Ormai se ne parla moltissimo, ma sappiano cosa sono le microplastiche?
Attualmente più di 350mila tonnellate di plastica vergine vengono prodotte in tutto il mondo, di cui il 15% in Europa (55mila tonnellate; dati aggiornati al 2020). Sempre in Europa, ogni anno, 30 mila tonnellate di plastica viene buttata e di questa solo il 35% viene riciclata. Essendo impossibile riciclare completamente queste enormi quantità di materiale, parte viene utilizzata per produrre energia, parte finisce in discarica e parte viene esportata. L’Italia, ad esempio, è all’undicesimo posto nel mondo per esportazione di plastica, per un ammontare di circa 200mila tonnellate.
Come si formano le microplastiche

Molta, troppa plastica, nel tempo, è finita abbandonata negli ambienti naturali terrestri e marini. Difatti ad oggi, la plastica, è uno dei principali contaminanti della nostra biosfera. La plastica che viene abbandonata nell’ambiente, a causa della luce solare, delle temperature e dell’acqua va in contro ad un processo di degradazione che la porta nel tempo a scomporsi in frammenti sempre più piccoli.
C’è ancora, ma non la vediamo.
Quando le particelle variano tra un range di 100 nm e 1000 µm sono dette microplastiche ed in questa forma riescono a “muoversi” più facilmente da un’ambiente ad un altro. Gli ambienti marini sono quelli nei quali il problema delle microplastiche è stato maggiormente studiato. La presenza di microplastiche negli ecosistemi marini ha degli effetti potenzialmente negativi non solo sugli organismi che vivono nell’acqua, ma anche per la salute umana, in quanto questi frammenti plastici, tramite la catena alimentare, possono arrivare sulle nostre tavole. Report scientifici dichiarano che ogni anno ingeriamo circa 39-52mila particelle di plastica a persona (valori che variano a seconda dell’età e del sesso).
Stime recenti indicano che più di 5 miliardi di frammenti plastici (principalmente polietilene – PE, polipropilene – PP – e polistirene – PS) stanno galleggiando nei nostri oceani e il mar Mediterraneo, con la sua conformazione semi-chiusa, detiene il primato come uno dei principali hotspot per la presenza di plastiche (con una concentrazione compresa tra 1,4 e 7,0 µg/L). Lo stadio di microplastica però, non è la fase finale della vita di questo polimero, che con il tempo finisce per frammentarsi ulteriormente formando le nanoplastiche (1-100 nm) più difficili da detectare rispetto alle precedenti.
Quali sono gli effetti delle microplastiche
Sebbene ci sia una sempre maggiore attenzione a questa tematica in ambiente marino, poca ricerca è stata fatta fino ad oggi negli ambienti terrestri ed in particolare nelle aree agricole. Qua, infatti, l’utilizzo dei film plastici in agricoltura e dell’irrigazione con acque di depurazione (che sono controllate dal punto di vista dei contaminanti chimici, ma non dei residui plastici, che per le loro dimensioni non riescono ad essere trattenuti) rappresentano importanti fonti di microplastiche.
La letteratura scientifica riporta, ad oggi, che le microplastiche non possano essere assorbite dalle piante. Alcuni autori però sostengono che le radici, in determinate condizioni, permettano l’uptake di questi frammenti, mentre invece sembra essere più certo che i nano-frammenti di plastica, a causa delle loro dimensioni ridottissime, siano facilmente assorbiti e traslocati dalla pianta.
Ma il cibo che mangiamo allora è sicuro? La ricerca non sa ancora dare risposte in merito, ma il tema è caldo e desta sempre più attenzione negli ambienti accademici.
Cosa possiamo fare noi
Il punto di faccende come queste è chiedersi cosa possiamo fare noi. Di certo non possiamo fermare il processo di degradazione delle plastiche che sono ormai disperse nell’ambiente, ma ci sono azioni semplici che potremmo fare per ridurre il nostro impatto.

- Primo punto, forse scontato, è quello di non abbandonare alcun tipo di rifiuto nell’ambiente. Che sia in strada, al parco, nel bosco o in spiaggia, ormai è considerato un reato. Oppure si può partecipare ai clean up day in cui si ripuliscono parchi e spiagge dai rifiuti. Molto interessante, per quanto riguarda la sensibilizzazione sul tema, è Archeoplastica, un progetto che colleziona i prodotti in plastica che il mare posta a riva dopo 50-60 anni dal loro abbandono.
- Secondo, fare attenzione sia quando si acquistano capi di abbigliamento, sia quando si fanno lavatrici. La maggior parte dell’abbigliamento fast-fashion è ormai costituito da fibre sintetiche, così come quasi tutto l’abbigliamento sportivo è prodotto in poliestere. Queste fibre, oltre a diventare nel giro di pochi mesi un rifiuto, ad ogni lavaggio rilasciano parte dei polimeri di cui sono costituite andando ad inquinare l’acqua di scarico della lavatrice con microplastiche che il filtro dell’elettrodomestico non è in grado di trattenere. Circa il 35% di tutte le microplastiche dell’oceano deriva dalle acque di scarico delle lavatrici. Il poliestere riciclato può essere un’opzione per riutilizzare una fibra che altrimenti sarebbe scarto, ma non riduce il problema delle microplastiche. Per fare una lavatrice più eco è necessario fare lavaggi a freddo e cicli più veloci che riducono la degradazione delle fibre (qui una mini-guida). Esistono inoltre dei dispositivi di raccolte delle fibre, appositi sacchetti in cui è possibile inserire i capi sintetici in lavatrice. Filtreranno acqua e detersivo, ma tratterranno i residui di plastica che potranno essere poi smaltiti nell’indifferenziata. Non sembra comunque una gran soluzione e forse solo l’acquisto di abbigliamento in fibra naturale costituisce una vera svolta a questo problema.
- Infine, ma anche questo molto dibattuto, vi è l’utilizzo di bioplastiche. Il problema di questi prodotti è che questi non sono necessariamente green: intanto perché non sempre sono ottenuti al 100% da prodotti vegetali, e poi perché a seconda dei legami dei polimeri il prodotto può essere o meno compostabile. Alcuni esempi virtuosi sono quelli in cui vengono prodotti materiali plastici a partire da scarti organici, così che la produzione di vegetali per fare bioplastiche non debba entrare in competizione con la produzione di cibo, rendendo invece risorsa quello che prima era considerato scarto.
Nessuna queste è LA soluzione al problema delle plastiche e delle microplastiche. Servirebbe un modo per ripulire le acque da questo inquinante così come servirebbe il modo per ridurre la produzione di plastica.
Ma se è vero che il futuro è nelle nostre mani, e se siamo qui come studenti universitari, forse è vero anche che possiamo essere parte del cambiamento, avere la responsabilità e la possibilità di innovare e di risolvere un problema. Di far uscire dai laboratori e dalle aule una o più soluzioni e, di sicuro, la speranza di una coscienza nuova.
Fonti:
Colzi et al. (2022). Impact of microplastics on growth, photosynthesis and essential elements in Cucurbita pepo L. – Journal of Hazardous Materials, 423, 127238.
He et al. (2021). Micro(nano)plastic contaminations from soils to plants: human food risks. Current Opinion in Food Science, 41, 116–121.
La bioplastica può essere una soluzione. – L’Essenziale (8 gennaio 2022). N°9, anno 1, p. 15.
Li et al. (2020). Effective uptake of submicrometre plastics by crop plants via a crack-entry mode. – Nature Sustainability, 3, 929–937.
Menicagli et al. (2022). Early evidence of the impacts of microplastic and nanoplastic pollution on the growth and physiology of the seagrass Cymodocea nodosa. – Science of the Total Environment, 838, 156514.
Plastic Europe. Plastic – the Facts 2021

Autore: Giulia Lauria
Dottoranda in scienze agrarie, incorreggibile buddista, lettrice in erba, aspirante acrobata. Da grande sogna di piantare semi di cambiamento. Le sta a cuore l’ambiente e la sostenibilità. La sua alimentazione è plant-based e si impegna a condurre una vita più possibile zero-waste. Crede nel potere del dialogo e della comunicazione e nel potenziale dell’essere umano. È certa che accrescere la propria consapevolezza sia il primo passo per cambiare il mondo.