Turandot – Ombra della Luce: l’altro volto della lirica

Tra le rappresentazioni più iconiche della tradizione operistica italiana possiamo sicuramente annoverare Turandot, capolavoro incompiuto di Giacomo Puccini; conosciuta e apprezzata in tutto il mondo per le musiche da sogno e per le sue indimenticabili ambientazioni.

La trama segue le vicende di Calaf, principe in esilio innamorato della bella e crudele Turandot, figlia dell’Imperatore della Cina. La principessa ha giurato che sposerà soltanto colui che, pena la morte, svelerà tre enigmi da lei escogitati. Calaf vince la prova, ma riuscirà a sciogliere il cuore della bella e algida principessa e a farla innamorare di lui?

Un’interessante rivisitazione di quest’opera è stata proposta sul palco (o per meglio dire “sui” palchi) del Collinarea Festival dal regista Loris Seghizzi, che ha saputo proporre un’interpretazione fresca e accattivante di un capolavoro intramontabile, dislocando la rappresentazione all’interno delle due piazze principali del comune di Lari.

Turandot – Ombra della luce rappresenta solo il secondo capitolo di una trilogia dedicata a Giacomo Puccini e segue ad Atroce favola (Madama Butterfly), messa in scena nel Luglio 2022. La produzione sfrutta la tecnologia innovativa della fibra ottica per creare una connessione audiovisiva fra il Giardino del Comune e Piazza Matteotti. Lo spettacolo viene recitato contemporaneamente su entrambi i palchi e diffuso tramite proiettore nelle due piazze, così da creare un gioco di rimandi dialogici e scenografici fra personaggi, ambientazioni, coro e orchestra. Gli attori scendono dal palco, passano da una piazza all’altra della città e interagiscono col pubblico in una serie di suggestive coreografie.

La sceneggiatura riflette l’impianto ubiquo dello spettacolo: ai protagonisti e al coro muto dei figuranti, reclutati fra gli abitanti di Lari, si aggiungono due cantanti e un coro lirico, che accordano i testi recitati in prosa alle arie di Puccini, creando una sorta di “effetto doppiaggio”. All’orchestra di tipo classico si accompagna un gruppo attrezzato con strumentazioni elettriche, che segna i passaggi di scena con musiche di stampo contemporaneo; i brani sono tratti dalla discografia di Franco Battiato, scelto per i richiami alle sonorità e alle ambientazioni di tipo orientale.

Il regista sceglie di abbandonare il canone interpretativo per lasciare spazio al vero protagonista di quest’opera: Puccini. Il dramma umano che ruota attorno alle vicende biografiche del Maestro (dal difficile rapporto con la moglie Elvira, al suicidio della sempre fedele Dora, alla malattia dell’autore stesso) trova finalmente voce all’interno della rappresentazione. La fiaba romantica e sognante di Turandot scopre la sua tragica controparte nella fine drammatica del compositore, che irrompe brutalmente sulla scena alla fine del III Atto. Ai tre enigmi della principessa se ne aggiunge un quarto, destinato a restare insoluto: è l’incognita della morte, che suggella nel silenzio la vita di un uomo e il destino della sua opera.

A seguito della première, la redazione di RadioEco ha avuto il piacere di intervistare il regista Loris Seghizzi per chiarire alcuni aspetti tecnici e organizzativi del progetto.

INTERVISTA

Prima domanda: perché “Turandot” e perché a Lari?

Nell’anno che precede il centenario dalla morte di Puccini abbiamo pensato di mettere in scena quest’opera, precederà la Bohème, che si terrà il prossimo anno, opera che immagino più cinematografica. Molti si sono chiesti perché non chiudere con Turandot (ultima opera del Maestro) e il motivo è questo, è stata una scelta operata soprattutto in considerazione delle tecnologie inedite utilizzate. Abbiamo scelto Lari perché è il luogo dove è nato il Festival venticinque anni fa; è il luogo dove sia io, sia il direttore artistico Mirco Mencacci viviamo; è il luogo dove abbiamo investito tutte le nostre energie umane e artistiche e credo sia il posto perfetto per accogliere un progetto di questo tipo!

In che modo il paese ha preso parte alla rappresentazione?

Beh, il paese ormai è una parte integrata e integrante del progetto; all’interno del grande laboratorio di realizzazione di questo spettacolo, Manuela Sicco ha diretto il coro cittadino, composto da persone che vivono qua, unitamente ad altri artisti, studenti e professionisti che hanno voluto sposare questa causa. Questo ci riporta alla natura stessa del teatro, ci fa capire quanto il teatro sia un’esperienza fondamentale, che supera i confini del mero spettacolo.

Parlando della sua esperienza personale, in che modo si è approcciato al lavoro di Puccini e qual è il processo creativo e laboratoriale che sta alla base di un progetto come questo?

Io sono nato e cresciuto nell’Opera, avevo una nonna soprano e ho passato l’infanzia ad ascoltare i vinili di musica lirica. Puccini è stato un grande innovatore, nelle sue melodie si sente già quello che poi sarà l’esplorazione dell’uso della musica contemporanea. Ho scelto la commistione con Battiato perché è stato il primo a portare la musica classica nelle sue composizioni, abbiamo trovato un filo che unisse i testi, in modo da unire linguaggio passato e contemporaneo.

Lo spettacolo opera una rivisitazione radicale di un capolavoro conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, quale sarà l’effetto sul pubblico e quale spera che sia?

L’effetto sul pubblico lo abbiamo già visto nella prima trasposizione di Madama Butterfly, nella quale siamo andati giù ancora più pesanti unendo le musiche dei CSI a quelle di Puccini. È un’operazione che avvicina molto i giovani, io stesso quando ero bambino adoravo l’opera, ma già mi interrogavo su come potesse diventare qualcosa di più vicino a me. Questo è il problema dell’opera: riuscire a creare un nuovo pubblico; in questo modo molti giovani si avvicinano alla lirica, conoscono la storia e vedono colori che spesso non sono riconoscibili dalle nuove generazioni.

La rappresentazione si svolge all’interno delle due piazze principali del comune di Lari, come si mette in scena uno spettacolo “ubiquo”?

Lo spettacolo si basa su un sistema che ho progettato insieme a Marco Mencacci; abbiamo dovuto lasciarlo da parte per qualche anno perché richiede uno sforzo organizzativo davvero enorme, lo abbiamo ripreso in epoca Covid e abbiamo avuto la possibilità di metterlo in scena. Abbiamo connesso sei location del borgo di Lari con un sistema di fibra ottica e siamo stati assistiti anche da un team di ingegneri esperti. Ci sono quattro luoghi coinvolti: c’è una regia del suono, che avviene in studio, una regia video posizionata in teatro e due location fisiche: la Piazza Matteotti e il Giardino del Comune, poste in relazione fra loro. Il pubblico può assistere allo spettacolo da una delle due location e, attraverso l’impianto audiovisivo, vedere quello che avviene nell’altra piazza; chi acquista il biglietto ubiquo ha la possibilità di spostarsi e vivere entrambi i mondi. Questo tipo di spettacolo richiede un nuovo modo di scrivere, perché il pubblico deve essere messo nella condizione di poter seguire la storia, che non è itinerante, ma avviene contemporaneamente nei due luoghi.

Interessante anche la scelta dei costumi, può parlarcene?

I costumi sono stati realizzati da Eros Carpita e da Manifatture Digitali, si è cercato di creare una dimensione degli stati sociali partendo dai colori. Il blu e il rosso e caratterizzano il palazzo; nello stadio intermedio c’è il coro lirico, vestito di bianco e infine il coro muto dei cittadini, in tuta da operai: sono le voci che non si sentono, è un coro che si sposta fra le due location. Abbiamo creato costumi che hanno la possibilità di aprirsi, rifacendosi a uno stato quasi animalesco, di trasformazione camaleontica, molto rigidi e con una forte caratterizzazione contemporanea.

Lo spettacolo si interrompe con la morte di Liù, che coincide con quella di Puccini, perché questa scelta?

È la parte che mi ha più divertito! In molti hanno rivisitato questo finale rifacendosi alle pagine che Puccini ha lasciato con le proprie note, ma ovviamente si parla sempre di lirica; questo tipo di spettacolo ci apre invece nuove possibilità, non abbiamo bisogno di creare un finale con l’orchestra, ma possiamo usare il teatro! Ho messo in scena un personaggio che interpreta Puccini, creando un parallelismo fra la sua vita e la costruzione dell’opera, lo spettacolo inizia con il suo dubbio riguardo la scrittura del finale e termina con la sua morte. Si è parlato molto dei parallelismi fra la vita di Puccini e la storia di Turandot, mi piace pensare che alla fine Puccini si fosse adagiato nell’idea che l’opera potesse finire così, lasciando il pensiero aperto al pubblico, una scelta che a me piace tantissimo! Come disse Toscanini alla prima: ”Qui muore il Maestro e qui l’opera si interrompe”!

Lo spettacolo si intitola “Turandot – Ombra della Luce”, quali sono le ombre e quali le luci in questa storia e in questa rappresentazione?

Che bella domanda! La citazione fa riferimento a una canzone di Battiato, che con questa immagine racconta i due aspetti contrapposti della nostra esistenza: luce e ombra, odio e amore. È una condizione ossimorica ed è questo che traspare anche nell’opera: la scelta di Turandot di vendicare la sua ava, che nasconde invece una voglia di amare. È un inno all’amore e alla tragicità della vita!

Autrice: Anna Pesetti

Edgar Allan Poe scrisse: “Coloro che sognano di giorno sanno molte cose che sfuggono a chi sogna soltanto di notte”, per questo adoro i pisolini pomeridiani. Quando non dormo mi occupo di letteratura, video-arte, storia del teatro e molto altro.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *