La stagione del Verdi si conclude con l’oratorio Juditha triumphans adattato al palcoscenico. Il M. Carlo Ipata e un cast di alto livello interpretano Vivaldi con ottimo risultato, grazie anche ad un occhio di regista particolarmente attento.

Credits: tutte le foto dell’articolo provengono dal FB – Fondazione Teatro Verdi
- Juditha (non) triumphans
- Regia, scene e costumi
- Interpreti, direzione e orchestra
- JUDITHA TRIUMPHANS
Juditha (non) triumphans
Juditha triumphans devicta Holofernis barbarie non è un’opera lirica. Juditha nasce come oratorio. Sacrum militare oratorium: oratorio sacro, perché attinge dalla storia biblica per il soggetto, e militare, poiché racchiude temi di guerra e rivendicazione. La vittoria degli ebrei-veneziani sul generale assiro-turco, celebrata al termine dell’oratorio, non sorge da una solinga interpretazione contestuale ma dal libretto stesso.
Il Teatro Verdi di Pisa sceglie di terminare la sua stagione lirica con una nuova produzione di Juditha triumphans in veste operistica, coprodotta col Teatro Ponchielli di Cremona. Non per la prima volta questo capolavoro di Vivaldi viene tradotto per il palcoscenico, ma si tratta comunque di una sfida immaginativa che costringe registi e scenografi all’originalità. Non c’è una lunga tradizione drammaturgica, solitamente inaugurata dal compositore stesso, sulle spalle della quale svettare. Ci sono solo il libretto e il ruolo del topos “Giuditta decapita Oloferne” nell’arte precedente Vivaldi.
L’elemento militare viene meno in questa rilettura che vede laboriose sulla scena le putte stesse di Vivaldi. Sono le coriste, le ballerine; invece di essere travestite da soldati o vergini ebree, le donne indossano abiti che evocano le prime interpreti dell’oratorio nel 1717. Anche Oloferne, Vagaus e Ozias sono donne in abito da donna come lo sarebbero state le allieve di Vivaldi allora; sono gli atteggiamenti, le pose, i gesti teatrali e l’incedere di ognuna a dare corpo a quanto cantato e costruire personaggi femminili e maschili in egual misura, generali, sacerdoti, serve.
All’immaginario biblico dell’oratorio si sovrappone la memoria del Pio Ospedale della Pietà. Sulla scena Giuditta e Oloferne amoreggiano – e che il sentimento sia vero o no non importa – mentre le nostre putte armeggiano con sostegni e tavoli o aiutano i personaggi con i loro abiti, li riveriscono. La scena è costituita da un continuo sovrapporsi e rivelarsi di tendaggi. Questi diffondono la luce ora del crepuscolo, ora del mattino: celano l’ombra di Oloferne o scendono sul capo del sacerdote Ozia. I tendaggi nascondono Giuditta mentre taglia la testa ad Oloferne. Al momento del taglio, la luce naturale delle candele si trasforma in un lampo rosso. Illuminazione e scene alternano nell’essere ora diegetiche, ora commenti all’azione drammatica. Molto rimane immaginato come voluto dall’oratorio stesso: non c’è sangue che sgorga in scena e anche il coro canta di frequente nascosto dalle volte di tessuto.
C’è però una regia di suggestioni. Si tratta di immagini perlopiù rinascimentali, come i costumi, e incrociate tra significante e significato, come la cornice che cala dal soffitto: questa offre l’occasione a Giuditta di trasformarsi in Giuditta dipinta, soggetto di tanti quadri, mentre lamenta la transitorietà del mondo (Transit aetas). Giuditta duetta due volte con strumenti che vengono suonati in scena, la prima volta col piuttosto raro salmoè – questi musicisti sono gli unici due uomini a calcare il palcoscenico durante la rappresentazione – offrendo così risalto alla scelta di tali strumenti, alla musica.
E c’è anche una precisa interpretazione di Giuditta. Il libretto stesso vuole che l’eroina esiti e sia la sua serva ad esortarla più di una volta verso l’omicidio. Questa Giuditta dimostra una bussola morale coerente con la storia, ma sin dalla sua entrata si intuisce non sia senza pensieri: vaga, erra, si nega alle moine con una veemenza sincera e non formale, come d’altro canto sembra quasi sincero in alcuni momenti l’afflato tra lei e Oloferne. Quando la decapitazione avviene Giuditta non è trionfante. Lo è il suo popolo e il sacerdote che la incensa al podio ma non è lei a tenere tra le braccia la testa di Oloferne, compito prima di Abra e poi Ozia. Giuditta come simbolo ha vinto sull’usurpatore; la persona Giuditta non riesce a lavare via il sangue dalle mani.

Regia, scene e costumi
Manuela Gasperoni ripropone indosso a coriste e ballerine la divisa religiosa rossa e bianca che avrebbero indossato le putte di Vivaldi alla prima rappresentazione dell’oratorio. Odorano di seicentesco. Non solo: sono abiti femminili, sul tono del rosso, amaranto ed arancio, a vestire anche le soliste, con tagli leggermente differenti a seconda del personaggio rappresentato.
La regia di Deda Cristina Colonna compone un unicum molto coerente con le scelte di Gasperoni e della Mea alle luci.
La rappresentazione si presenta come una successione di tableaux e scene dinamiche, attive. Grande coerenza tra costumi e scene: queste vedono un fondale illuminato differentemente a seconda del momento del giorno in cui si finge l’azione – crepuscolo, notte, pomeriggio o mattino – e velato da tendaggi quasi trasparenti. Sono le ballerine a portare o nascondere dalla scena i supporti in legno che costruiscono letto, tavolo da banchetto o podio a seconda dell’occasione. Nulla viene mai veramente nascosto dalla scena, ma piuttosto celato dietro il velo del tendaggio, ora alzato o abbassato sul coro, sospeso sulla tavola. Non avvengono così dei veri e propri cambi di scena. Le putte interrompono a volte l’azione, correndo da una parte all’altra del palcoscenico o interagendo coi personaggi: sono vere e proprie decorazioni viventi.
Pochi elementi compongono la scena senza che questa appaia troppo scarna. Si distinguono quattro fasi, adiacenti a quelle drammatiche: in primo luogo l’affastellamento di tavole che vede Oloferne spesso in parte celato nel suo accampamento; poi il banchetto al quale Giuditta viene invitata, talvolta strattonata dallo stesso, la tavola per il quale taglia orizzontalmente la scena; prima della decapitazione il letto viene affiancato da una cornice sospesa e da elementi residui del banchetto come frutta, coppe; infine le stesse tavole e strutture di legno, composte differentemente, offrono un podio per il trionfo di Giuditta cantato da Ozia.
Le luci talvolta crepuscolari e caravaggesche, soffuse sui tendaggi, sono state curate da Michele della Mea.

Interpreti, direzione, coro e orchestra
Quando si esegue barocco a Pisa il nome è uno solo: Carlo Ipata.
Col suo gesto a volte geometrico, sempre adatto, Ipata restituisce un’interpretazione stilisticamente coerente ed equilibrata. C’è grande elasticità nel riservare ad ogni momento musicale tempo e tessuto necessario a svilupparne il carattere, quantunque differente dalla scena che lo precede o segue. Rilucono i cambiamenti di colore e le minuzie della partitura vivaldiana. Il risultato è pieno: l’orchestra Auser Musici risponde sempre diligentemente alla direzione e c’è sintonia tra questa, il coro e i cantanti.
Le soliste portano in scena cinque personaggi caratterizzati e distinti in maniera netta gli uni dagli altri, che danno l’impressione di persone vere.
Federica Moi restituisce un Ozias autentico nel suo riuscitissimo debutto in Juditha. Moi è un vero contralto naturale dal timbro caldo e voce piena, avvolgente; scende con naturalezza delle regioni più gravi del registro e suscita grande entusiasmo in teatro con O Sydera, o stellae. Si consiglia di tenerla d’occhio.
Il contralto Francesca Ascioti interpreta un Oloferne credibile per statura, portamento e colore. La sua bella voce bruna non giganteggia, ma esprime con sensibilità il carattere del personaggio. Colpisce soprattutto nei momenti di maggiore intensità drammatica e grazie al supporto della recitazione.
Il Vagaus di Shakèd Bar è vivace e giovane. Bar tratteggia un personaggio frizzante, in aperto contrasto con la ieraticità degli altri. La voce del mezzosoprano, di gran lunga la più chiara e brillante del cast, si disimpegna con facilità dalle agilità del ruolo e dimostra grande duttilità. Strappa applausi a scena aperta nell’aria (quasi ormai da baule) Armatae face et anguibus.
Miriam Carsana interpreta una Abra dalla voce di mezzosoprano scuro e liscio, fedele all’immagine della consigliera matura sovrapposta alla serva. Carsana è convincente sia nella vocalità che come personaggio nei suoi tentativi di esortare Judith, con la quale contrasta per la differenza in timbrica.
A venire applaudita più di tutte, anche a scena aperta, è Sonia Prina. Non si fatica a trovarne le ragioni. Prina incarna una Giuditta esitante e dubbiosa le cui trasformazioni d’animo trovano specchio nell’interpretazione delle arie. I momenti in cui canta corrispondono più spesso che no a sospensioni dell’azione scenica. Ne nasce una sorta di magia: quando Prina è in scena, il tempo dell’oratorio si ferma e si cristallizza anche il tempo in teatro. Vuoi l’esperienza nel tipo di ruolo, vuoi la sensibilità interpretativa o l’omogeneità del timbro, è un successo. Agitata infido flatu e Transit aetas, drammaturgicamente opposte, riescono allo stesso modo.
Sotto la direzione del maestro Marco Bargagna la parte femminile del coro Arché, impegnato ora nella guisa di soldati e ora di vergini, complimenta l’orchestra e si configura come una sua estensione sulla scena.

JUDITHA TRIUMPHANS
Devicta Holofernis Barbarie
oratorio militare sacro in due parti RV 644
libretto di Giacomo Cassetti
dalla Bibbia, Libro di Giuditta
Musica di Antonio Vivaldi
prima esecuzione assoluta: Venezia, Chiesa della Pietà, 1716
Editore Casa Ricordi, Milano
personaggi e interpreti
Juditha: Sonia Prina
Abra: Miriam Carsana
Holofernes: Francesca Ascioti
Vagaus: Shakèd Bar
Ozias: Federica Moi
maestro concertatore e direttore: Carlo Ipata
regia: Deda Cristina Colonna
scene e costumi: Manuela Gasperoni
light designer: Michele Della Mea
Orchestra Auser Musici
Coro Archè
maestro del Coro: Marco Bargagna
Nuova produzione e allestimento del Teatro di Pisa
Coproduzione Teatro Ponchielli di Cremona


Autrice: Lucrezia Ignone
Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog personale e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. In RadioEco mi occupo principalmente di musica, Opera e della stagione lirica al Teatro Verdi di Pisa.
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