Videoarte femminista: la voce postmediale delle donne

Grazie ai social ormai i video fanno parte della nostra quotidianità, e sono uno dei mezzi di trasmissione di informazioni maggiormente utilizzati. In questo articolo di RumorEco, però, cercheremo di comprendere in che modo il video viene impiegato per le produzioni artistiche e quale apporto conferisce la videoarte al femminismo. Ecco di cosa parleremo:


Le origini della videoarte

La nascita del video come nuovo mezzo segna l’ampliamento delle possibilità comunicative degli esseri umani. È così che, partendo dal cinema e fino ad arrivare alla televisione, prima degli anni Sessanta si stava coltivando l’immagine in movimento che ha permesso poi la nascita della videoarte. Convenzionalmente l’utilizzo artistico di questo nuovo mezzo viene fatto risalire al 1963, quando i precursori Nam June Paik e Wolf Vostell aprirono al pubblico la prima mostra in cui dei televisori divennero parte integrante delle installazioni esposte.

Nam June Paik
Il videoartista Nam June Paik (credits: Frammenti Rivista)

Anche in questo caso i padri fondatori della nuova forma di espressione artistica sembrano essere, appunto, di genere maschile. Probabilmente per mancanza di accessibilità ai mezzi e alle conoscenze necessarie, le donne dovranno aspettare ancora qualche anno per intraprendere un percorso nel mondo della videoarte.

Videoarte “ripartorita”: Martha Rosler

Le prime donne non si fanno attendere troppo però: nei tardi anni Sessanta l’artista e intellettuale Martha Rosler irrompe cavalcando l’onda dei nascenti movimenti femministi, che divengono il terreno ideale per coltivare la sua arte. Da vera pioniera, l’artista abbraccia il divenire della postmedialità, rifiutando di utilizzare un unico canale per la trasmissione della propria arte. Oltre all’unità stilistica, Rosler rifiuta l’omogeneità di pensiero sociale, ed impiega il proprio corpo nelle produzioni per dar voce a diversi malesseri esistenziali femminili.

Rosler è un esempio di controcultura che “ripartorisce” la videoarte in un contesto di lotta femminista, dimostrandosi lungimirante nel comprendere come fosse proprio il corpo, protagonista dei suoi video, a costituire il campo su cui vengono dettate le imposizioni patriarcali.

‘Semiotics of the Kitchen’ è la produzione artistica che meglio esprime il messaggio che l’artista vuole incarnare. Si tratta di un video parodico in cui gli utensili da cucina sono i protagonisti. Rosler identifica in ordine alfabetico tutti gli oggetti, e in seguito mostra, uno per volta, delle modalità in cui essi possono essere impiegati. Queste modalità non sono effettivamente funzionali, e spesso sono costituite da gesti di rabbia e violenza, proprio per risemantizzare gli oggetti convenzionalmente associati al lavoro della donna in cucina. Quando impugna il coltello, per esempio, non lo utilizza per affettare degli alimenti, ma pugnala l’aria simulando le gesta di un assassino. L’artista, dunque, si allontana dalla figura della casalinga e si ridetermina come una donna socialmente provocatoria, anche attraverso degli atteggiamenti aggressivi.

Il corpo libero di Pipilotti Rist

Sicuramente una degna erede di Rosler è Pipilotti Rist, l’artista svizzera che debutta nel 1986 con il video ‘I’m Not the Girl Who Misses Much’. Si tratta di una realizzazione in cui Rist si mostra parzialmente nuda, mentre balla e canta ripetutamente la frase del titolo, tratta da una canzone dei Beatles. Il video, prodotto dieci anni dopo ‘Semiotic of the Kitchen’, non mostra più una donna asfissiata dal pensiero patriarcale, in cerca di una liberazione; al contrario mostra l’immagine di una donna già libera e senza limiti. La figura presentata è scomoda e a tratti fastidiosa, in quanto si oppone diametralmente all’estetica veicolata dalla narrazione televisiva del tempo, in cui le ragazze protagoniste dei primi video musicali erano sempre più succinte ed ammiccanti. L’immagine anti-televisiva è il fulcro delle opere di Pipilotti Rist, che grazie alla sua videoarte diviene un’artivista tuttora influente sulle produzioni culturali contemporanee.

L’obiettivo del lavoro di Rist è sempre stato quello di mostrare il corpo della donna come indipendente e svincolato da confini di genere. Questo carattere lo possiamo notare in video come ‘Pickelporno’ o ‘Homo sapiens sapiens’. Il primo muove una critica nei confronti della crescente offerta pornografica, presentando un femminile che è agente attivo della sua stessa sessualità. ‘Homo sapiens sapiens’, invece, è il progetto della videoartista per la Biennale di Venezia del 2005. Quest’opera prende vita nella Chiesa di San Stae, dove proiezioni astratte ed ipnotioche dalla carica erotica, inducono gli spettatori ad osservare dei corpi femminili completamente nudi e indeterminati.


Fabio Cominelli

Autore: Fabio Cominelli

Abbandonando i poster di Mina e Raffella Carrà appesi nella cameretta a Bergamo, la città d’origine, Fabio si reca a Pisa per studiare. Qui, unendo la propria passione per la cultura popolare, e l’ardente necessità di dare una voce ai più inascoltati, grazie a RadioEco dà vita alla rubrica “RumorEco!”.

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