Una prima senza difetti inaugura la stagione lirica al Verdi di Pisa, tra il vecchio dei loggionisti e il nuovo proposto da Rossini. La stagione dell’Opera, così come la nostra copertura, si apre con il Barbiere più celebre nella storia della musica.

Credits: tutte le fotografie dell’articolo appartengono a Kiwi Official – Diego Bianchi
- Un Barbiere da leccarsi i baffi
- Regia, scene e costumi
- Interpreti, direzione e orchestra
- IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Un Barbiere da leccarsi i baffi
Alzi la mano che non conosce Largo al Factotum. Con la nostra assuefazione, risulta arduo immaginare un tempo nel quale il nome di Figaro personaggio non richiamasse a cascata quello di Rossini autore.
La prima assoluta dell’opera, tenutasi a Roma nel 1816, fu turbolenta. Rossini aveva innestato musiche solo parzialmente nuove su un soggetto già apprezzato dal pubblico nella forma del Barbiere di Siviglia di Paisiello, effettuando per il resto un’operazione di “auto-plagio”. Il riutilizzo era stato determinato dal brevissimo tempo di consegna – il Barbiere fu completato in un mese e mezzo – senza scandalo da parte della committenza: al tempo del nostro l’accordo tra musica e libretto valeva ben più di assicurare materiale nuovo per ogni lavoro, tanti ne venivano commissionati dai teatri. Il fallimento della prima nasceva a monte, dal fatto cioè che un giovinastro riadattasse quella commedia francese già glorificata da Paisiello e non potesse perciò fare di meglio rispetto a quanto già ascoltato. Questa la fiducia riposta nel nuovo.

Ultime prime
In parte la prima lirica del Teatro Verdi di quest’anno cammina nel solco della tradizione. Nulla da recriminare sulla recita in sé o sulla gestione operativa del pubblico e gli orari: graziose le piccole leve delle scuole di danza in costume negli ambienti del teatro, belle le forze dell’ordine così come l’Inno di Mameli eseguito a luci spente. Davvero nulla di eccepibile. Allora cosa giustifica i brusii in itinere e l’applauso caloroso ma non unanime al sipario? La poca fiducia riposta nel nuovo.
La verve del Barbiere non cambiò nel momento in cui acquisì il suo nome attuale – originariamente era stato intitolato ad Almaviva, il conte che Figaro aiuta a corteggiare Rosina.
Fu proprio lo stesso capolavoro che ascoltiamo immutato a nascere nel fallimento. Adesso sarebbe inimmaginabile per un titolo di tale portata. Così, di fronte ad un Barbiere musicalmente del tutto riuscito, bisogna cercare altrove una ragione di insoddisfazione. Dunque, cerchiamo.

Regia, scene e costumi
La bottega di Figaro è un luogo fisico. Suona come un’ovvietà, ma si tratta di una considerazione utile e non banale nel contesto dove ci muoviamo.
La trilogia di Beaumarchais dalla quale Rossini attinge per il libretto aveva nel Settecento carattere rivoluzionario. Per aver messo in discussione le classi sociali di allora, con conseguente rivalsa borghese, la trilogia era stata censurata dalle stesse teste coronate che nella commedia non figurano affatto. Per scoprire di più sull’argomento rimandiamo al nostro articolo su Le Nozze di Figaro.
Laddove Mozart e Da Ponte conservarono in interezza il messaggio di Beaumarchais, nell’opera di Rossini della commedia sopravvivono l’intreccio e gli elementi comici. Il barbiere di Siviglia è l’opera buffa per antonomasia. Ritroviamo tutti gli elementi classici già incontrati l’anno scorso con il successivo Don Pasquale – ne abbiamo parlato qui: il vegliardo aspirante sposo di una fanciulla, l’innamorato giovane, l’aiutante, i servi. In Barbiere, al contrario di Nozze, scavare alla ricerca di una morale si rivela un esercizio superfluo.

Tra vecchio e nuovo
La bottega di Figaro è dunque un luogo fisico. Il progetto della compagnia teatrale Fanny & Alexander la rende tale: un negozietto incastonato dentro la facciata à la Le Corbusier di un quadrilocale affacciato sulla strada. Il regista De Angelis, proveniente dalla prosa, costruisce una simulazione di vita sulla sezione di questo spazio alveolato. Per la strada passano tipi casuali ma riconoscibili, mentre all’interno delle stanze formicolano i personaggi dell’opera più un gruppo di figuranti tutti adolescenti.
Al cuore dell’opera risiede il contrasto tra vecchio e nuovo. Illuminanti a riguardo le Note di regia presentate da De Angelis nel programma di sala: si discute l’ispirazione tratta dal film del 1967 Play Time di Jacques Tati, comico francese. In tal senso il regista ripete l’esplicitazione dell’ispirazione cinematografica già comprovata nel Lohengrin dell’anno scorso al Comunale di Bologna – allora modellato sul film Requiem per un re vergine (Syberberg, 1973). L’operazione risulta qui ancor meglio riuscita.
Il metateatro di Fanny & Alexander sceglie per Rossini una dimensione adolescenziale, talvolta incarnata dai figuranti stessi e altrove vissuta dai caratteri della vicenda. I pruriti, le nervosità, i lazzi di Barbiere sono possibili soltanto in un contesto collettivo. La risata nasce solo nel candore di una condivisione dei sentimenti fanciullesca, senza malizia. Quella che alcuni definirebbero una regia moderna (qualsiasi cosa esso significhi) non porta invece stampata in volto alcuna età: il contesto contemporaneo determinato dagli schermi televisivi, dagli strumenti elettrici e dai led è simbolico abbastanza da non costringere lo spettatore ad una datazione. Lo stesso vale per i costumi di Chiara Lagani, anch’essa fondatrice di Fanny & Alexander, asincroni: qualsiasi altra cosa sarebbe restrittiva.

Un vecchio brusio
I personaggi di Rossini sono vecchi ragazzi. La chiave scelta da De Angelis diventa ancor più evidente nel trattamento delle arie esistenti.
Un esempio: l’unica aria della serva Berta è dedicata al rimpianto di un amore mai vissuto. Poco dopo la vediamo in scena cavalcare goliardicamente, ma senza volgarità, il gendarme – personaggio secondario che in questa versione è innamorato di lei.
Questa scenetta pruriginosa svoltasi in secondo piano rispetto all’azione del libretto introduce, poco dopo, un momento assai didascalico. Mentre il conte canta:
Annodar due cori amanti
Atto secondo, Scena undicesima
è piacer che egual non ha.
Nella stessa stanza dove Berta e il gendarme avevano approcciato tanto grottescamente l’amore, una coppia di adolescenti attua quanto più letteralmente possibile il libretto, e cioè amoreggia con tenerezza sul divano. Il contrasto tra l’umorismo della scena precedente e la dolcezza di questa avrebbe dovuto essere esplicativo di se stesso. Invece è proprio questa la scena a far sollevare il brusio più immediato: perché capita che questi due cuori amanti siano entrambi ragazzi, e si sa che il troppo (nuovo) stroppia.

Interpreti, direzione e orchestra
Direttore ed orchestra si trovano in stato di grazia. Francesco Pasqualetti cavalca i tempi talvolta frenetici della partitura con equilibrio e misure. Come pittore, traccia con colori vivaci e colpi di mano ben sicuri l’insieme mai disaccoppiato dell’orchestra. Rossini richiede una brillantezza agli strumentisti e alle voci, così come al direttore, talvolta disattesa: non è questo il caso. L’ORT veleggia felicemente sulle acque rossiniane grazie ad un tessuto strumentale fitto ed elastico. In particolar modo i celeberrimi crescendo vengono eseguiti ad arte. Sulla stessa falsariga il basso continuo del maestro Riccardo Mascia, che accompagna i recitativi col solo fortepiano, determinando un ritmo serrato consono all’azione comica. Il coro maschile Arché non entra mai in scena, ma non per questo ci risulta meno presente. Il sostegno provveduto agli attori conferma la scelta di non affollare ulteriormente il palcoscenico, perché l’insieme corona l’azione senza disgregarsi.
Caso più unico che raro, non si trova alcuna falla sul fronte vocale. Ogni cantante sviluppa personalissimi punti di forza. Non c’è sbilanciamento verso un fach o l’altro: l’interezza del cast funziona alla perfezione e da solista e nell’insieme. Lo stesso si può dire più o meno di tutti gli interpreti, e cioè che interpreta con brillantezza attoriale e correttezza vocale il suo personaggio.

Le voci
Dave Monaco veste un conte d’Almaviva nel fiore degli anni capace di grande umorismo. Agile ed equilibrato, spicca nei momenti lirici come nelle prove di coloratura: si legga la definizione di tenore contraltino. Allo stesso modo la Rosina di Chiara Amarù è un vulcano di energia e non ammette rivali nell’agilità. Non perde un battito nei tempi comici come nelle terribili fioriture rossiniane, nonostante un timbro corposo di mezzosoprano che non fatica nel registro più grave e nella voce di petto.
Più ingombrante la pasta di voce di Figaro, interpretato da Gurgen Baveyan – egli pure personaggio brillantissimo dalla voce sempre sonora, ben proiettata. Magistrale Roberto Abbondanza come Don Bartolo. Abbondanza non canta, ma recita, o meglio canta parlando: questo basti alla sua caratterizzazione da buffo. La voce è calda e tonda, sempre ottimamente posizionata, e le colorature perfette.
La tessitura più grave del gruppo va ad Arturo Espinosa, Don Basilio. Largo nei tempi, propone con grande gusto l’aria celeberrima della Calunnia, così come i frequenti incisi affidati dal personaggio. Paola Valentina Molinari dona dignità e personalità ad una Berta in altri casi troppo spesso ridotta all’unidimensionalità grazie al timbro sicuro della voce e alla freschezza della recitazione. Tommaso Corvaja, che compare nel duplice ruolo di Fiorello e l’ufficiale della Forza, è convincente e concentrato: lo stesso si può dire di Giorgio Marcello nel ruolo di Ambrogio, assai umoristico.
Insomma i vestiti di ognuno calzano perfettamente addosso al suo interprete, e pare che ognuno abbia avuto barba (e capelli) fatti su misura.

IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Melodramma buffo in due atti
libretto di Cesare Sterbini dalla commedia omonima di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Gioacchino Rossini
personaggi e interpreti
Rosina: Chiara Amarù
Figaro: Gurgen Baveyan
Conte di Almaviva: Dave Monaco
Bartolo: Roberto Abbondanza
Don Basilio: Arturo Espinosa
Berta: Paola Valentina Molinari
Fiorello/Ufficiale: Tommaso Corvaja
Ambrogio: Marcello Giorgio
maestro concertatore e direttore d’orchestra: Francesco Pasqualetti
progetto: Fanny & Alexander
regia, scene e luci: Luigi de Angelis
costumi: Chiara Lagani
Orchestra ORT – Orchestra della Toscana
Coro Archè
maestro del Coro: Marco Bargagna
Nuova produzione e allestimento del Teatro di Pisa
Coproduzione Teatro di Pisa, Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Alighieri di Ravenna, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi e Teatro del Giglio di Lucca

Autrice: Lucrezia Ignone
Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog personale e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. In RadioEco mi occupo principalmente di musica, Opera e della stagione lirica al Teatro Verdi di Pisa.
Mi trovi su @ffffoco. Per contatti: [email protected]