Buona Domenica e ben tornat* su Pensieri (S)comodi, la rubrica scomoda di Radio Eco. Oggi andremo ad analizzare la cultura dell’etichette e degli stereotipi.
L’assurdità del ruolo sociale delle etichette oggi è che queste non si limitano a catalogare la realtà secondo denominatori comuni in relazione a chi sta facendo tale catalogazione, tendendo in considerazione il pluralismo di punti di vista che può dominare una stessa società. Le etichette tendono piuttosto ad attribuire una caratteristica statica e predefinita, la cui valutazione viene posta come oggettiva e invariabile. Il rischio è dunque quello di racchiudere un concetto vario e sfumato all’interno di una categoria semplicistica e di farlo in modo da definire una persona in maniera irreversibile.
Indice:
- Il concetto di stereotipo: da dove nasce e cosa significa
- Stereotipi e nazionalismi: differenze culturali e storiche negli stereotipi nazionali
- La contraddittorietà delle etichette: etichette come gabbie ed etichette per la libertà
- Alcune letture interessanti
Il concetto di stereotipo: da dove nasce e cosa significa
Il termine stereotipo deriva dal greco: stereòs = rigido e tòpos = impronta. L’utilizzo di questa parola risale al 1700 e veniva utilizzata per indicare la riproduzione delle stampe in ambito tipografico.
Il termine entra nel vocabolario delle scienze sociali con il giornalista W. Lippmann, il primo ad affrontare la tematica degli stereotipi in relazione ai processi di formazione dell’opinione pubblica (1992).
Il processo di attribuzione di caratteristiche personali a noi stessi o agli altri e il raggruppamento di persone/realtà entro categorie predefinite, fa parte del modo automatico in cui l’uomo cerca di analizzare e comprendere gli altri. Questo processo esercita una funzione di semplificazione della realtà che ci permette di economizzare le nostre risorse e di fornirci in breve tempo informazioni che ci danno la sensazione di facilitare l’interazione con gli altri.
Il rapporto conoscitivo dell’uomo con la realtà esterna non è diretto, ma mediato da immagini mentali che ciascuno associa ad una specifica realtà: gli stereotipi sono semplificazioni schematiche, più o meno rigide, costruite dalla mente umana per comprendere il mondo esterno e per favorire l’associazione di concetti.
Gli stereotipi nascono in relazione al processo di formazione dell’identità di ognuno poiché si basano sull’idea che ogni individuo ha del mondo, di se stesso, della sua storia personale, delle proprie capacità.
Quindi possiamo dire che, inconsciamente, l’uomo tende a catalogare la realtà per semplificarne il processo di analisi e comprensione. Le etichette sono formule che semplificano la realtà schematizzandola con immagini generalizzate (stereotipi) che se da un lato servono alla complessità dell’ambiente e ad attribuire un nome al nuovo, dall’altro annullano la differenza e la ricchezza individuale all’interno dei singoli gruppi.
Stereotipi e nazionalismi: differenze culturali e storiche negli stereotipi nazionali
Gli stereotipi si formano storicamente, ed è per questo che sono un fenomeno culturale che cambia radicalmente sa paese a paese.
La maggior parte, se non la totalità di tutti i pregiudizi, gli stereotipi, i prototipi tipici di un certo paese sono riconducibili ai caratteri nazionali dei gruppi maggioritari che determinano i modelli culturali, i valori etico-morali, i tratti psicologici di una determinata popolazione. È facile intuire però che si tratta di caratteri fondati su riduttive e semplicistiche descrizione delle singole nazioni alita che non tengono di conto delle minoranze e che possono condurre facilmente a valutazioni sommarie e imprecise.
Si verifica spesso un processo di generalizzazione che porta ad etichettare in modo omogeneo e unitario ogni membro del gruppo di riferimento, della popolazione con la quale s’interagisce, dando per scontato che queste caratteristiche costituiscano un insieme organico, coerente e immutabile nel tempo.
È chiaro che il modo di vestirsi, il modo di parlare e comunicare, il modo di comportarsi o di porsi agli altri, cambia radicalmente da cultura a cultura e quindi da paese a paese. Se dal nostro ridotto punto di vista, ci sembra che una persona si comporti in maniera negativa e sbagliata, molto probabilmente in un altro paese quello stesso gesto sarà percepito come il più alto grado di rispettabilità ed educazione.
Alcuni esempi di come uno stesso gesto, parola o comportamento può assumere significati diversi in base al paese di riferimento:
- Sputare a terra, atto considerato normale in molti paesi dell’ Asia e dell’Africa, viene considerato, nei paesi occidentali, come un gesto sinonimo di sgarbo, rozzezza e sporcizia.
- In Italia, così come in molti paesi sud americani e africani, parlare a voce alta è normalità; la stessa cosa in molti paesi orientali è invece considerata segno di maleducazione.
- Se in vari paesi occidentali esiste la cultura del divertimento per ragazzi/e e adolescenti, in altri paesi – come il Giappone ad esempio – esiste invece la cultura della dedizione agli studi intensa e obbligata.
La contraddittorietà delle etichette: etichette come gabbie ed etichette per la libertà
Esistono molteplici possibilità di etichettare un gruppo e/o una persona, ad esempio per categorizzare e sottolineare stati caratteriali, ideologici, politici, sessuali ecc.. e per dare una sfumatura valutativa, positiva o negativa, a ciascuna di queste categorizzazioni.
Le etichette posso assumere un significativo soggettivo a seconda dell’esperienza personale di chi le usa: queste categorie si formano nella nostra mente in base alle esperienze che ciascuno di noi ha avuto con persone che abbiamo riconosciuto all’interno di una stessa etichetta.
Ad esempio, l’etichetta ‘buono/a’ può assumere molteplici significati per ognuno di noi e quando una nuova persona ci viene presentata sotto l’etichetta di ‘buono/a’ dovremmo prima cercare di capire cosa intende, chi ha definito quest’ultima come tale, per ‘persona buona’.
Non dovremmo mai dimenticare che qualsiasi etichetta non ci informa su chi è la persona a cui è attribuita l’etichetta, ma informa su chi la sta usando, perché denota il modo in cui quest’ultima rappresenta ciò che vede. È importante tenere presente che esse indicano la lente con cui noi guardiamo, e non definiscono in maniera profonda, realistica e definitiva chi siamo noi e chi sono gli altri.
La domanda che ci dovremmo fare è: cosa ci dice l’etichetta che una persona x attribuisce ad un’altra persona y, del modo in cui y vede il mondo?
La concezione di etichetta nel tempo è cambiata: oggi le etichette servono anche per auto definirsi e per trovare una sorta di collocazione, nell’ordine del mondo, a nuovi oggetti/ideologie/pensieri/orientamenti ecc.. come se fossero mezzo di libertà per chi le utilizza per autodefinirsi.
Ciò che rimane invariato, però, è che nel linguaggio comune tendiamo a mescolare queste due tipologie di etichette – quelle date da altri, e quindi quasi sempre semplicistiche o fuorvianti, e quelle date a se stessi e quindi che effettivamente ci rispecchiano – e leggerle sotto la stessa lente interpretativa: una lente semplicistica, riduttiva e superficiale che non tiene quasi mai di conto dell’effettiva veridicità o della volontà della persona interessata, del fatto che chiunque è moltitudine e muta nel tempo, e per questo è sbagliato a priori pensare di poter associare a qualcuno un’etichetta definitiva e immutabile.
Il rischio è dunque quello di racchiudere un concetto vario e sfumato all’interno di una categoria semplicistica e svalutante, e di farlo in modo da definire una persona in maniera irreversibile.
Le etichette sociali possono nascere come semplice mezzo di comprensione della realtà o come mezzo di liberazione e rivelarsi gabbie dalle quali risulta difficile liberarsi.
Alcune letture interessanti:
- https://escholarship.org/content/qt0fz718rc/qt0fz718rc_noSplash_bb252a84afccb72e52157f737157a64c.pdf?t=pfo48e
- https://www.nationalgeographic.com/magazine/article/beauty-today-celebrates-all-social-media-plays-a-role-feature
- A Handbook of Intercultural Communication J. Brick; Sydney, NCELT&R

Eva: Studentessa di comunicazione, scrive di qualsiasi cosa per alleggerire chi le sta intorno dalle sue divagazioni e i suoi dilemmi, anche se spesso non basta. Cucina per rilassarsi e fotografa per non dimenticarsi di niente.
Irene: Studentessa di discipline dello spettacolo e della comunicazione, amante del letto, delle vestaglie in pile, dei gatti e delle tisane. Sempre pronta a far polemica per esporre la propria idea su come dovrebbe girare il mondo. Si ciba di cinema, arte, libri, musica e tanto altro, ma chissà perché finisce sempre per avere ancora fame.
