Cinefilife – “Io la conoscevo bene”, la tragedia della commedia all’italiana

Trama

Roma, anni ’60. Adriana Astarelli è una bellissima e giovane ragazza pistoiese che si trasferisce nella Capitale, con l’intento di farsi strada nel mondo dello spettacolo. E’ quasi impossibile descrivere la trama di questo film, poiché – come la stessa Stefania Sandrelli ha dichiarato – Io la conoscevo bene non è altro che un insieme di tanti piccoli film, o di tragedie, oserei dire.

La vita di Adriana ci viene raccontata attraverso i suoi incontri, le sue relazioni, i suoi di lavori. In un caleidoscopio di personalità, Adriana non ci mostra mai la vera sé, ma solo una delle mille versioni disegnate dai suoi interlocutori.

Il mondo in cui vive Adriana è la Roma del boom economico, spingendosi fino ad Ostia e con un breve ritorno nella campagna pistoiese.

In quella città dai mille colori, tutto appare possibile agli occhi della giovane. Ed è proprio in quelle infinite possibilità, in quei volti infiniti, che si consuma la sua tragedia.

E’ l’insieme di tutti quei brevi film che ci porta al tragico epilogo finale, una soggettiva che ci fa percepire tutto il dolore e gli ultimi istanti della giovane – e forse un po’ ingenua, ma saggia – Adriana.

Al confine tra la commedia all’italiana e il cinema d’autore

Il progetto nasce nel 1961, ma una serie di problematiche ne blocca la produzione: il produttore Moris Ergas non era particolarmente convinto della scelta dell’attrice per interpretare la protagonista, Sandra Milo, e dai preventivi troppo alti.

Dopo qualche progetto su commissione, Antonio Pietrangeli riprende in mano la sceneggiatura quattro anni dopo. Uno dei primi cambiamenti riguardò proprio l’attrice scelta per interpretare la protagonista: nonostante personalità come Catherine Spaak o Natalie Wood, il regista scelse una giovane Stefania Sandrelli.

La Sandrelli aveva già esordito, giovanissima, in Divorzio all’italiana, affiancando Marcello Mastroianni e diretta da Pietro Germi. Trovò spazio nelle cronache scandalistiche, poi, la sua relazione con il cantauore Gino Paoli, allora sposato e più grande di dodici anni. Lo stesso Paoli non era del tutto d’accordo del ruolo ottenuto dalla Sandrelli, temendo che il pubblico l’avrebbe identificata con la protagonista.

Il film si snoda, alla metà del decennio cardine del cinema italiano, tra la commedia e il cinema d’autore per antonomasia.

La presenza di attori come Nino Manfredi (interprete dell’arrivista Cianfanna), Ugo Tognazzi (nel ruolo del vecchio Bagini) e un piccolo cameo di Vittorio Gassman, aveva fatto storcere il naso alla critica del tempo; quest’ultima non riuscì a superare la presenza massiccia di personalità cardine del filone della commedia all’italiana.

Anche la scelta dell’epilogo tragico avvicina il film al filone della commedia.

Un’eccezione, però, la troviamo nel modo in cui le vicende ci vengono raccontate: è lo sguardo di Adriana che ci conduce attraverso la narrazione. Lo spettatore è portato a empatizzare con la protagonista, attraverso i suoi tradimenti, le delusioni, gli abbandoni, le ambizioni.

Un altro punto di scontro con la commedia all’italiana è sicuramente l’influenza esercitata da Fellini e Antonioni.

Non è difficile vedere un ascendente esercitato dalla Roma felliniana, attraverso un susseguirsi istrionico di figure e corpi, senza mai conoscerne nessuno veramente. Adriana, quasi come Marcello, si immerge in questo mondo, senza mai viverlo davvero.

Lo scontro con la nuova società del boom economico, in chiave negativa, ci riporta ai temi dell’alienazione e dell’incomunicabilità, di cui Antonioni è il padre indiscusso. La protagonista si scontra con una società nuova, che la converte in un mero oggetto (come mostra la sequenza del cinegiornale); una società inafferrabile e, forse, invivibile per chi ha un sogno. I nuovi media, le nuove regole dell’intrattenimento non fanno altro che criticare Adriana, emarginandola da un mondo a cui aspira, ma in cui non riuscirà mai a entrare veramente.

L’epifania di Adriana

Per tutto il film, Adriana appare una figura vaga, ondivaga, sempre irriconoscible.

La protagonista non si presenta mai come se stessa, ma sempre definita dal rapporto con gli altri personaggi. Sono le sue relazioni, i molteplici lavori (da parrucchiera a modella di seconda scelta), le diverse acconciature che la presentano come personaggio.

Adriana appare diversa, quasi in ogni sequenza, e solo talvolta riusciamo a percepirne i veri sentimenti. Sono proprio questi momenti che ci donano la vera Adriana, lentamente schiacciata da quel mondo lucente.

L’emancipazione femminile, il nuovo mondo dei mass media non sono più delle opportunità, ma delle catene. Concorrono a definire un personaggio intrappolato da questa modernità, che non ha altro scopo se non quello di trasformarla in un oggetto.

Sono le sequenze accompagnate dalla musica che ci presentano veramente Adriana.

La colonna sonora, curata da Piero Piccioni, vanta sia canzoni italiane (Mina, Peppino di Capri, Sergio Endrigo) sia internazionali (Millie, Gilbert Bécaud), ci presenta la vera Adriana, in singolari momenti di epifania. Sono gli stessi momenti musicali a trasformare il film neo-melodramma.

Come nel caso del piano sequenza di tre minuti, accompagnato dalle note di Mani bucate di Sergio Endrigo. Da un campo lunghissimo la camera si sofferma sul volto della Sandrelli, cogliendone i più piccoli movimenti. I pochi secondi in cui la cinepresa si sofferma su Adriana, mentre cerca di pulire la maniglia della porta finestra: un gesto inutile, intenta nel ripulire un qualcosa che non potrà mai esserlo del tutto.

Il tragico epilogo

Il finale del film è tragico, inaspettato; ma forse non del tutto.

La protagonista ci dona un altro, ultimo momento musicale. Spogliandosi da una delle sue tante maschere, in un estremo sguardo sulla periferia romana.

Sono i momenti, anche durante il film, in cui Adriana guarda dalla sua finestra a essere girati con l’utilizzo di soggettive. Come se fossero un monito al suo destino, il film ci lascia con la morte della protagonista, succube del nuovo mondo, ma in un estremo atto di rivendicato orgoglio.

Un ultimo sguardo all’appartamento, “FINE“.

Arrivati al termine della pellicola una cosa è chiara: forse, un po’ tutti siamo Adriana. E come disse lo scrittore, lei era la più saggia di tutti.

Autrice: Michela Berti

Ho 22 anni ma sento di essere rimasta ferma ai miei amati 18. Sono innamorata dell’arte e della scrittura, potreste chiudermi in un museo e non vedermi più uscire. Parlo di qualsiasi cosa, anche se cerco sempre una scusa per nominare Alberto Angela o i miei fervidi ideali femministi. Vorrei fare la scrittrice, ma anche la giornalista, e la divulgatrice, o la direttrice di un museo, e tante altre cose. Parlo d’arte su TikTok (@arslongaest_)

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