Rumours bis!
Fra i corridoi di RadioEco si aggira sempre Rumours, una rubrichetta giovane e appassionata. Cammina sulle sue gambe ancora corte, ma ha una faccia da disco enorme (direi sicuramente un 33 giri) e ti consiglia un album al mese per ascoltare e divertirsi. Orecchio teso, voce bassa, passaparola et voilà un po’ di rumours.

Quanto tempo
Quasi dieci anni fa, camminando su strade parigine, non mi toglievo dalla testa la locandina che copriva le vie. Il film era Tom à la ferme e io non l’avrei mai visto per un sacco di tempo, un po’ perché in Italia sarebbe arrivato dopo, un po’ perché era introvabile. Uno fra i trailer, però, mio unico porto d’attracco, si apriva con le note di Sail. È così che conosco chi sono gli Awolnation, con qualche giro di valzer un po’ come alla fiera dell’est. Il brano invade qualsiasi cosa che sembri vagamente misteriosa ed estrema: il sound è un buco nero di scatti musicali che non si può sottrarre né al soundtrack del video di un paracadutista (che contribuisce a far diventare virale la canzone) né alla colonna sonora di una serie tv (né alle nostre paure più profonde).
Absent Without Leave
Nel video del celebre pezzo il cantante Aaron Bruno corre a nascondersi, qualcuno lo sta cercando (forse gli alieni) e, in quella che sembra un po’ la realtà e un po’ la parodia di un film sci-fi, alla fine non può sfuggire al suo destino. Che siano gli extraterrestri, che sia chiunque, come dargli torto? Chiunque vorrebbe rapire Bruno e studiare come possa coniugare tutte le sue voci. Un po’ Kurt Cobain e un po’ Michael Jackson, il figlio segreto dei due coltiva la musica degli inizi sulle basi grunge e punk di alcune piccole band e poi diventa grande iniziando a bere bevande energetiche.

Gli Awolnation nascono quando la Red Bull Records fa un’offerta che il cantante non può rifiutare: tanta libertà. La stessa libertà che probabilmente si prendeva quando il frontman era ragazzino, andandosene dalle feste senza salutare, almeno stando a quanto la leggenda vuole, e da qui viene anche il nome della band che ricorda il comportamento del cantante (utilizzando l’acronimo AWOL, espressione gergale che letteralmente è absent without leave).
Aaron Bruno ha creato il suo pianeta, la nazione di quelli che non salutano, una musica che ti prende e senza che tu te ne accorga se n’è già andata. Queste sono le tinte di Megalithic Symphony (2011), primo album della band che getta le basi per un’identità psichedelica (ascolto obbligato per il trittico Kill your heroes, Wake up, Not your Fault), quel mix extraterrestre fatto di piano e synth di cui Sail è portatrice, prima che tutto sfoci in Run.
Run
Quattro anni dopo l’esordio e sempre sotto la spinta energetica di Red Bull, prende vita Run. Il secondo disco firmato Awolnation è il compimento di un’evoluzione. Se Megalithic Symphony ha una follia che mantiene comunque una coerenza di sound e voce, Run si spinge oltre questa uniformità e diventa qualcosa di più coraggioso, dagli accenti marcati. Nasce un disco di convulsioni nel ritmo, un regno delle oscurità dove ogni traccia non segna un sentiero preciso, ma solo buche nel percorso che ti catapultano in posti sempre tetri e diversi.

Run, una fra le title track più incisive che io abbia mai ascoltato, sancisce il punto di non ritorno dell’ascoltatore che viene trasportato fuori dal mondo e inizia a correre su un sound pieno di spasmi, spaventato dall’anafora delle parole. I cambiamenti inaspettati e drastici dell’intero brano ricalcano la voce di Aaron Bruno che ti sta cercando per farti sapere che anche tu potresti essere a human being capable of doing terrible thing.
Non c’è solo l’elettronica, ci sono anche gli archi che assumono una forma spettrale e ti portano ad arrivare fino alla fine per capire se possa accadere ancora dell’altro. Questo qualcosa accade e Bruno conclude il brano con le prime note della canzone successiva, Fat Face, così che le due sembrino un tutt’uno. La ballata dolce e il demoniaco, il pop e il grunge che si incontrano all’estremo, i due lati della luna.
Hallow Moon è un esperimento molto più disteso, ma la voce di Aaron Bruno dà prova di un virtuosismo non da poco, alternando uno yelling più hardcore che trasuda metal e note più distese per un timbro più cremoso. È in questo brano e nel successivo, Jailbreak, che si fanno i conti col proprio mostro interiore, prigione di noi stessi ma anche qualcosa con cui dobbiamo convivere. Lo scioglimento di questo conflitto è senz’altro il brano I Am, ma senza prima essere passati per KOOKSEVERYWHERE!!! un po’ figlia di Burn It Dow del disco precedente, incalzante e nevrotica.
I am è il cuore di Run e Aaron Bruno svuota sé stesso, con poche parole. Ti racconto chi sono senza raccontarti chi sono perché dovresti accettarmi semplicemente così e il resto non serve.
Maybe all of these things
Made me who I am
And I am
Ad essere quiete dopo la tempesta per il disco sono due pezzi con la chitarra che qui diventa strumento comfy, un po’ ti coccola e un po’ ti prende in giro. Headrest of my soul non ha tranelli, cosa che invece non si può dire di Lie Love Lie Love in cui il bisogno di giocare con la trama del suono è irresistibile fino alla fine. Holy roller, ninna nanna languida e sacra, porta a compimento il trittico.
Dreamers e Windows ci riportano sul pianeta alieno in cui eravamo e la seconda, ponendo più domande che risposte, si rivela a mio parere il diamante del disco.
Ascoltare, però, significa anche vedere i videoclip e quelli targati Awolnation valgono almeno un’occhiata. Da recuperare il già citato Sail e quello di Kill your heroes presenti nell’album d’esordio, mentre per Run Hallow Moon e I am dove trova spazio la teatralità del frontman. Woman Woman, invece, canzone fra le più conosciute della band statunitense, ha il video più divertente: lip sync e strumenti che coprono ad arte corpi nudi.
Like people, like plastic e Drinking lighting chiudono il disco e regalano un’altra dicotomia: il primo ritorna al mood della title track come una dannata persecuzione; il secondo è una lunga nota romantica, forse la traccia più estesa dell’album (vuoi che anche qui non ci siano delle sorprese?).
Cover che passione
Dopo Run non dobbiamo attendere molto per nuova musica. Here come the runts (2018), Angel Miners & The Lightning Riders (2020) e My Echo, My Shadow, My Covers & Me (2022). Fra questi, l’ultimo album è senz’altro il più appetibile. Una collezione di cover riarrangiate in modo fantastico: dico Material Girl per andare sul sicuro e dico Alone Again per qualcosa di sofisticato e brillante.
Verso l’infinito e oltre
Mentre è in tour, Aaron Bruno fa uscire We are all Insane. Un pezzo che ha già l’aria di un Sail più fresco e preannuncia forse un nuovo disco? Noi speriamo di sì.

Autrice: Marika Zandanel
Ascolta un po’ di musica e le piace andare al cinema. Studentessa al corso di laurea magistrale di Filosofia e forme del sapere dell’Università di Pisa