Eco tra le pagine – “I margini e il dettato”, l’esperienza di scrittura di Elena Ferrante

“Scrivere invece è entrare ogni volta in uno sterminato cimitero dove ogni tomba attende di essere profanata. Scrivere è accomodarsi in tutto ciò che è già stato scritto […] e farsi , nei limiti della propria vorticosa, affollata individualità, a propria volta scrittura. Scrivere è impadronirsi di tutto quanto è stato già scritto e imparare piano piano a spendere quella enorme fortuna.” 

Elena Ferrante, I margini e il dettato, 2021 Edizioni e/o, pp. 94-95

All’interno de I margini e il dettato, Elena Ferrante raccoglie tre testi destinati alla cittadinanza di Bologna in occasione delle Umberto Eco Lectures. Il progetto nasce nel 2020 dall’idea di Costantino Marmo, Direttore del Centro Internazionale di Studi Umanistici “Umberto Eco” , di far realizzare a Ferrante tre lezioni destinate a un pubblico di non-specialisti all’interno delle quali racconti la sua poetica, la sua tecnica narrativa e l’esperienza da scrittrice.

Nel novembre 2021 i tre testi vengono messi in scena al Teatro Arena del Sole di Bologna da Manuela Mandracchia. All’interno del testo troviamo anche il saggio La costola di Dante scritto su invito dell’Associazione degli italianisti che ha concluso il convegno Dante e altri classici del 2021. Qui un invito al testo:

Prima lezione: La pena e la penna

In questa prima lezione, Ferrante, racconta del dualismo che contraddistingue la propria scrittura, sempre divisa: da una parte troviamo la volontà di rispettare una serie di regole che l’hanno segnata fin dall’infanzia, che rendono la sua scrittura lineare, ordinata, lodevole ma che le danno l’impressione di non riuscire ad esprimersi a pieno; dall’altra la volontà di evasione da qualsiasi norma o forma prestabilita che vanno, però, a discapito dell’adesione ad un modello (quella che spesso definisce come “smarginatura”).

Racconta poi, attraverso un frammento della Coscienza di Zeno, la difficoltà di riportare la realtà e i sentimenti attraverso la parola scritta, che sembra sempre insufficiente. Da questa difficoltà, l’autrice, racconta di quello che definisce il pensiero-visione:  la manifestazione di un pensiero che deve essere colto in velocità per diventare testo scritto e la difficoltà nel riuscire a mantenere nel presente il pensiero-visione prima che diventi parola. 

Si parla poi della scrittura di formazione di Ferrante, per la maggior parte basata sull’interpretazione del mondo di voci esclusivamente maschili che quindi diventa per lei il principale modello da imitare e che la portano a sviluppare l’idea di non poter mai raggiungere quello che, al tempo, era il suo obiettivo: raccontare come un uomo, pur restando donna. 

Altra grande ispirazione sono le Rime di Gaspara Stampa, i cui versi danno il nome a questa lezione, nelle quali vede ancora una volta emergere il problema della disparità tra canto e materia di canto. Ferrante qui, racconta del suo non sentirsi capace di esprimere ciò che la anima a causa dell’essere donna, poiché solo la scrittura di un uomo sarebbe stata all’altezza del suo obiettivo, e della difficoltà nel progressivo distaccarsi da quest’idea per trovare la propria voce. Altre grandi fonti di riflessione per Ferrante che vengono citate sono Woolf, con la sua estrema sensibilità e Beckett che con le sue immagini incarna il timore delle parole dell’autrice.

Seconda lezione: Acquamarina

Questa seconda lezione parte dall’idea di Ferrante che lo spunto per la scrittura derivi sempre dalla realtà.

Racconta di come per lei scrivere sia sempre stata un’attività che parte dagli occhi, dall’osservazione e di quanto l’abbia portata a volersi fare specchio di ciò che la circonda. Tuttavia anche quest’aspirazione è fonte di frustrazione nel momento in cui si rende conto di quanto sia complesso anche solo trovare le parole per descrivere il colore dell’acquamarina che sua madre indossava. L’autrice inizia vivere questo senso di falsità delle sue parole come constatazione della propria incapacità e sperimenta vari metodi espressivi tra cui il dialetto, che diventerà caratteristico del suo stile.

Particolarmente utile racconta esserle la lettura di Jaques il fatalista e il suo padrone che la spinge a raccontare la realtà così com’è, accettando di fungere da specchio deformante di essa, che inevitabilmente funge da filtro di ciò che la circonda. Questa decisione di affidarsi ad una descrizione più spontanea la porterà a nuove esperienze e scoperte tecniche. 

Da questo punto in poi l’autrice racconta attraverso l’esempio dell’Autobiografia di Alice Toklas di Gertrude Stein il modo in cui fonde se stessa con i propri personaggi, attraverso i quali si racconta e crea un rapporto che si basa sul principio di: “io ti racconto la mia storia affinché tu me la racconti”, da qui la base per costruire l’universo narrativo che lega Lila e Lenù, le protagoniste de L’amica geniale, l’opera che l’ha resa celebre in tutto il mondo. 

Terza lezione: Storie, io

L’ultima lezione si apre con le parole di Emily Dickinson attraverso le quali l’autrice definisce il rapporto dell’io narrante con la storia. Viene poi ripreso il discorso su Stein e su come mettere a soqquadro il rapporto tra invenzione, autobiografia e verità biografica sia la chiave per un romanzo nel quale autore e personaggio sono indissolubilmente legati e filtrano l’uno il racconto dell’altro.

In questa lezione si parla anche di vero e proprio atto dello scrivere come una ricerca tra le fonti e le esperienze di lettura che già si possiedono, che vengono interiorizzate e rielaborate per farne una propria individualità. Fondamentali per Ferrante sono anche le parole di Ingeborg Bachmann che parla dell’esigenza di combattere la “cattiva lingua”, quella ereditata, per raccontare il vero e dare voce alla propria intuizione. Questo ragionamento risulta essere ancora più valido per l’io narrante femminile che pone le proprie basi su una tradizione maschile, che è privato del proprio spazio, del proprio diritto di avere una voce che racconti la verità delle donne. 

Saggio: La costola di Dante

In questo saggio si parte da ciò che muove Dante: l’amore raccontato attraverso la gioia, il timore e l’angoscia nei confronti dei quali, però, le parole sembrano sempre inadeguate a raccontare. 

Per mostrare le capacità di Dante, l’autrice fa uso delle parole di Bonagiunta nel Purgatorio, il quale accusa se stesso, il Notaro e Guittone di non aver superato l’ostacolo di riuscire a raccontare l’amore, a differenza di Dante, non tanto per una mancanza di capacità, ma per l’eccessiva lentezza con la quale trasformavano il sentimento in parole. La parola per saltare dal cuore alla scrittura necessita di uno scriba rapido; se questo non lo è il fallimento è inevitabile.

Un’altra questione affrontata è quella dello stile: ben nota è la difficoltà di Dante nel raccontare l’amore che prova per Beatrice; nasce qui l’esigenza di trovare un nuovo stile che muova dalla formazione individuale e si evolva in un linguaggio innovativo. L’autrice individua questa strategia nell’immedesimazione di Dante con l’altro, pur facendo perno sull’io autobiografico: ciò che racconta è sempre il salto di un’emozione dall’interno all’esterno che si basa sulla sua capacità di comprendere l’animato e l’inanimato.  Atro tema affrontato dall’autrice è la capacità di Dante di analizzare il proprio tempo e attribuire alle donne un “intelletto d’amore”: la capacità di comprendere ed esprimersi senza più essere soggetti passivi della letteratura.  

Sarebbe riduttivo definire come autobiografiche le parole che Ferrante propone in questo volume. Non si tratta solo della sua esperienza da scrittrice, ma dell’esperienza di una donna che ricerca se stessa nelle parole, che racconta le proprie vulnerabilità e conflitti interiori durante il percorso.

Ciò che qui si racconta, però, assume anche un significato universale, una voce di donna che si fa spazio in una realtà che da sempre opprime il genere femminile, mai ritenuto all’altezza o degno di essere ascoltato che, alla fine, si muove per trovare una propria modalità di espressione che dia voce ad un universo ancora troppo trascurato.

Mi chiamo Francesca, leggo classici, e questo è “Eco tra le pagine”.

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