Viva Verdi! – L’Incoronazione di Poppea, 12/01/2024

Chi trionfa? La Poppea di Roberta Mameli e il Nerone di Federico Fiorio.
Come trionfano? Mediante una sfrenata sensualità barocca.
Dove trionfano? A Pisa! Per la seconda volta nella sua storia il Teatro Verdi ospita l’ultimo grande capolavoro monteverdiano.

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Roberta Mameli nel ruolo di Poppea. Tutte le foto presenti nell’articolo appartengono a e sono utilizzate per cortesia del Teatro Verdi di Pisa

Poppea storica o Poppea monteverdiana?

L’incoronazione di Poppea è molte cose: su tutte, l’ultimo capolavoro firmato da Claudio Monteverdi e la prima opera in assoluto che ha come soggetto personaggi storici. Oppure no?

La storia dell’opera era nata in Italia nel 1600 con l’Euridice di Peri e l’Orfeo dello stesso Monteverdi. La coincidenza tra soggetto e medium stupisce poco: chi se non il cantore per eccellenza avrebbe potuto far da nume tutelare al melodramma? Passano quarantatré anni prima che la nuova forma musicale lasci, non certo per abbandonarli, i lidi mitologici di Orfeo e Ulisse (sempre Monteverdi, Il Ritorno di Ulisse in Patria) approdando al soggetto di carattere storico. 

Assistendo a L’incoronazione di Poppea nel 2024 attraversiamo quel che ad un Carnevale di epoca barocca ispirava la suggestione romana antica. Al centro dello splendido libretto di Gian Francesco Busenello si rincorrono temi più o meno atavici. Il tema dichiarato è l’Amore, la cui presenza viene imposta in scena sin dal prologo al fianco di Fortuna e Virtù; sordido e meno chiacchierato scivola invece fra i personaggi il desiderio del Potere, occupando ora quello ora quest’altro corpo tale daimon

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Ottone attenta alla vita di Poppea dormente

Nell’opera c’è personificazione del Potere come per i tre già citati Amore, Fortuna e Virtù. Esso difende la propria causa attraverso ogni singolo personaggio. Insomma, lasciate da parte le ispirazioni divine bisogna affrontare l’ingordigia di Poppea e compagnia cantante, che già all’epoca di Monteverdi erano cenere ma una volta furono come tutti noi carne, e come tutti noi assetati di potere. D’altronde ne L’Orfeo Amore non aveva avuto una personificazione, ma traspariva dagli atteggiamenti dei personaggi coinvolti. 

Dunque è vero che l’Incoronazione affronta per la prima volta un tema storico. Meno esatta, invece, la paternità ricondotta a Monteverdi solo. Le due partiture ritrovate a partire dalla fine del XIX secolo non coincidono in toto con il libretto della prima. L’impossibilità di ricostruire in assoluto la prima esecuzione non aiuta a sciogliere i dubbi sulla penna dietro alla composizione, probabilmente quella di compositori più giovani quali Sacrati, Ferrari e Cavalli. Quasi certamente non è di Monteverdi lo splendido duetto tra innamorati a chiusura dell’opera: Pur ti miro. Mettere in scena quest’opera dà l’occasione di esplorare luoghi nevralgici comuni ad ogni stagione della storia del melodramma. Il Teatro Verdi di Pisa accetta la sfida per la seconda volta in tutta la sua storia: l’ultima ed unica precedente messa in scena dell’Incoronazione risale al 1993.

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Nerone (Federico Fiorio) e Poppea (Roberta Mameli) nel primo atto

Regia, scene e costumi

Il regista Pier Luigi Pizzi sceglie di inserire nella macchina Incoronazione un motore estetico. Un’unica scena attraversa tutti e tre gli atti del dramma, firmata dallo stesso Pizzi come anche i costumi. I colori ricorrenti sono il nero, l’oro e il bianco – con l’aggiunta di rosso e porpora per un paio di abiti. La scena dal sapore metafisico si compone di pochi elementi: incorniciata da colonne, è divisa a metà da un albero spoglio e bicolore nero-oro, ai cui piedi giace un globo d’oro. Una struttura di scalinate basse crea dislivelli sul palcoscenico; poi un triclinio, una panchina marmorea.

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La scenografia di Pier Luigi Pizzi, che è anche regista e costumista dell’opera

Il primo ingrediente della messa in scena è una staticità caratterizzata dal contrasto. Nel disegno della scena si raccoglie lo svolgimento della narrazione: il vecchio con la voglia del nuovo, che poi al vecchio è uguale, solo più patinato. Il globo viene abbracciato dai personaggi quando parlano del mondo. Un fondale bluastro rappresenta i momenti del giorno e ricorda gli scenari di Robert Wilson. Quando Ottavia, invece di partire in esilio, si uccide, il suo cadavere vestito di bianco e nero contrasta specularmente i colori dell’albero ai piedi del quale è distesa. 

Si ha l’impressione insomma che la regia nasca da una necessità estetica ancor prima che drammaturgica.

Il secondo ingrediente è una sana dose di ispirazione sadomaso, in particolare per quanto riguarda i personaggi maschili. Anche in questo torna il contrasto tra le Drusille e Poppee vestite di bianco candido mentre Nerone ancheggia fasciato da un bustino in pelle assieme alle sue guardie. Terza incomoda da ogni punto di vista Poppea, vestita da sera. Di ispirazione storica i drappeggi di Seneca e dei suoi amici. Mercurio ha un frustino in mano.

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I soldati e Nerone accusano Drusilla (Chiara Nicastro) di aver attentato alla vita di Poppea. In scena anche Ottone (Enrico Torre) e Arnalta (Candida Guida)

La dimensione del potere viene tutta riversata nella sfera sessuale. Lo confermano i gesti: Poppea afferma se stessa scoprendo di continuo le gambe, prima di prendere letteralmente Nerone per le palle; la Nutrice culla Ottavia sulle ginocchia come si farebbe tra amanti, mentre da amanti si comportano Lucano e Nerone sul triclinio, con tanto di mani sulle cosce e prolungati amplessi. Parte del barocco si presta volentieri a questo tipo di operazione. La scelta è legittima, quasi classica, e non stona con le molte esternazioni sensuali esplicite del libretto. 

Tuttavia pare che il tema della prevaricazione e del potere venga declinato solo in quest’ottica. D’altronde deve importare poco del potere a Poppea che, proprio sul calare del sipario, lascia la corona ciondolare tra le dita minacciando di cadere a terra.

Interpreti, direzione e orchestra

Giusto è che ne L’Incoronazione di Poppea trionfino Poppea e Nerone. Il terzo trionfatore, pur secondo i suoi soli canoni, risulta Seneca. Con buona pace del librettista si può dire che quanto previsto dalla storia sia avvenuto anche nella realtà: a tirare le fila dell’esecuzione sono le splendide interpretazioni di Roberta Mameli, Federico Fiorio e Federico Domenico Eraldo Sacchi.

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Federico Fiorio e Roberta Mameli

Mameli incarna una Poppea sfacciata e motrice, pur candida nella sua deliquio d’amore. Nell’azione drammatica i momenti di determinazione, le sue reazioni agli avvenimenti denunciano una manipolazione chiara del voglio e non voglio del tutto assente nell’agito di Nerone, schiavo della fretta. Appare per certi versi più seria, più puntuale e misurata di lui. Nel corpo di Fiorio brucia un imperatore adolescente

Le voci della coppia imperiale sono curiosamente simili. Nei duetti diventa difficile distinguere dove termina Nerone e inizia Poppea o viceversa. Non si tratta tuttavia di voci sovrapponibili: alla rotondità del timbro di Mameli, coerente nei filati come nelle tante messe di voce, dirompente negli acuti, si contrappone al carattere “imberbe” ed estremamente puro nelle agilità di Fiorio. Laddove la partitura richiede botta e risposta secchi Fiorio batte il tempo, squillante: se servono momenti sospesi, tenuti, Mameli sfoggia legati invidiabili.

Ovviamente agli estremi opposti è il Seneca di Sacchi, con una voce che si può definire stoica anch’essa, solida tanto quanto le posizioni del filosofo. Sacchi raggiunge con agilità ogni angolo del teatro. L’emissione è congrua e calda, completa: le note basse intense e la recitazione davvero piacevole. Tutti e tre i cantanti vestono tanto bene i ruoli vocali quanto le vesti del personaggio recitato e fanno loro il concetto stesso di “recitar cantando”.

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Da sinistra a destra: Paola Valentina Molinari, Chiara Nicastro e Danilo Pastore

José Maria Lo Monaco interpreta un’Ottavia sul termine della disperazione. La voce è brillante, viva: veicolo emotivo prima ancora che formale, non teme di declamare se richiesto dal momento, come al momento della morte-esilio. L’Ottone di Enrico Torre non trova pace: il timbro classico del controtenore interpreta lamenti e ripensamenti altrettanto di forma. La figura attoriale complementa bene le scene. Arnalta e la Nutrice, interpretate rispettivamente da Candida Guida e Danilo Pastore – che copre anche uno dei Famigliari – sono voci scure e spesso aspre alle quali viene affidato il ruolo per tragicomico delle donne sfiorite che affrontano la vecchiaia: i momenti di tenerezza, quali l’Oblivion soave, si spengono nei timbri scuri dell’una e dell’altro. Chiara Nicastro interpreta una Drusilla talvolta incerta ma piena di candore e tenerezza, credibile, leggiadra. La voce non è enorme, ma convincente. Veste bene il personaggio. 

Per quanto riguarda le qualità personificate, la Virtù è affidata al soprano flessibile e rotondo di Giorgia Sorichetti, che copre anche i ruoli di Pallade e Damigella; Francesca Boncompagni è la Fortuna, grave, inamovibile; Paola Valentina Molinari copre invece il doppio ruolo di Amore e Valletto: in entrambi i casi si tratta di fanciulli quasi arlecchini con un mezzosoprano classico e completo.

A coprire tre ruoli – quattro nel caso di Borgioni – sono i tenori Luigi Morassi, voce veramente agile e brillante dal fiato ottimo, nel ruolo di Lucano, di un soldato e di un famigliare e l’imperioso Luca Cervoni (liberto, soldato, console). Mauro Borgioni ha un timbro sonoro, emissione costante, e interpreta Mercurio, un famigliare, un tribuno, il littore.

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Antonio Greco dirige l’Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua

Interpretare Monteverdi, come nel più generale caso di partiture incomplete o di un primo manoscritto mancante, non permette di abbassare la testa ed eseguire senza ragionamento. 

Il maestro concertatore e direttore d’orchestra Antonio Greco spiega la scelta piuttosto classica di combinare i due manoscritti, quello napoletano e quello veneziano, innestando i ritornelli dell’uno sulla struttura dell’altro a causa del basso continuo più o meno condiviso e mediante l’aggiunta di parti. Il risultato è un suono corposo e nitido. 

Gli strumenti suonano come le voci cantano: risulta una grande coerenza nel tessuto strumentale e nel corrispettivo sul palcoscenico, così come accordo sui tempi. In forza dell’Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua gli sbalzi umorali monteverdiani scintillano forsennati. La linea del gesto è flessibile, adattabile. I respiri talvolta lunghi e ariosi – quasi trascinati, come sul romanticissimo Pur ti miro – lasciano spazio a serrati e silenzi misurati con criterio. 

La coerenza la fa da padrona. Pur zeppo di ripetuti e ripetizioni il libretto si vede rispettato dalle scelte musicali, così che il connubio tra ciò che viene detto e quello che gli strumenti esprimono risulta gradevole, suggestivo. 

Ogni interpretazione di Monteverdi è uguale soltanto a se stessa grazie alle libertà nelle scelte fatte. Si applaude la coesione esibita dal Maestro tra la manipolazione e le scelte durante l’esecuzione.

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Da sinistra a destra: Mauro Borgioni (Mercurio) e Federico Domenico Eraldo Sacchi (Seneca)

L’INCORONAZIONE DI POPPEA

Dramma per musica in un prologo e tre atti
Poesia di Giovanni Francesco Busenello
Musica di Claudio Monteverdi

Personaggi e interpreti

Poppea Roberta Mameli
Nerone Federico Fiorio
Ottavia Josè Maria Lo Monaco
Ottone Enrico Torre
Seneca Federico Domenico Eraldo Sacchi
Arnalta Candida Guida
Drusilla Chiara Nicastro
Lucano/soldato/famigliare Luigi Morassi
Liberto soldato/console Luca Cervoni
Mercurio famigliare/tribuno/littore Mauro Borgioni
Nutrice/famigliare Danilo Pastore
Fortuna Francesca Boncompagni
Amore/Valletto Paola Valentina Molinari
Virtù/Pallade/Damigella Giorgia Sorichetti

Maestro concertatore e direttore d’orchestra Antonio Greco
Regia, scene, costumi e luci Pier Luigi Pizzi
Orchestra Monteverdi Festival – Cremona Antiqua

Nuova Produzione e Allestimento
Coproduzione Teatro di Pisa, Opera Lombardia, Teatro Alighieri di Ravenna


Autrice: Lucrezia Ignone

Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. In RadioEco mi occupo principalmente di musica e della stagione lirica al Teatro Verdi di Pisa.

Mi trovi su @ffffoco assieme ai miei articoli.

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