Raffaella, un’icona che fa Rumore!

Il gioco del sesso di Raffaella

Raffaella Carrà
Raffaella Carrà e l’ombelico scoperto durante la sigla di Canzonissima 70 (credits: Wikipedia)

È il 10 ottobre del 1970 quando più di 24 milioni di italiani, alle 21 in punto, accendono il televisore sul canale Rai 1. Sullo schermo appare la scritta “Canzonissima 70”, e subito dopo, dei dischi rotanti si aprono lasciando spazio a una silhouette ben riconoscibile, coronata dall’immancabile caschetto biondo: è Raffaella Carrà!

La diva apre così l’ottava edizione di uno dei varietà più di successo di quel tempo, Canzonissima. Tra ballerini e ballerine Raffaella si esibisce in una coreografia, curata da lei stessa, nella sigla di apertura “Ma che musica maestro”.

Quello che incollò gli occhi degli italiani al televisore però non furono solo i movimenti scatenati della cantante, ma fu soprattutto un dettaglio che fino ad allora in televisione non era praticamente mai stato mostrato: l’ombelico. L’emergente soubrette, infatti, mostrava con orgoglio quello che lei stessa, da buona bolognese, definiva scherzosamente “ombelico a tortellino”. Quello che per Raffaella era uno scherzo però, finì per diventare un clamoroso scandalo, acuito nell’edizione successiva di Canzonissima dal numero musicale che fece insieme a Enzo Paolo Turchi, prima, e ad Alberto Sordi poi. Si trattava del “Tuca Tuca”, il celebre balletto che nel 1971 lasciò tutta l’Italia a bocca aperta.

Tutto questo per la cantante era un gioco, il gioco del sesso, di cui lei, a differenza dell’Italia degli anni Settanta, non aveva paura di parlare. Ma oltre ad essere un gioco era anche un potente grido, un grido di liberazione, fatto da una donna che ormai tutto il Bel Paese riconosceva come volto familiare, e che attraverso la televisione entrava nelle case di tutti con il suo sorriso.

Rumore: la voce delle donne

Rumore
Raffaella fotografata per la copertina di “Rumore” (credits: Popsoap)

Il messaggio di liberazione sessuale lanciato fu talmente rivoluzionario da rimanere impresso nella storia della televisione italiana, e non solo. Un messaggio che viene ribadito dalla diva in innumerevoli altre occasioni, a partire dal successo del 1974 “Rumore”.

“Rumore” è una delle canzoni di Raffaella che più rappresenta la sua indole rivoluzionaria. Il testo, scritto proprio nel cuore degli anni più simbolici per la lotta femminista, racconta della consapevolezza di una donna della sua forza e indipendenza, ma anche delle sue fragilità. Al brano negli anni sono state attribuite diverse interpretazioni, anche se è in realtà chiaro che la diva si riferisca alle difficoltà delle donne nell’emanciparsi, nel liberarsi dagli schemi patriarcali in cui la figura femminile veniva sempre costretta al ruolo di madre e casalinga.

Ciò che si evince da una breve analisi della carriera di Raffaella Carrà è chiaro: Raffaella è un’icona. Un’icona che vuole far sentire la sua voce, che vuole fare rumore! La sua voce però si fa carico di rappresentare sugli schermi anche quella di milioni di altre donne come lei, che in passato non erano state ascoltate abbastanza.

Scoprendo il suo ombelico è come se Raffaella volesse mostrarsi al pubblico “così come mamma l’ha fatta”, per quanto possibile nella Rai del 1970, facendo cadere davanti agli occhi di milioni di telespettatori i codici di decoro finora costruiti e veicolati dalla televisione italiana. Con questa dichiarazione la diva del Tuca Tuca, con impertinenza e fierezza, si mostra per come è.

È per questo motivo che Raffaella si fa portavoce non solo delle donne, ma anche di tutte quelle categorie di persone che fino a quel momento non avevano ancora scoperto cosa significasse avere l’audacia di essere sé stessi senza chiedere scusa.

Una rubrica per farsi sentire

Raffaella, dunque, in quanto show girl e rappresentante, per tutti i motivi citati, di minoranze che ancora ad oggi la riconoscono come icona della comunità LGBTQ+, sembra il perfetto simbolo esplicativo della nuova rubrica “RumorEco!” di RadioEco. La rubrica, infatti, si pone l’obiettivo di affrontare il problematico rapporto tra i media e quelle categorie che ancora oggi non hanno la possibilità di farsi sentire come vorrebbero, di fare rumore.

Discutere di questa spinosa relazione tra le minoranze e il sistema mediatico può essere uno spunto, per i lettori di questa nuova rubrica, nell’avventurarsi in un percorso di acquisizione di consapevolezza sull’importanza della rappresentazione e dell’autorappresentazione. Una consapevolezza che può aiutare a combattere quella che, ad oggi, è la visione dominante, che cerca di far tacere quelle voci che vengono pericolosamente interpretate come minacce all’omologazione sociale.

LGBTQ+
Raffaella: un’icona gay (credits: Vanitatis)

Il suddetto percorso verrà realizzato facendo viaggi temporali nella storia dei media, e per farlo siamo partiti proprio dall’ombelico, o meglio dal più famoso degli ombelichi di tutta la televisione


Fabio Cominelli

Autore: Fabio Cominelli

Abbandonando i poster di Mina e Raffella Carrà appesi nella cameretta a Bergamo, la città d’origine, Fabio si reca a Pisa per studiare. Qui, unendo la propria passione per la cultura popolare, e l’ardente necessità di dare una voce ai più inascoltati, grazie a RadioEco dà vita alla rubrica “RumorEco!”.

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