RADIOFEMM – LO SCHWA: COME E PERCHÉ UTILIZZARLO

Ciao a tuttǝ e bentornatǝ a RadioFemm! Questo lunedì parleremo di linguaggio, parole e, in particolare, di schwa.

Che cos’è lo schwa?

Vera Gheno, sociolinguista e ricercatrice all’Università di Firenze, è una delle più importanti sostenitrici dello schwa nella lingua italiana. Gheno, attraverso i suoi studi e ricerche, fa emergere la necessità di non scindere i fatti linguistici dai fatti sociali, in quanto ciò porterebbe a una visione solo parziale del quadro che si ha di fronte. Per questo motivo Gheno parla di sociolinguistica, ossia pone al centro del discorso coloro che troppo spesso vengono estromesse: le persone. Lo schwa viene da lei presentato non come la soluzione definitiva a un problema, quanto piuttosto il segnale di un’esigenza per la quale, al momento, non è stata pensata una risposta più sostenibile di questa.

Vera Gheno
Credits: Università Cattolica

Lo schwa o scevà indica una e ruotata di 180°, ossia ə, un simbolo appartenente all’IPA, International Phonetic Alphabet Alfabeto Fonetico Internazionale, un alfabeto “di lavoro” usato in ambito linguistico per descrivere i suoni linguistici delle lingue del mondo. Come spiega Gheno in un articolo per la Treccani, «lo schwa indica una vocale media-centrale, che si situa al centro del quadrilatero vocalico: se, dunque, per pronunciare le altre vocali occorre “deformare la bocca” (pensiamo ad a-e-i-o-u), per pronunciare lo schwa la bocca va tenuta in posizione rilassata, semiaperta. È il suono iniziale dell’inglese about, come pure quello finale del napoletano jamm».

Recentemente l’utilizzo nello scritto dello schwa ha iniziato a diffondersi nel linguaggio di alcune comunità di parlanti per cercare di superare quello che è stato da loro concepito come un limite espressivo della lingua italiana, ossia il fatto che quest’ultima prevede necessariamente l’esplicitazione del genere di una persona o di un gruppo di persone. L’italiano, nonostante chi recentemente lo ha definito come la lingua “più ricca e completa”, è intessuta di un forte binarismo di genere. L’italiano così come è oggi ha infatti nel tempo perso il neutro, invece presente nel latino in riferimento a concetti astratti e oggetti. E «sebbene più fonti colleghino tradizionalmente il genere grammaticale al sesso biologico, ritengo che, quando si parla di persone, sarebbe ancora più preciso dire che il genere grammaticale viene scelto in base al genere percepito di una determinata persona» [ibid.].

Sesso, genere, orientamento sessuale

Prima di addentrarci nel significato e nell’importanza dell’utilizzo di questa modalità linguistica, è forse bene fare chiarezza su tre concetti fondamentali che si trovano alla radice della questione dello schwa. Per ogni essere umano è infatti possibile definire tre “categorie”: il sesso biologico assegnato alla nascita (solitamente maschile o femminile, con rari casi di individui intersex); l’identità di genere che attraverso fattori culturali e psicologici, all’incirca risponde alla domanda “come mi sento”: maschio, femmina, altro; infine, l’orientamento sessuale che invece risponde alla domanda “chi mi piace” e che rappresenta quella sfera dinamica della sessualità che racchiude eterosessualità, omosessualità, bisessualità, pansessualità, asessualità, ecc.

Credits: aTerranuova.it

L’apertura dell’identità verso altri orizzonti, forza pulsante dei nostri giorni che notoriamente trova resistenza in quasi tutte le istituzioni del nostro paese (e non solo), fa comprendere come il binarismo intrinseco nella nostra lingua non sia più sufficiente a descrivere il reale. E sempre seguendo la prospettiva della sociolinguista, la sanità di una comunità, di un paese o di una realtà, è riscontrabile nel suo linguaggio: se la lingua muta la società è sana; se la lingua è rigida, cristallizzata, la società è malata. Come scrive Gheno in Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole «è molto difficile per tutti accettare che una lingua non sia immutabile; eppure, proprio la capacità di adattarsi a descrivere la realtà in perenne movimento è segno del suo buono stato di salute. In altre parole, una lingua che cessa di mutare in base alle esigenze deǝ parlanti è una lingua avviata verso la sua estinzione» [Milano, Effequ, 2021].

Maschile sovraesteso vs schwa  

Esistono diversi studi che rilevano come l’uso del maschile sovraesteso sia tutt’altro che “naturale”, bensì è motivato da questioni storiche e culturali. Quello che oggi viene assunto come linguaggio, è, infatti, il retaggio di una lingua utilizzata solo da uomini che riflette una divisione radicale tra i sessi e racchiude in sé il predominio patriarcale da sempre esistito. Numerose sono anche le conseguenze a livello cognitivo che l’utilizzo del maschile sovraesteso comporta: lo studioso Pascal Gygax lo rileva da molti anni.

Attraverso la lingua, come scrive Gheno, «esprimiamo il nostro pensiero, la nostra essenza stessa di esseri umani, ciò che siamo e ciò che vogliamo essere. La lingua non è un accessorio dell’umanità, ma il suo centro» [Ibid.]. Lo schwa non va a sostituire o nascondere il femminile, ma semplicemente a evitare il maschile sovraesteso con tutte le conseguenze cognitive legate al suo uso. Il femminismo intersezionale non prevede, infatti, le due istanze di visibilizzazione (quella femminile e quella queer) come in contrasto, bensì in continuità.

Schwa
Credits: Pink Different

Infine, per quanto riguarda l’accusa a cui spesso viene sottoposto lo schwa, ossia la mancanza di sistematicità, propongo alcuni consigli per usarlo al meglio:

  • Gli articoli sono al singolare e ǝ al plurale: lǝ cuocǝ, ǝ cuocǝ;
  • Nei termini in -tore e -sore, lo schwa si attacca alla radice della parola: lettorǝ, studentǝ, sartǝ;
  • Il pronome di terza persona lui/lei diventa lǝi;
  • I termini ambigeneri possono diventare plurigeneri, mettendo lo schwa solo all’articolo: lǝ atleta, lǝ giudice, lǝ pediatra;
  • Per le proposizioni articolate, allǝ/dellǝ bambinǝ singolare, aǝ/dǝ bambinǝ plurale.

Buona sperimentazione!


Autrice: Carolina Santini

Ho ventitré anni e sono studentessa del corso magistrale in Filosofia e Forme del Sapere, per il quale mi sono trasferita all’inizio di quest’anno accademico a Pisa. Vengo, infatti, da un piccolo paesino delle Marche in provincia di Urbino. Ed è proprio all’Ateneo di Urbino che ho intrapreso il mio percorso universitario, laureandomi in Scienze Umanistiche, curriculum Filosofico. Da poco in terra toscana, ho quindi deciso di portare la mia passione per la scrittura e il mio fervido spirito femminista, qui a RadioEco.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *