Se la chitarra di Vasco suona a Ponsacco. Burns, Valdemarin, Malaman, Muscovi – 28/01/2023

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Stef Burns, Paolo Muscovi, Fabio Valdemarin e Federico Malaman suonano all’auditorium Don Meliani di Ponsacco.

A volte eventi dal gusto internazionale capitano proprio sotto casa tua. Così è stato per la serata che ha visto Stef Burns esibirsi all’auditorium Don Meliani di Ponsacco. Il celeberrimo chitarrista californiano, conosciuto in Italia per la sua lunghissima collaborazione con Vasco Rossi e nel mondo come un nome fra i più grandi del rock, ha suonato con tre musicisti d’eccezione: Paolo Muscovi, Fabio Valdemarin e Federico Malaman

Un sabato sera, un palcoscenico illuminato, strumenti, amplificatori e la partecipazione del pubblico. Ecco quanto basta per fare della grande musica, e l’abito non fa mai il monaco quando si parla di vero talento. 


Apertura 

Aprono il concerto alcuni insegnanti dell’associazione Artwork Village, organizzatrice dell’evento. Già dalle prime note si assesta il livello della serata: sarà molto alto. La chitarra di Alessandro Colombini fronteggia di frequente il basso di Alessandro Buonamini, mentre Riccardo Cateni alla batteria sostiene l’insieme. 

Siccome si parla di insegnanti non è fuori luogo credere che abbiano dato una lezione sul come scaldare la sala. I tre brani d’apertura introducono alcuni ingredienti della serata: tempi composti, tapping, bending per la chitarra mentre ogni strumento gode il suo tempo al centro dell’azione. D’altronde chi ben comincia è a metà dell’opera.

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Alessandro Colombini, Riccardo Cateni e Alessandro Buonamini aprono la serata.

I’m a poet and I didn’t know it

Torna il silenzio, ma solo per il tempo necessario a cambiare gli strumenti.

Sale Andrea Valeri, chitarrista di successo ed organizzatore dell’evento, ad annunciare i nomi che riempiranno il palcoscenico vuoto. Li abbiamo già letti su ogni volantino. In ordine: Paolo Muscovi siede alla batteria, Fabio Valdemarin occupa il set-up di tastiere, Federico Malaman imbraccia il basso elettrico. Ecco infine Stef Burns, vera leggenda della serata, con la sua fedelissima Fender color Vintage white al fianco ed un ghigno da veterano del rock.

Subito riempiono l’auditorium le sonorità serene di Little shoes. La Fender Stratocaster canta con voce piena e temperamentosa, capace di penetrare come una freccia l’atmosfera sospesa del brano firmato Mike Stern. La padronanza di Burns della chitarra conferisce sempre qualcosa di irresistibilmente fusion a pezzi di altro carattere, come ampliandone il respiro.

Su Minuano Burns cambia chitarra, passando ad una Gibson rossa. La voce squilla classica, quasi di violoncello. Echi e campanelli commentano di frequente la conversazione tra chitarra e sintetizzatore, mentre Muscovi non perde un battito dei sei ottavi prescritti dal Pat Metheny Group già nel titolo della canzone. Un assolo di tastiere si distingue nell’ipnotismo.

Mentre Stef saluta il pubblico e Malaman ricapitola i titoli appena eseguiti, l’antifona è ben chiara. Presentandosi in italiano fa accidentalmente una rima. In inglese, commenta lui, si dice: “I’m a poet and I didn’t know it”. Perché non dirlo anche di stasera? Forse perché questi musicisti hanno consapevolezza del proprio talento poetico e compongono versi con le mani.

Singhiozzi, colpi di batteria e luci annunciano Mr. Fonebone, forse nello stile di Jaco Pastorius più che Bob Mintzer. Burns finge di zoppicare sul ritmo sghembo mentre Malaman balla col basso come abbracciato ad una donna. E con cosa descrivere la batteria di Muscovi, se non come la più melodiosa delle mitragliatrici? I suoi schioppi non hanno pietà.

I have face pain”: mi fa male la faccia perché non riesco a non sorridere, esulta Stef. L’estasi del chitarrista ed  il completo coinvolgimento di tutti, strumentisti e pubblico, è visibile. La compartecipazione dimostra quanto di viscerale si propugna nella musica libera, solo lateralmente costretta dalla partitura – musica che si fa solo suonando.

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L’auditorium cambia colore sotto ai riflettori cangianti.

Canta che ti passa, Burns

Tornando nel repertorio del Pat Metheny Group, Cross the heartland distende un tappeto di sintetizzatori sotto al passo gioviale del basso e a quello fluido della chitarra, che torna ad essere la fedelissima Fender Stratocaster di Burns. Il gruppo si muove in una dimensione senza alcuno sforzo.

Prima incursione nel repertorio autografo di Stef Burns – in collaborazione col tastierista Valdemarin – con Shine dall’album World Universe Infinity. Il pezzo, il cui tema ricorda il secondo movimento della Patetica di Beethoven, ma anche The Great Gig in the Sky dei Pink Floyd per la progressione al piano, si presenta come un’onda dolce percorsa dai vocalizzi della chitarra.

Un tributo al grande e recentemente scomparso Jeff Beck include Hammerhead e Never alone. Lo strumming raschiato dell’apertura si apre in un tema dall’umore brillante. Il ritmo corre serrato, forte, scandito, sostenuto: non rallenta mai, come non scema l’entusiasmo della band. Un coro femminile del sintetizzatore fa da fil rouge con Never alone, che trova in apertura una batteria frizzante, vicina quasi ad un suono di maracas.

Per quanto riguarda la chitarra, sembra che lo strumento a tratti si imbizzarrisca e Burns riesca ad imbrigliarla di nuovo solo per un pelo.

Tornando al repertorio Burns/Valdemarin, Us propone una linea abbastanza classica che si gonfia ed esplode prima di tornare al tema originale. Anche in questo caso le sonorità del pianoforte e della chitarra la fanno da padrona. 

Una batteria frenetica con un suono di fruste corre sulle rotaie di Last train home – Pat Metheny Group, ancora – e il suo tema semplice ma incisivo chiude una nuova sezione del concerto.

Stef si comporta sul palcoscenico come a casa sua, del tutto a proprio agio. Ha tossito più di una volta e Valdemarin lo fa notare. Scherzosamente osserva che è in forma smagliante per cantare. “Canta che ti passa” diventa il motto adatto ad introdurre Alligator pie, primo brano suonato e cantato da Burns, dalla struttura classica. Uno start e stop scandito in tre passi introduce vari momenti di raddoppio tra chitarra e basso. Malaman prende il testimone dall’assolo con riff e lick di Valdemarin, slappando come un matto per la vetta della sua serata.

Segue il blues galoppato di Couldn’t stand the weather di Stevie Ray Vaughan e Don’t give it up. Come bis, dopo applausi scroscianti e grida che già avevano costellato la serata, una Revelation. La cavalcata dal sound americano chiude con scoppiettante allegria la serata, senza perdere un grammo della carica che ha percorso ogni brano.

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Da sinistra: Fabio Valdemarin, Stef Burns, Federico Malaman e Paolo Muscovi (davanti in verde) con gli organizzatori dell’evento (Artwork Village).

Il prossimo appuntamento musicale dell’Auditorium Meliani si terrà il 5 marzo con il Lari Basilio trio, special guest Andrea Valeri.


Autore: Lucrezia Ignone

Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog personale e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. Sono una nuova aggiunta a Radio Eco dove mi occuperò principalmente di musica e del Teatro Verdi di Pisa.

Mi trovi su @ffffoco. Per contatti: [email protected]

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