Il lancio di un disco solista diventa l’occasione per fare ottima musica in libertà, quando gli ospiti sono amici ed il teatro di tua direzione. Ci troviamo in un sabato sera piovoso a Capannoli per il lancio di SoLo, firmato da Andrea ‘Lupo’ Lupi.

Un sabato sera a teatro
Capannoli non è certo il centro del mondo, ma custodisce un teatrino niente male che risale all’inizio del Novecento. Il teatro si affaccia su una piazzetta ed è assediato dalle nobildonne del paese, cioè le ville rinascimentali: Villa Baciocchi, appartenuta alla sorella di Napoleone, Villa Zeiro, Villa Masi.
Per lunghi periodi questo palcoscenico ha taciuto. A causa della guerra negli anni Quaranta e poi per altre interruzioni di percorso la sua programmazione non ha mai goduto di grande continuità, almeno fino al 2017, quando se ne inaugura la direzione da parte de La Compagnia del Bosco.
Oggi il Teatro Comunale di Capannoli si presta alla prosa, alla musica e all’arte in egual misura. Il palazzo del teatro ospita uno spazio espositivo al piano terra e, oltre le scale a chiocciola, aule dove si tengono corsi di musica e arte.
Stasera la capienza del teatro è stata aumentata per l’evento con panche di legno e sedute. Diventa difficile districarsi tra le sedie e le persone.

SoLo – ma non troppo
Dopo le dieci, quando il sipario si apre, sul palcoscenico compaiono due dei dieci artisti che interverranno durante la serata. Subito non ci troviamo più nel chiuso del teatro. La musica definisce con tratteggi leggeri – l’arpeggiare della chitarra, il tremolio della fisarmonica – l’umore della serata e suggerisce una scena tranquilla dal sapore nostalgico, intimistico.
È questo il primo assaggio dell’album SoLo firmato da Andrea ‘Lupo’ Lupi, autore e polistrumentista, di cui stasera si tiene il lancio. A presentarlo sono lo stesso Lupi e Roberto Molesti che dell’album è arrangiatore e parte integrante.
A giudicare dai brani presentati nel concerto, SoLo si preannuncia un album dove le canzoni assumono i contorni di panorami sonori. Che all’elaborazione del tessuto strumentale venga rivolto un’occhio di riguardo è confermato dalle tecniche più spesso ricorrenti, come arpeggi, serie di armonici, fruste per le percussioni. Il repertorio è vario e attinge a piene mani dall’esperienza di una vita – quella di Lupi. Gli artisti coinvolti sono molti e blasonati: nel disco come sul palcoscenico incontriamo infatti oltre ai sopracitati Lupi e Molesti la contrabbassista Alessandra Cecala, i percussionisti Valerio Perla e Mario Marmugi, il sassofonista Cris Pacini e poi ospiti d’eccezione come il grande bluesman italiano Nick Becattini e Mimmo Mollica dalla Nick Becattini Band; Nico Gori, docente e compositore impegnato ora al clarinetto ora al sax, di ritorno da innumerevoli collaborazioni di grido; il violinista Fulvio Renzi, sempre diviso fra antico e moderno.
La scaletta non è organizzata rigidamente e ai brani del disco si inframezzano momenti di musica anche improvvisata.
Prima di continuare con gli inediti, largo infatti ad un’esecuzione del celeberrimo standard (In my) Solitude. Nello standard jazz la voce del bel contrabbasso di Cecala spesso doppia Lupi, mentre l’eccellente clarinetto di Nico Gori instaura con la chitarra un duetto di voci di donna. Sorge qui per la prima volta, ma non l’unica durante il concerto, un problema ricorrente quando si parla di grandi artisti. Talvolta riesce difficile definire rigidamente una canzone in questo o un altro genere. Capita il blues rubi dal jazz, succede che un motivetto pop possa strisciare nello swing. In casi come questo le categorie cadono e viene da chiamarla soltanto musica.
Lupi introduce la storia al centro di una nuova canzone. Histoire d’un Musicien et d’une Putain, si chiama: racconta di un suonatore di sousafono e della prostituta con cui medita la fuga dal quartiere La Muffa, il più squallido di Parigi. Lui riesce ad arrivare in Normandia mentre lei, trattenuta dal magnaccia, ritarda di molto la partenza e non può più scovare nella folla l’amante una volta sbarcata. Allora percorre le spiagge costellate di conchiglie che rassomigliano tutte la curva del sousafono e le ricordano lui. La narrazione della storia diventa un valzerino francese con tanto di fisarmonica malinconica; la fuga, un trotto selvaggio affrettato dal clarinetto di Gori; e poi un secondo tempo che è una lamentazione: Ah, l’amour s’en va.

Inediti e improvvisi
Torniamo alle dediche con una reimmaginazione corale di If it be Your Will di Leonard Cohen. Lupi dice di averla eseguita in uno spettacolo con gli attori Dario Marconcini e Giovanna Daddi e di averla amata tanto da volerla riproporre. Suggestioni della Gymnopédie 1 di Erik Satie aprono le porte su una scena struggente, dove il violino di Renzi si afferma protagonista. Poi un gioco di piroli allentati e stretti a tempo, il processo di accordatura degli strumenti come effetto sonoro, e il lancio di una lunga coda in ripresa, con archi e percussioni imbizzarrite.
Fa sempre piacere vedere il processo creativo bucare la tela della registrazione, il vero retroscena delle cose far capolino prima di un brano. Lupi racconta di aver giocato con la chitarra in una sera d’estate ed aver registrato il prossimo pezzo con un’accordatura che non sa più ritrovare. Sono questi i momenti di sale che fanno ricordare quanto lavoro giaccia sotto la pelle di un disco. L’ennesimo paesaggio musicale si compone di pagliuzze sonore e frammenti: pizzicato di violino, sonagli, campanelli, anellini percussivi, gingilli.
E poi una lunga rapsodia tutta in mano a Pacini e al suo sax intenso, disperato; “I want to live in a fairytale”, cantato da Lupi prima di arrivare alla commozione con Pacini e Becattini; un blues tutto spiegato dall’armonica a bocca di Mòllica; il blues lento e avvolgente di Don’t let the sun catch you crying, introdotto con luci soffuse.
Lupi stesso lamenta un mal di gola che lo costringe a ricorrere a spray lenitivi e anche ad un’ampolla di acqua di Lourdes, il cui effetto ironico, un ambiente come questo palcoscenico traboccante di blues, è dirompente. Un altro momento divertente vede Lupi rinunciare al suonare uno strumento a corde esotico perché troppo lungo da accordare. Non importa. Anche con la chitarra elettrica l’effetto è assicurato ed il duetto dei sax di Gori e Pacini sottrae l’attenzione da qualsiasi malfunzionamento.
Il concerto si chiude con una dedica a Ben E. King, Spanish Harlem, ed un lungo blues standard di chiusura che permette ai musicisti di togliere le briglie ai loro strumenti. Si sale, si sale, si sale fino all’esplosione: l’applauso.Rimane il brindisi tra pubblico e artisti ed un bell’album da acquistare, SoLo, un sabato sera in quel di Capannoli.


Autrice: Lucrezia Ignone
Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog personale e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. In RadioEco mi occupo principalmente di musica e del Teatro Verdi di Pisa.
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