EcoStoria: I “protagonisti dimenticati ”[1] della Resistenza

Lo scorso novembre mi sono laureata con una tesi sulla Resistenza, e, avendo approfondito l’argomento, ho pensato di pubblicare questo articolo in occasione del 25 aprile per ricordare quei protagonisti dimenticati che troppo spesso vengono lasciati indietro dal discorso resistenziale.

Infatti, quando si parla di Resistenza, non si parla soltanto di partigiani, intesi come le formazioni armate che agivano in campagna, sulle colline, sui monti. La Resistenza è un fenomeno molto più ampio di cui i partigiani costituiscono sicuramente una parte notevole ma non esauriscono totalmente quella che è stata l’opposizione al nazi-fascismo.


I GAP

Cominciamo dai GAP , i Gruppi d’Azione Patriottica, definiti dal Comando del Cvl come

formazioni di pochi uomini aventi per compito azioni terroristiche, contro i nemici e i traditori, azioni di sabotaggio contro le vie di comunicazione e depositi del nemico, ecc.;

più semplicemente potremmo definirli come i partigiani della città. Questo terrorismo non era diretto indiscriminatamente contro i nemici, ma prevedeva azioni mirate ad personam, ovvero a chi era adibito a compiti di polizia, repressione e rappresaglia.

Erano organizzati e diretti dal Partito comunista , perciò erano molto più connotati politicamente rispetto alle formazioni partigiane. Il loro compito era durissimo: dovevano avere una forte resistenza alla tensione nervosa per le lunghe attese e la prospettiva della tortura, convinzioni politiche fortissime, schiacciati da una clandestinità ossessiva e rigorosissima, oltre che dal peso del proprio dovere: «non è il rischio, è l’isolamento a logorare il gappista» [2] ; Erano le ragioni per cui anche i migliori partigiani di montagna non se la sentivano di agire come i gappisti in città. Un’altra complicazione derivava dal pedinamento del nemico, che portava il gappista ad attribuirgli un volto anche privato, e rendeva più difficile l’ucciderlo.
Sono stati proprio i GAP ad uccidere il filosofo Giovanni Gentile .

Andiamo avanti.

Lo storico Santo Peli parla di “Resistenza taciuta”, un concetto che racchiude in sé la partecipazione e l’aiuto dato dalle donne e da chi si rifiutò di combattere per i nazifascisti, ossia i soldati italiani internati in Germania e i renitenti alla leva.

LE DONNE

Ci sono varie forme di partecipazione delle donne alla Resistenza.
Con l’8 settembre, tante donne manifestano una solidarietà volontaria verso militari in fuga, antifascisti, ex prigionieri alleati, ebrei… si tratta di un momento determinante per tante di loro perché scoprono per la prima volta la loro autonomia, la possibilità di ribellarsi all’immagine cattolica di donna “angelo del focolare”.

Si parla sia di giovanissime che di ultratrentenni. In montagna, i primi gruppi ribelli trovano proprio nelle donne i primi e fondamentali agganci con la società civile.
Invece l’ingresso nelle formazioni militari avviene o per scelta deliberata di battersi anche con le armi, o per la necessità di scappare dopo essere state individuate come antifasciste.

Nel senso comune, la donna-partigiana è la “staffetta”, parola evocativa di compiti ancillari, sportivi e di poco impegno. In realtà moltissime staffette trasportavano armi, recavano messaggi d’importanza vitale e rischiavano quotidianamente la vita.


GLI IMI

Al momento dell’armistizio, circa 800.000 soldati sparsi tra Grecia, Francia, Jugoslavia e Isole ioniche si ritrovano all’improvviso da soldati occupanti a esercito sconfitto. A quel punto la scelta era semplice: unirsi all’esercito tedesco, o venire internati in Germania. Circa 186.000 passeranno a combattere per i tedeschi; i Lager attendono i restanti 600.000.

Tutti questi uomini non venivano considerati prigionieri, così da non fargli beneficiare dell’assistenza della Croce Rossa internazionale, come stabilito dagli accordi di Ginevra del 1929: era la punizione per il loro tradimento. Venivano sottoposti a condizioni durissime – mancanza di igiene, scarsa alimentazione, 12 ore di lavoro giornaliere, freddo eccessivo durante i mesi invernali – volte a spingerli dalla loro parte, oltreché punirli.

Si capisce come sia stato importante anche l’apporto degli Imi nel contesto della Seconda guerra mondiale, e quanto meritino di essere considerati parte integrante della Resistenza. Lo diceva anche Fenoglio:

Io dico che dovremmo pensare un po’ di più a quelli di noi che son finiti in Germania. Ne hai mai sentito parlare una volta che è una? Mai uno che si ricordi di loro. Invece dovremmo, dico io, tenerli un po’ presenti. Dovremmo schiacciare un po’ di più l’acceleratore anche per loro. Ti pare? Si deve stare tremendamente male dietro un reticolato, si deve fare una fame caina, e c’è da perdere la ragione. Anche un solo giorno può essere importante per loro, può essere decisivo. (…) E poi ci racconteremo tutto noi e loro, e sarà già triste per loro poter raccontare di passività e dover stare a sentir noi con la bocca piena di attività[3].

Pensate a che minaccia avrebbero potuto costituire l’oltre milione e mezzo di soldati che rifiutarono di aderire all’esercito tedesco se avessero accettato di rientrare in Italia inquadrati in reparti militari per combattere dalla parte nazifascista.

Tuttavia, è stato proprio il loro «rifiuto del fascismo senza antifascismo a respingere per decenni l’esperienza e le scelte degli Imi ai margini, quando non in una posizione di sostanziale estraneità alla Resistenza»[4]. Tant’è che spesso per gli Imi si è parlato di “resistenza passiva”, ma «come si fa a definire “passivo” un no opposto ai nazisti dall’interno di un campo di prigionia?»[5].

Rebecca Bibbiani, classe 1999, laureata in lettere moderne e studentessa della magistrale in italianistica a Pisa. Benché l’indecisione sia uno dei suoi peggior difetti, c’è una cosa di cui è certa: – Nella mia vita voglio scrivere. Per questo ho deciso di entrare a far parte di RadioEco.


[1] S. Peli, Storia della Resistenza in Italia, Torino, Einaudi, 2015

[2] G. Pesce, Senza tregua, cit. in S. Peli, “Storie di Gap. Terrorismo urbano e Resistenza”, Einaudi, 2014, p. 502

[3] B. Fenoglio, Una questione privata, cit., Einaudi, 2022, p. 54

[4] S. Peli, Storia della Resistenza in Italia, cit., Torino, Einaudi, 2015, p. 202

[5] A. Bravo, Resistenza civile, cit. in Enzo Collotti, R. Sandri e F. Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, vol. I, Storia e geografia della Liberazione, Einaudi, Torino 2001, cit., p. 277

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