Buon lunedì a tuttǝ e bentrovatǝ a RadioFemm, la rubrica femminista di RadioEco! L’argomento di oggi riguarda una celebrazione cara al movimento femminista: la Giornata Internazionale della Donna. E vista l’imminenza dell’evento (fra due giorni), proviamo questo lunedì a fare qualche riflessione.
Giornata internazionale o “festa della donna”?
L’8 marzo, ossia la Giornata Interazionale della Donna, rappresenta un evento politico e sociale pregno di molteplici significati. È evidente, tuttavia, che all’interno della nostra società questa Giornata tende a perdere il senso e il valore di ciò che rappresenta. Tantoché si finisce per considerarla un evento popolare denominato “festa delle donne”, dove ci sentiamo in dovere di riservare, almeno per quel giorno, un trattamento speciale al «gentil sesso».
Così vediamo uomini, padri, fratelli, mariti e fidanzati regalare mimose e adottare un riguardoso rispetto nei confronti delle donne che partecipano alla loro vita. Perciò l’8 marzo, con la comunemente nota “festa della donna”, ciò che si celebra non è altro che quell’insieme di ruoli e valori che storicamente la società patriarcale ha affidato alle donne. Si celebra, quindi, la loro bellezza, il sorriso, le capacità di madre e di moglie.

L’immagine è stata diffusa durante una campagna nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne, nel 2015. Non è quindi strettamente legata all’8 marzo, ma è chiaro che i propositi delle due Giornate si intrecciano.
Infatti, gli “slogan” ricorrenti in questa celebrazione, suonano come “la donna è il fiore più bello” e “regala un fiore alla tua donna”, oppure l’imbarazzante: “gli schiaffi alle donne solo a pecorina”. Si pone, dunque in luce quella che è la capacità affettiva stereotipizzata della donna, la quale chiede a sua volta amore; l’oggettificazione sessuale dei corpi femminili. E la sua principale caratteristica che in quanto donna deve essere valorizzata: la bellezza, spesso paragonata alla delicatezza dei fiori.
Ma come anticipavo, la Giornata Internazionale della Donna è molto di più, se non proprio tutt’altro.
Perché celebriamo le Giornate Internazionali?
Come affermano le Nazioni Unite, «le giornate internazionali sono un’occasione per informare le persone su questioni importanti, per mobilitare le forze politiche nell’incanalare le risorse per risolvere problemi globali e per celebrare e rafforzare i successi dell’umanità. L’esistenza delle giornate internazionali precede la fondazione delle Nazioni Unite, ma l’ONU le ha adottate come potente strumento di sostegno».
La Giornata Internazionale della Donna, quindi, non è una semplice festa popolare ma un momento chiamato a sensibilizzare la società su temi cari al cosiddetto femminismo di quarta ondata, come il femminicidio e la violenza di genere, il diritto all’aborto e i diritti riproduttivi. Ma anche la crisi climatica e la guerra.
L’8 marzo si presenta nella sua intersezionalità: ciò che divulga pone in rilievo i vari livelli di oppressione, causa dell’unico oppressore che è la società patriarcale. A sua volta, tale sensibilizzazione è rivolta anche ai «poteri forti», i quali sono chiamati a cambiare prospettiva sulla considerazione della donna e, con lei, della comunità LGBTQ+ e dei diritti civili.

Giornata Internazionale della Donna, 2019, Roma.
Un altro elemento posto in rilievo dalla definizione sopra citata, è che lo scopo ultimo delle giornate internazionali è quello di «rafforzare i successi dell’umanità», cioè contribuire al percorso del progresso dell’umanità nel suo insieme. È chiaro quindi come, con la specifica dell’8 marzo, il successo di noi tuttǝ coincide esattamente con l’ottenimento di quei diritti civili che le forze politiche oggi sembrano non volerci dare.
La Giornata Internazionale della Donna: tra passato e presente
Il primo, vero e proprio, otto marzo avviene in Germania nel 1914. La scelta della data sembra rimandare all’inizio della cosiddetta «Settimana rossa» dedicata ai socialisti tedeschi, i quali si ponevano a favore del suffragio femminile.
In Italia, dobbiamo aspettare l’8 marzo 1946, quando l’UDI (Unione Donne Italiane, nata nel 1944) decide di celebrare la Giornata Internazionale della Donna. L’8 marzo viene considerato dall’UDI come un giorno di lotta ma anche di festa, un momento speciale. Comincia in quell’occasione a essere diffusa anche la tradizionale mimosa, come simbolo della lotta delle emancipazioniste.

Credits: Europlant Srl
Ad avanzare le proposta dell’utilizzo della mimosa come principale elemento simbolico della Giornata, è Teresa Mattei che si inventò una leggenda cinese per cui la mimosa rappresentava la femminilità. Si tratta di una frottola, il cui scopo era quello di far preferire la mimosa alla molto più costosa orchidea. La mimosa, infatti, è un fiore che nasce spontaneamente nelle campagne: tutti potevano recuperarlo facilmente, per poi donarlo.
Negli anni successivi, la mimosa divenne un simbolo sovversivo. Un elemento il cui significato rimandava al disturbo dell’ordine pubblico, e si cominciò a vietarne la vendita per le strade. Il gesto di scambiarsi la mimosa, diventò fra le femministe un modo simbolico per sugellare una loro complicità nelle intenzioni, se non celebrare le grandiose conquiste che le emancipazioniste avevano ottenuto solo recentemente.
Oggi, l’8 marzo non solo rappresenta la volontà di riunirci assieme per la rivendicazione di diritti e la sensibilizzazione su temi sociali, ma anche per il ricordare la storia travagliata del femminismo (o, meglio, dei femminismi) e le femministe che l’hanno tracciata, e che prima di noi hanno lottato per cambiare il nostro futuro.
Il femminismo, d’altronde, nasce proprio così: donne che si uniscono in un gruppo senza gerarchie di poteri, e attraverso il costante confronto sulle problematiche che le legano, insieme lottano per la conquista dei propri diritti. L’8 marzo rappresenta proprio questo: l’unione di passato e presente, ricordo e lotta qui e ora.
AUTRICE: CAROLINA SANTINI
Ho ventitré anni e sono studentessa del corso magistrale in Filosofia e Forme del Sapere, per il quale mi sono trasferita all’inizio di quest’anno accademico a Pisa. Vengo, infatti, da un piccolo paesino delle Marche in provincia di Urbino. Ed è proprio all’Ateneo di Urbino che ho intrapreso il mio percorso universitario, laureandomi in Scienze Umanistiche, curriculum Filosofico. Da poco in terra toscana, ho quindi deciso di portare la mia passione per la scrittura e il mio fervido spirito femminista, qui a RadioEco.