione, ma che gioia scrivere ossimori come questi! – anche il maestro al cembalo Riccardo Mascia. Una manchevole gestione dei recitativi avrebbe potuto guastare anche una recita ottima come questa: meno male non è stato così, e con Mascia non sarebbe stato nemmeno da temere.

Canta il coro residente Arché, posto nei palchetti immediatamente prossimi al palcoscenico e non in scena. Nonostante le incursioni siano brevi e la presenza di qualche minuscola asprezza, la direzione del maestro Marco Bargagna si dimostra precisa come sempre e l’impasto vocale compatto, pregevole. 

Così il coro di Pisa dona la cittadinanza ad un capolavoro che solo per la terza volta anima il teatro, ma lo fa in maniera splendida, e splendidamente chiude una stagione fra le più belle degli ultimi anni.

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Il direttore e maestro concertatore Aldo Sisillo

COSÌ FAN TUTTE

Dramma giocoso in due atti
Libretto Lorenzo Da Ponte
Musica Wolfgang Amadeus Mozart

Personaggi e interpreti
Fiordiligi     Maria Mudryak
Dorabella  Lilly Jørstad
Guglielmo    Jiri Rajnis
Ferrando     Antonio Mandrillo
Despina       Francesca Cucuzza
Don Alfonso     Emanuele Cordaro

Maestro Concertatore e Direttore d’orchestra Aldo Sisillo
Regia     Stefano Vizioli

Scene Milo Manara realizzate da Benito Leonori
Costumi Milo Manara realizzati da Roberta Fratini
Luci       Nevio Cavina
Maestro al cembalo       Riccardo Mascia                         
Assistente alla regia       Pierluigi Vanelli 
Assistente direttore d’orchestra       Gianluca Piombo

ORT – Orchestra della Toscana
Coro Arché diretto da Marco Bargagna

Nuova Produzione e Allestimento
Coproduzione Teatro di Pisa, Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, Teatro Sociale di Rovigo e Opéra-Théâtre of Eurométropole de Metz

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Gli interpreti e comparse con il direttore d’orchestra e il direttore di coro Marco Bargagna a fine spettacolo

Autrice: Lucrezia Ignone

Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. In RadioEco mi occupo principalmente di musica e della stagione lirica al Teatro Verdi di Pisa.

Mi trovi su @ffffoco assieme ai miei articoli.

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