Non c’è incidente di percorso che possa minacciare l’esito di un’opera ben allestita e ben interpretata. Dalla Manon Lescaut di domenica 15 gennaio al Teatro Verdi, però, si ergono su tutti due vincitori: la direzione ispirata di Marco Guidarini e il fascino puro dell’opera pucciniana.

Credits: FB – Fondazione Teatro Verdi di Pisa
Al tempo di Puccini e di Manon
Da sempre, un profumo affascinante ammanta le storie che prendono vita in un tempo lontano dal nostro. A stimolare la fantasia dello spettatore contribuisce in tal caso non soltanto l’intreccio della trama, ma anche le suggestioni proprie dell’età in cui questa è narrata: si tratta di epoche spesso romanticizzate, rivisitate in virtù dei loro caratteri più spiccati o dell’arte che hanno prodotto.

Credits: FB – Fondazione Teatro Verdi di Pisa
Il nuovo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca — prodotto in collaborazione con Modena, Rimini, Ravenna, Pisa, Ferrara — sceglie di non sottrarre a Manon Lescaut il fascino dell’anacronismo. Originariamente ambientata nel primo Settecento, la vicenda di Manon diventa oggi coeva di Puccini. Gli abiti indossati da donne e uomini mentre Manon Lescaut debuttava nei teatri vestono i personaggi dell’opera, fantasmi di una generica belle époque. La scelta di un Ottocento che volge al termine ci immerge in un passato più vicino rispetto all’epoca di Prévost, ma abbastanza lontano da non offrire sovrapposizioni col presente, almeno laddove queste non vengano esplicitamente ricercate.
Due sono i metaforici salti temporali: il primo è quasi obbligato mentre l’altro funge da denuncia.
Il secondo atto dell’opera è tutto ambientato nella casa del creso Geronte, dove Manon si imbelletta, acconcia i capelli e veste di trine. Amputare il rituale del neo dal libretto significherebbe sconvolgere l’atmosfera della scena: non si può. Così il Settecento rimane, ma assume un altro peso. Geronte e Manon stanno preparandosi per una festa in maschera. Gioca allora tanto più a favore della drammaturgia scenica il contrasto tra la sobrietà d’abito edoardiana di Des Grieux e Geronte, in costume da canuto Re Sole, ormai fuori posto e fuori tempo.
Lo squallore di un porto dal quale imbarcano esiliate e ladri non appartiene ad un’epoca in particolare. Le Havre, grigia ed opprimente, offre la scena per un’allusione ai nostri tempi: alle donne arrestate viene tagliata una ciocca di capelli e le giovani coprono progressivamente la testa con il velo. La suggestione relativa ai crimini perpetrati tuttora in Iran contro le donne non è forzata. Pur soltanto un omaggio, questa accortezza sottolinea un grande attributo della tragedia: l’atemporalità.
Reminiscente di Tosca come del rapporto tra le epoche permeante l’intera produzione è il finale del secondo atto. Manon, accerchiata, per sfuggire all’arresto scala una nicchia nella parete del palazzo: il sipario si chiude sulla ragazza abbracciata al collo di una Venere in pietra.
Regia e scene
Sulla scena campeggia per tutta l’opera un unico elemento plastico, scelta dettagliata nel programma di sala dal regista Aldo Tarabella e dallo scenografo Giuliano Spinelli.

Credits: Irene Molinari – Mezzosoprano
La struttura cambia posizione per ogni atto e così significato. Nel primo atto è un monumento frammentato ed accasciato sullo sfondo, come una rovina romana sul territorio francese. Nel secondo diventa la parete del palazzo di Geronte: una sovrapposizione permette agli attori di passarvi attraverso come per una porta. Nel terzo la finestra di pietra, chiusa di grate, è il fianco della prigione al molo dietro la quale Manon langue. Infine nel quarto atto, introdotto da un cambio scenografico a scena aperta che lo unisce al terzo, la schiena del palazzo diventa una falesia arida e rossa nel deserto di New Orleans. La scelta di un unico elemento preponderante sugli altri e complementato di volta in volta dagli attributi della scena — poltroncine, separè e specchi nella dimora di Geronte, balle e bauli al molo di Le Havre — conferisce continuità all’azione scenica e ai quattro luoghi dove si finge. La regia è attenta ai dettagli: si nota negli scherzi muti di Edmondo, il can can degli studenti al primo atto e soprattutto nel delizioso quadretto bucolico Sulla vetta tu del monte, dove i musici cantano dietro alle onde di un mare di stoffa mosso dai servi.
I costumi di Rosanna Monti vertono su colori pastello per le scene di festa, trionfando d’oro per le ambientazioni rococò e toni muti negli atti più lugubri. L’effetto risulta classico ed elegante. Le luci curate da Marco Minghetti, generalmente neutre, commentano la scena con punte di riflettore. Altrettanto eleganti e misurate si uniscono all’insieme le coreografie di Luigia Frattaroli. Accenti di danza commentano la festa ad Amiens, la lezione di ballo e persino il deserto americano, seppure ridotti a sussulti in extremis.
Interpreti, direzione, coro e orchestra
L’opera si apre con l’annuncio di una voce fuori campo. A causa di un evento indipendente dalla direzione del teatro – forse un guasto all’impianto antincendio – la recita in programma per venerdì 13 sera è stata spostata al giorno dopo. Interpreti e musicisti hanno dunque dovuto ripetere l’opera giocoforza a poche ore di distanza, dal sabato sera alla domenica pomeriggio, senza il giorno di riposo preventivato da cartellone. Fortunatamente l’opera non viene compromessa e procede senza intoppi, volando dritta verso il successo.
Marcello Rosiello mette in scena un Lescaut persuasivo ed offre la voce più consistente del cast, nonché un bel timbro pastoso e sicuro. Molto ben caratterizzati i Geronte ed Edmondo rispettivamente di Alberto Mastromarino e Saverio Pugliese, quest’ultimo dimostra grande complicità con Des Grieux.
Esecuzione in crescendo per Des Grieux, al secolo Paolo Lardizzone. Lardizzone si dimostra omogeneo e solido nel registro medio, ma convincente soprattutto nei momenti di massima drammaticità. In queste parentesi dà il meglio di sé, forte di una recitazione misurata, come sul sensibile finale del quarto atto. Applauso a scena aperta su Donna non vidi mai.
Prova in crescendo anche per Alessandra di Giorgio nei panni dell’eroina. La sua Manon è tutt’altro che una figura statica e più di ogni altro personaggio evolve durante l’azione scenica, sulla scia della passione crescente. Si dimostra molto libera negli acuti e precisa nei pianissimi. Colpisce una recitazione gustosa, dettagliata, che contribuisce a rendere il momento della ricongiunzione tra Manon e Des Grieux un picco assoluto del dramma. Applauso a scena aperta anche per lei: delicata l’interpretazione di In queste trine morbide e Sola, perduta, abbandonata.
Impegnato in due ruoli — oste e Sergente degli Arcieri — la bellissima voce di Marco Innamorati. Due ruoli anche per Cristiano Olivieri nei panni del maestro di ballo e del lampionaio, mentre a Alessandro Ceccarini va il Comandante di Marina. Deliziosa Irene Molinari nelle vesti del musico.
Grande, anzi grandissima la direzione di Marco Guidarini. Il respiro della partitura pucciniana entra nell’orchestra giovanile Luigi Cherubini come nel coro Archè e viene guidato dalla sapientissima mano di Guidarini. L’effetto? Quello di una vela che si gonfia verso il mare aperto. La cura riposta nel tessuto armonico e l’ispirazione del fraseggio orchestrale collimano in un’interpretazione piena di dettagli, curata fino al più minuscolo accento. I tempi nella scena della ricongiunzione e della fuga ancor prima del preludio al terzo atto consacrano la grandezza di questa conduzione: a quest’ultimo segue un sentito applauso, ribadito tanto più vivacemente durante i ringraziamenti finali.

Credits: aldotarabella.it
MANON LESCAUT
Dramma lirico in quattro atti su libretto di autore anonimo
(cui collaborarono Giuseppe Giacosa, Luigi Illica, Ruggero Leoncavallo,
Domenico Oliva, Marco Praga, Giacomo Puccini, Giulio Ricordi),
dal romanzo Histoire du Chevalier Des Grieux et de Manon Lescaut
di François-Antoine Prévost
Musica di GIACOMO PUCCINI
Editore Casa Ricordi, Milano
Direttore: Marco Guidarini
Regia: Aldo Tarabella
Scene: Giuliano Spinelli
Luci: Marco Minghetti
Costumi: Rosanna Monti
Coreografie: Luigia Frattaroli
Maestro del Coro: Marco Bargagna
Personaggi e interpreti
Manon Lescaut: Alessandra Di Giorgio
Lescaut: Marcello Rosiello
Renato Des Grieux: Paolo Lardizzone
Geronte di Ravoir: Alberto Mastromarino
Edmondo: Saverio Pugliese
L’oste, il Sergente degli Arcieri: Marco Innamorati
Il maestro di ballo, il lampionaio: Cristiano Olivieri
Un musico: Irene Molinari
Il comandante di Marina: Alessandro Ceccarini
Un parrucchiere: Greta Battistin, Giulia Petrucciani
Orchestra Giovanile Luigi Cherubini
Coro Archè
Corpo di ballo: Greta Battistin, Viola Caracuzzo, Alessia Carbone, Giulia Mostacchi, Giulia Petrucciani
Figuranti: Daniele Corsetti, Federico Diddi, Michele Franceschi, Massimo Risi
Nuovo allestimento del Teatro del Giglio di Lucca
Coproduzione Teatro del Giglio di Lucca, Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena,
Teatro A. Galli di Rimini, Teatro Alighieri di Ravenna, Teatro Verdi di Pisa, Teatro Comunale di Ferrara

Autore: Lucrezia Ignone
Classe 2002. Studio Fisica all’UniPi ed Opera lirica fuori, oltre a coltivare mille interessi diversi. Curo un blog personale e sono coinvolta in più associazioni nazionali. La mia parola preferita è: polymathes. Sono una nuova aggiunta a Radio Eco dove mi occuperò principalmente di Opera e della stagione lirica al Teatro Verdi di Pisa.
Mi trovi su @ffffoco. Per contatti: [email protected]