CinefiLife – Kill Bill: sangue e maternità (recensione e analisi)

Alzi la mano chi non ha mai visto un film di Quentin Tarantino. Dubito possa esserci qualcuno.

Approfittando del suo 19° anniversario d’uscita, mi sento vecchio solo a scriverlo, parleremo, qui nella rubrica CinefiLife di RadioEco, proprio di un suo film: Kill Bill.

Questa volta non ho lesinato sugli spoiler. Ergo: non andate oltre se non l’avete ancora visto e, nel caso, correte subito a farlo.

Paragrafi che troverai nell’articolo:

  1. Tra Pulp Fiction e la maternità di Uma Thurman
  2. Lotte di potere
  3. La sposa imbrattata di sangue
  4. Sotto gli occhiali di Clark Kent
  5. Uccidere il padre

Tra Pulp Fiction e la maternità di Uma Thurman

Partiamo da un piccolo colpo di scena: Quentin ci aveva anticipato Kill Bill già nove anni prima della sua uscita, in una scena di un altro suo cult, Pulp Fiction.

Uma Thurman interpretava il ruolo di Mia Wallace; aspirante attrice che aveva avuto una parte in un film che sfortunatamente non aveva visto la luce e che la vedeva come protagonista a capo di un gruppo di assassine provette, nonché «la donna più pericolosa del mondo con un coltello».

Chi ha già visto Kill Bill non avrà difficoltà a notare numerosi punti in comune con il gruppo di killer del film. È infatti da questo spunto che Quentin e Uma gettano le basi per l’intero universo di Kill Bill.

Quattro anni dopo l’uscita di Pulp Fiction, Uma diventa madre, nasce Maya, e Tarantino e la Thurman riprendono a discutere della loro idea. Quentin passa molto tempo con Uma e inevitabilmente anche con Maya, e a causa di ciò la storia di Kill Bill inizia a divergere dalle idee iniziali.

La maternità di Uma diventa una fonte d’ispirazione per Quentin, intenzionato ora a mettere in scena il suo rapporto conflittuale con questo tema. Ricordiamo, infatti, che il padre abbandonò la madre all’epoca sedicenne e incinta di lui.

Nasce così la storia di Beatrix Kiddo, in arte Black Mamba, un’assassina professionista facente parte del gruppo di killer con a capo Bill, il suo maestro nonché amante. Dopo aver scoperto di essere incinta, Beatrix fugge da quel mondo che ritiene essere non sicuro per la futura genita.

Giunta in Texas, sotto falso nome, si crea una nuova vita, ma un Bill infuriato riesce a ritrovarla sparandole in testa.

La donna finisce in coma, risvegliandosi quattro anni dopo, intenzionata a vendicarsi per quello che è stato fatto a lei e alla bambina che crede di aver perso.

Lotte di potere

Vi sembrarà strano, ma Kill Bill non fa solo della violenza il suo pezzo forte. Certo se volessimo potremmo anche limitarci a godere delle splendide sequenze di lotta che citano tutto il cinema orientale e i “B” movie che hanno fatto le ossa di Tarantino. Ma così facendo ci limiteremo solo al mezzo attraverso il quale Kill Bill ci comunica un messaggio più profondo.

Secoli di narrativa ci hanno ormai abituati ad associare il potere ottenuto attraverso la violenza ad un’iconicità maschile, pensiamo all’Iliade con il suo Achille o ai moderni film d’azione; l’idea dietro Kill Bill è proprio quella di rompere questo assunto.

In Kill Bill la violenza per mano femminile supera per quantità ed intensità quella maschile, pensiamo al combattimento alla “Casa delle foglie blu”. Ma occhio a pensare che quello di Kill Bill sia solo untentativo per affermare il concetto “anche le donne possono essere come gli uomini”.

La storia di Beatrix la caratterizza infatti non solo come formidabile killer, ma anche come madre: lotta non solo per vendetta, ma anche per la figlia che crede di aver perso, e poi in sua difesa quando scopre che è ancora viva.

La violenza diventa, dunque, uno strumento di lotta, in senso letterale, per il potere, che mira però non a omologare le donne agli uomini, ma ad affermarne la reciproca diversità, pur su uno stesso terreno.

La sposa imbrattata di sangue

Tutto questo suggerisce, però, anche una certa incompatibilità tra il ruolo della madre e quello del killer, Beatrix del resto si ritira appena scopre di essere incinta.

Mettendo per un attimo da parte il fatto che, in effetti, non sia molto sano far crescere una bambina in un mondo dove alla gente vengono tagliati arti, cotanto di grotteschi schizzi di sangue, simbolicamente si tratta di una donna che ritiene che il suo lavoro non possa andare di pari passo con la sua maternità. Uno stigma sociale molto attuale nei confronti delle madri che lavorano. 

La Beatrix in dolce attesa si ritira, infatti, dal lavoro e trova un nuovo partner che possa mantenerla e con il quale instaurare un nucleo familiare socialmente più accettabile. Ma come sappiamo Bill ritornerà nella sua vita e alle prove del matrimonio compirà il massacro che spingerà Beatrix a diventare “la sposa imbrattata di sangue” e reclamare la sua vendetta. Ed è proprio nella vendetta che notiamo come le capacità di Beatrix non siano cambiate anche dopo l’aver procreato.

Il film chiarisce che diventare madre non annulla le abilità di una donna, né le sue capacità o la sua determinazione.

Sotto gli occhiali di Clark Kent

 L’ebrezza della vendetta e dei colpi di spada menati sui nemici, diventano per Beatrix lo strumento per poter nuovamente scegliere chi essere, per poter togliersi di dosso le vesti della casalinga del Texas e riunirsi con la parte più autentica di sé.

Ed in questo la figura di Bill gioca un ruolo chiave: da un lato è colui che priva Beatrix della propria libertà di scelta, ma dall’altro le fornisce gli strumenti per guardarsi dentro e riconciliarsi con la sua identità di killer, integrandola con quella di madre.

In tal senso è molto importante il monologo di Bill su Superman, nel quale mette Beatrix al pari del supereroe: entrambi sono esseri speciali che fingono di essere ciò che non sono, che cercano di mimetizzarsi in una società di «persone mediocri». Così come Superman è un alieno, Beatrix è un killer.

Il villain riesce a capire il protagonista, meglio del protagonista stesso, a svelarne la natura riuscendo anche a fargli ammettere di avere ragione:

«Uccidere tante persone per arrivare a me ti ha dato un brivido, non è vero?»

«Si.»

Questa è la scena madre, non è più solo Bill a considerarla una «natural born killer», ma è lei stessa ad ammetterlo. Ad essere funzionale a questa rivelazione è l’intero viaggio metaforico e catartico che l’ha condotta fino a lì. Riprendendo ad uccidere, Beatrix ha ritrovato confidenza con sé stessa, come una madre che ha capito di non essere solo quello.

La volontà di ritirarsi dal suo impiego tradizionale, di «lavorare in un negozio di dischi usati, collezionare punti premio» sono tutti tentativi di incarnare lo stereotipo della madre tradizionale, ma come ben presto ci rendiamo conto lei non è fatta per vivere una vita ”normale”, lei non è «un’ape operaia», è «un’ape killer ribelle».

Uccidere il padre

Dunque, la figura di Bill non assume solo i tratti del carnefice, ma anche quelli del mentore, che in punto di morte lascia il più grande degli insegnamenti: «non dimenticare chi sei».

A questo punto, Beatrix non deve fare altro che mettere in scena ciò che ha imparato, e il primo modo per farlo è proprio uccidendo Bill, senza lasciarsi commuovere dal tenero quadretto familiare che ha inscenato. E questo perché l’ha privata del libero arbitrio, di una decisione che solo lei avrebbe dovuto prendere.

Uccidendo il padre, come vorrebbe Freud, Beatrix completa la sua presa di coscienza: nel costante tentativo di tenere sua figlia al sicuro, non potrà e non dovrà mai più negare la sua vera natura.

Non a caso, i titoli di coda ce la ripresentano con tutti i nominativi che utilizza nel film, eccetto quello che avrebbe usato nella vita in Texas (Arlene Machiavelli), a dimostrare quanto quell’alter ego non fosse parte di sé, a differenza degli altri: Beatrix è una vittima/vendicatrice (The Bride), un’assassina professionista (Black Mamba), e ora anche una mamma (Mommy).

Kill

Nato nel 1999 e circondato dal mare, prima dell’isola d’Elba e poi della Sardegna, Tommaso dalle poltrone della sala, approda finalmente a quella davanti alla tastiera, per scrivere di ciò di cui ha sempre amato parlare: il cinema. Studente di Filosofia e ora in Radioeco, puoi trovarlo su instagram come  @tomcorsetti_

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