Il fenomeno del blackface in Rai

In questo appuntamento con RumorEco parleremo del fenomeno del blackface: cosa è? Perché la Rai è stata coinvolta in una polemica che riguarda il tema che ha fatto tanto discutere? Scopriamolo:

Tale e Quale?

È il 20 novembre 2020 quando su Rai1, durante la messa in onda di un episodio della decima edizione del programma televisivo Tale e Quale Show, si verifica una sorta di spartiacque nella storia della rappresentazione della comunità nera sugli schermi della televisione italiana.

Il programma, trasmesso in prima serata dal 2012, vede come protagonisti dei personaggi celebri del panorama dello spettacolo italiano. L’obiettivo di questi ultimi all’interno dello show è quello di interpretare nella maniera più verosimile possibile delle stelle della musica, nazionale e internazionale, sottoponendo la loro performance alla valutazione di una giuria.

L’episodio del 20 novembre, però, è divenuto tristemente famoso per l’esibizione di Sergio Muniz, che ha messo in atto un’imitazione del rapper Ghali considerabile ai limiti della caricatura. L’attore, infatti, mentre si esibisce con la hit del rapper milanese, Good Times, provoca uno scandalo mediatico facendo ricorso al cosiddetto blackface.

Blackface: una storia di volti dipinti

Il blackface è una pratica che entra in uso nel corso dell’Ottocento principalmente in ambito teatrale. Consisteva nell’applicazione di pittura nera sul volto degli attori bianchi per renderli aderenti ad un’immagine standardizzata di persona afroamericana. La necessità di dipingere di nero il volto di questi attori ha in realtà una matrice razzista: le persone nere che avevano accesso ai palcoscenici teatrali erano ben poche, e dunque la loro rappresentazione, stilizzata e spesso fortemente parodizzata, era affidata esclusivamente ad attori caucasici.

Il calco dei personaggi neri che veniva inscenato sfociava spesso nella messa in scena di una serie di atteggiamenti violenti e grotteschi col fine di schernire e mettere in cattiva luce agli occhi degli spettatori la cultura afroamericana.

L’utilizzo del blackface, però, non si conclude nell’Ottocento, ma si ripresenterà anzi innumerevoli volte nell’avvicendarsi delle produzioni culturali americane ed europee. Nascita di una nazione di Griffith è considerato il film emblema che meglio pone l’accento sul valore storico del blackface. Il film, realizzato nel 1915, infatti, esemplifica perfettamente la retorica razzista che si cela dietro alle scelte effettuate in questo genere di produzioni culturali: Griffith per la creazione del film si ispirò al romanzo di Thomas Dixon Jr, The Clansman, che glorifica apertamente il Ku Klux Klan come difensore del sud contro la violenza anarchica degli afroamericani. Inoltre per l’interpretazione dei personaggi neri il regista selezionò appositamente degli attori bianchi, facendoli recitare con la faccia pitturata di nero in delle agghiaccianti scene costellate da stupri e violenze nei confronti della popolazione americana bianca.

Il blackface, dunque, non consiste semplicemente nel dipingere i volti di persone bianche, ma rappresenta simbolicamente l’imbrattamento della dignità di un’intera cultura, che storicamente è stata costretta a subire questa umiliazione a causa della mancata possibilità di autorappresentazione nell’industria culturale.

blackface
Blackface in Nascita di una nazione (credits: BBC)

Parli chi può

Per anni la Rai ha usufruito di questo strumento offensivo nei propri programmi. Il caso dell’attore Muniz, infatti, non è il primo a verificarsi nella storia del canale televisivo, e tantomeno all’interno dello stesso programma Tale e Quale. Da Beyoncé a Whitney Houston, la lista di cantanti che sono stati reinterpretati facendo ricorso alla pittura nera è lunga.

Questa volta, però, il rapper vittima dell’accaduto non rimane in silenzio, ed esordisce così sui social: “Il blackface è condannato ovunque specie in un anno come questo, in cui gli avvenimenti e le proteste sono stati alla portata di tutti”. Asserisce Ghali facendo riferimento alle recenti proteste del movimento Black Lives Matter negli Stati Uniti a seguito dalla morte dell’afroamericano George Floyd.

black lives matter
Immagine tratta delle proteste che hanno seguito la morte di George Floyd (credits: Radio Onda d’Urto)

L’artista continua:

“La storia del blackface va ben oltre un semplice make-up, trucco o travestimento. Serviva a spaventare i bambini. Erano attori bianchi che si travestivano da persone di colore e compivano atti osceni. Tipo stupravano, violentavano, uccidevano. Tutto il mondo lo condanna, non lo fa più nessuno e in questo programma continuano a farlo nonostante la comunità nera abbia più volte chiesto di non farlo“.

Prima di Ghali già diverse associazioni avevano notato come la pratica fosse ancora tristemente in voga tra le trasmissioni Rai. Lunaria, Italiani senza cittadinanza, Arci, Cospe e Razzismo Brutta Storia, nel gennaio dello stesso anno avevano ammonito i dirigenti della radiotelevisione italiana e Carlo Conti, conduttore di Tale e Quale Show, esortandoli a porre fine all’utilizzo di una pratica offensiva come il blackface.

“Che nessuno si offenda per il whiteface”

Nell’aprile del 2021 finalmente, a seguito dei vari appelli, arriva una risposta dal servizio pubblico. Il direttore di Rai 1, Stefano Coletta, e il direttore di Rai per il Sociale, Giovanni Parapini, scrivono alle associazioni dichiarando di impegnarsi a evitare che il blackface non compaia più sugli schermi Rai.

Il messaggio sembra dunque essere recepito, se non fosse che nell’edizione successiva del programma, la polemica sul blackface si ripresenta. Questa volta però l’oggetto della polemica sono state alcune dichiarazioni del presentatore Carlo Conti a seguito dell’esibizione di Samira Lui. La modella infatti, per interpretare la cantante Gaia, è stata schiarita dalla testa ai piedi dalle truccatrici.

Al termine della sua performance il conduttore prende parola: “Visto che Samira è di colore e ha interpretato una cantante bianca, spero che nessuno si offenda per il whiteface”. L’ironia qui è chiara: nessuno può offendersi per una faccia “sbiancata”, in quanto i bianchi non hanno mai avuto problemi nell’essere rappresentati. Il loro colore della pelle, nella concezione colonialista che ha lasciato un infelice retaggio ancora persistente nella civiltà occidentale, è sempre stato simbolo di privilegi e superiorità razziale.

La pungente allusione di Conti sembra quindi lasciar intendere che i nuovi provvedimenti presi dai vertici Rai non siano stati accolti calorosamente dai suoi dipendenti. Allora la domanda resta: perché non siamo in grado di vedere un po’ oltre i nostri privilegi?


Fabio Cominelli

Autore: Fabio Cominelli

Abbandonando i poster di Mina e Raffella Carrà appesi nella cameretta a Bergamo, la città d’origine, Fabio si reca a Pisa per studiare. Qui, unendo la propria passione per la cultura popolare, e l’ardente necessità di dare una voce ai più inascoltati, grazie a RadioEco dà vita alla rubrica “RumorEco!”.

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