Blonde è il nuovo film del regista Andrew Dominik ispirato alla vita di Marylin Monroe, uscito su Netflix il 16 settembre di quest’anno. Un film che ha letteralmente spaccato a metà l’opinione del pubblico, rendendo l’ultima fatica del regista de L’assassinio di Jessie James, tra i più controversi del catalogo Netflix.
Di questo parleremo nell’articolo di oggi della rubrica CinefiLife di RadioEco.
Paragrafi che troverai nell’articolo:
Un biopic non convenzionale
Al regista e sceneggiatore Aron Sorkin piace spesso paragonare i propri film a dei dipinti e dunque a una rappresentazione artistica che non piega la storia ai fatti, ma solo al punto di vista di chi la racconta. Blonde, invece, non è né un dipinto né una fotografia, nonostante in alcuni fotogrammi sembra che le foto della rivista Life prendano vita, bensì è un puzzle, e per di più astratto, che tenta di raccontare il mondo interiore di Norma Jean Baker.
Che il film preferisca concentrarsi più sull’emotività che sui fatti è esplicito: Dominik cuce insieme diversi eventi della vita di Marilyn, a partire dalla sua infanzia violenta con una madre alcolizzata, per, poi, passare a una serie di incontri con uomini che erano apertamente violenti o moderatamente sfruttatori; giocando con un continuo passaggio al bianco e nero, a simboleggiare la doppia identità della sua protagonista, e cambi di formato che contribuiscono a generare nello spettatore una confusione crescente.
Lo scopo della visione è quello di sentirsi persi, così come le star di quel periodo, nello sporco mondo Hollywoodiano degli anni ’50.
Se per una pellicola la missione principale è sospendere l’incredulità, Blonde ci riesce e anche in maniera molto funzionale, poiché, a differenza di altri biopic, non punta a voler “accontentare” i fan del personaggio. Via da questa pellicola chiunque si aspetti fatti e situazioni in modo documentaristico, così come chi preferisce qualcosa di più romanzato. Perché Blonde sta perfettamente nel mezzo e allo stesso tempo completamente fuori da questi due canoni: è una storia diretta, ma che non fugge mai dal dramma, cadendo anche nella tragedia.
Il risultato è un film che rompe la tradizione dei biopic degli ultimi anni, da Bohemian Rahpsody a Elvis, e che, come aveva fatto anche il meraviglioso Spencer di Pablo Larraìn, costruisce un racconto surreale che non si concentra sulla vita nei fatti, ma sulla vita psicologica di un personaggio spezzato.
Norma Jean: vittima o martire?
Nella pretesa di lanciare in maniera prepotente un messaggio, il film è molto provocatorio, mettendo alla prova i limiti della resistenza psicologica dello spettatore, spinto ad assistere a quasi tre ore di danni ai sensi di una persona schiacciata dal mondo che la circonda.
Per questo sui social è inferocito il dibattito, tra chi ha visto nel film la cattura fedele di una realtà che non va giudicata con gli occhi di oggi e chi ha visto nel personaggio di Marylin la riduzione a solo vittima, ignorando gli altri aspetti che la caratterizzavano.
Tuttavia, il film non vuole essere un documentario, lo abbiamo già detto. E il libro da cui è tratto presupponeva proprio queste caratteristiche. Blonde non è la storia di Marylin ma di Norma Jeane che, come il Gregor Samsa di Kafka, diventa a tutti costi e forzatamente qualcuno che non è lei.
Sulle critiche ha particolarmente premuto l’acceleratore Manohla Dargis del New York Times, dichiarando di «esser sollevata che la Monroe non deve soffrire per le volgarità di Blonde , l’ultimo intrattenimento necrofilo a sfruttarla», aggiungendo che si tratta di uno dei film più detestabili che abbia visto. «Un atto di crudeltà auto-indulgente di un regista profondamente interessato a elementi fondamentali, come la personalità, l’intelligenza, la sensibilità, la sagacia e la tenacia della Monroe».
Quando in realtà la Marylin di Dominik è una donna di grande talento recitativo, capace di fare sue le interpretazione dei personaggi di Dostoevskij, e dotata di una sensibilità fuori dal comune, ma fin troppo sminuita dai produttori, che ne tarpano le ali ingabbiandola nello stereotipo della donna bella ma poco sveglia.
Il film è stato, inoltre, tacciato di essere uno spot anti-abortista in quanto mette in scena dei momenti di dialogo tra lei e il bambino che aspetta, cotanto di feto che la rimprovera del precedente aborto.
Ora, la scelta artistica potrebbe essere percepita non proprio di buon gusto, ma non è di certo anti-abortista.
Quanto più, aveva nel film lo scopo di rappresentare il trauma generazionale che ha ereditato da sua madre: Marilyn è in conflitto tra il desiderio di avere un figlio e dargli la vita che non ha mai avuto, e la paura che possa invece finire per dargli la vita che in realtà l’ha martoriata. È, dunque un altro esempio di come la camera irrompa nel suo spazio personale, in questo caso invadendo letteralmente il suo corpo.
Nonostante questo, la violenza nei confronti di Marylin non diventa mai la protagonista del film, tanto da poterlo definire «uno spettacolo sadico» (collider.com).
La regia, ad esempio, non stacca mai da Marilyn. Nei momenti che potrebbero essere percepiti come disumanizzanti, la camera mossa da Dominik non ha mai focus sui sopprusi in sé, ma si concentra sul volto di lei, preoccupata solo per ciò che sta provando, quasi implorando agli spettatori di fissare gli occhi nei suoi e rimanere con quello sguardo fino alla fine, per non abbandonarla. Il film non vuole abbandonarla.
Dunque, Marylin non scompare dietro l’angoscia e le sofferenze che le vengono inferte, perché quest’ultime sono un canale volutamente percorso dal regista che, in realtà, ha la glorificazione di Norma Jean come fine.
Marylin viene resa martire, un simbolo di denuncia verso un sistema che nel corso degli anni ha sfruttato il corpo, la bellezza e l’immagine di moltissime donne come lei.
Il mito di Marylin
Prima di criticare aspramente un film bisogna, allora, capire con che sguardo analizzarlo, sopratutto se si parla di uno stile surreale e onirico come in questo caso. Quella che vediamo non è la vera Marylin, certo, l’attrice ha realmente vissuto alcune delle cose rappresentate, ma sono state romanzate e portate all’estremo con l’unico scopo di lanciare un messaggio.
Si poteva fare costruendo un prodotto meno disturbante? Forse, ma non era questa l’idea di base. Ragionando diversamente si correrebbe il rischio di fare un processo alle intenzioni.
Detto ciò, Blonde resta, come è stato osservato, un biopic che ha moltissimo di David Lynch , che vuole colpire, che vuole stupire, che lascia qualcosa dentro, chiamando in causa chi sta osservando, impedendo al pubblico di sentirsi indifferente alla visione.
Del resto, non è proprio questo che deve fare un film?
E non è proprio questo che, in fin dei conti, è stato il mito di Marylin?
Se ti interessa il nostro parere anche su Il signore delle formiche, il nuovo film di Gianni Amelio, trovi qui l’articolo di @mylifeas__c!

Autore: Tommaso Corsetti
Nato nel 1999 e circondato dal mare, prima dell’isola d’Elba e poi della Sardegna, Tommaso dalle poltrone della sala, approda finalmente a quella davanti alla tastiera, per scrivere di ciò di cui ha sempre amato parlare: il cinema. Studente di Filosofia e ora in Radioeco, puoi trovarlo su instagram come @tomcorsetti_