Che cos’è la fashion revolution? È il 24 aprile 2013 quando a Dhaka, in Bangladesh, crolla il complesso produttivo di Rana Plaza con le sue fabbriche tessili che producevano capi di abbigliamento per i più famosi marchi della fast fashion. Rimangono uccise 1133 persone, per la maggior parte giovani donne, mentre 2500 rimangono gravemente ferite. Così, dal 2014, nella settimana che comprende il 24 aprile, ogni anno si celebra la Fashion Revolution Week, evento istituito da Fashion Revolution, un’associazione che opera in più di cento paesi del mondo per risvegliare i consumatori alle implicazioni della fast fashion e al vero costo di ciò che indossiamo. Ma abbiamo davvero bisogno di una fashion revolution? La risposta è decisamente affermativa.
Fast fashion
Dagli anni ‘80-‘90 in Occidente la moda ha subito una completa rivoluzione. Attraverso quella che venne al tempo chiamata “democratizzazione della moda”, moltissimi capi di abbigliamento, spesso molto simili a quelli dei grandi marchi dell’alta moda, sono diventati accessibili ai più, grazie alla diminuzione dei prezzi, alla velocità con cui arrivarono sul mercato e alla grande varietà di prodotti. Le collezioni, un tempo solo quattro (due per gli uomini e due per le donne, ovvero Autunno/Inverno e Primavera/Estate), cominciarono a moltiplicarsi, fino ad arrivare ad essere anche 52 all’anno. Ed ecco a voi la fast fashion!
Per mantenere questi ritmi, le grandi catene di abbigliamento hanno quasi completamente delocalizzato la produzione in Paesi in cui la manodopera è pagata pochissimo, dove sono scarse o nulle le regolamentazioni sia verso la tutela dei lavoratori (molto spesso bambini) sia verso l’ambiente, con l’unico scopo di produrre sempre di più, al costo più basso possibile e sempre più velocemente. E questo fenomeno non ha coinvolto solo le grandi catene di abbigliamento low-cost, ma ha ormai travolto anche la moda meno a buon mercato fino ai grandi marchi del lusso.
Grazie a tutti i suoi ingredienti, la fast fashion è assolutamente insostenibile, sia dal punto di vista ambientale che da quello sociale.
- Ambientale, perché tutta la catena produttiva, dalle materie prime, al prodotto finito e al suo smaltimento, hanno un ingente impatto sull’ecosistema. Nei Paesi dove è delocalizzata la produzione, spesso non vi sono norme che impediscano la dispersione dei prodotti tossici nell’ambiente. E così, prodotti come i pesticidi usati nella coltivazione del cotone, i coloranti usati per le tinture, o i prodotti per la concia delle pelli, vengono sversati nei fiumi andando a contaminare anche i terreni e le falde. Inoltre, la produzione di capi della fast fashion è responsabile del 20% dello spreco globale di acqua (SMI, Sistema Moda Italia).
- Sociale, perché i lavoratori, tra cui moltissimi bambini, si trovano per la maggior parte in stato di schiavitù. Lavorano in condizioni non sicure e sono costretti a maneggiare e inalare composti tossici utilizzati nella produzione senza alcun tipo di dispositivo di protezione.
La vita dei prodotti così ottenuta è molto breve e dopo pochi mesi saranno buttati: finiranno in discariche o verranno inceneriti e, in entrambi i casi, saranno nuovamente causa di inquinamento.
Ma se vogliamo cambiare qualcosa, da dove possiamo partire?

Informarsi è in assoluto il primo passo da fare. In un vecchio articolo di RadioEcologia, Alessandra ci aveva già accennato ad alcune importanti problematiche più o meno nascoste dietro il fenomeno della moda a basso costo. Inoltre, se siete proprio alle prima armi con questa tematica, vi consiglio di leggere La rivoluzione comincia dal tuo armadio, di Luisa Ciuni e Marina Spadafora, un testo semplice e completo che vi guiderà alla scoperta dei segreti dell’industria della moda.
Secondo, è bene ricordare che la moda non è assolutamente da demonizzare. Da millenni è modo di esprimersi del genere umano e parte integrante della cultura dei popoli. È necessario quindi tornare a darle il valore che si merita e a scegliere consapevolmente cosa indossare.
Cosa possiamo fare in pratica
Ma allora, cosa possiamo fare per contribuire alla fashion revolution? Le soluzioni sono tantissime e la parola chiave è: creatività.
“Non vedo lo scopo dei rattoppi invisibili”
Celia Pym, artista tessile
- Ripara. “Riparare è un atto rivoluzionario” scrive Orsola de Castro, fondatrice di Fashion Revolution, nel suo libro I vestiti che ami vivono a lungo. Rammendare, rattoppare, decorare. Ecco come far durare di più gli abiti che amiamo, ma anche come dargli una nuova vita e una nuova personalità. Scopri dove si trovano dei laboratori di sarti a Pisa e porta a riparare i tuoi abiti.
- Abbi cura. Sapere come lavare e conservare un indumento è estremamente importante affinché si possa mantenere in perfette condizioni nel tempo. Impara a leggere le etichette dei tuoi abiti: ogni capo reagisce in maniera diversa all’acqua, ai detersivi, al calore e alla centrifuga. Esistono numerosissime tipologie di lavaggio. Trova quello giusto per i tuoi abiti.
- Riconosci. Hai mai letto le etichette dei tuoi abiti? Sai di cosa sono fatti? Prediligi capi prodotti in fibre naturali e il cotone certificato, rispetto a quelle sintetiche. Cerca di evitare abiti prodotti con fibre miste, saranno impossibili da riciclare. Quando è difficile evitare i tessuti sintetici, come nel caso dei capi sportivi, acquista abiti in poliestere riciclato e lava i tuoi capi solo quando necessario: il poliestere rilascia microplastiche in acqua ad ogni lavaggio.
- Rivendi o regala. Scambia gli abiti con altre persone o rivendi gli abiti che non indossi più.
- Acquista usato. Dai nuova vita agli abiti che sono già stati amati una volta. Esistono varie soluzioni per fare una meravigliosa esperienza di acquisto di abiti usati o vintage… anche a Pisa! Ad esempio, fai un salto in centro da VLab Vintage, in via Rigattieri 31, vicino piazza Garibaldi, troverai non solo abiti vintage, ma anche pezzi unici di upcycling! Delle vere chicche!
- Scopri. Esistono un numero sempre crescente di piccole aziende e artigiani che creano abiti a partire da materiale innovativo, sostenibile, con tecniche a basso impatto. Dove ogni capo è unico e inimitabile e fatto con grande cura. Fai un piccolo investimento e scegli i tuoi abiti coscienziosamente. Sono sicura che li amerai ancora di più.
- Acquista italiano. Le leggi in Italia assicurano produzioni sicure ed etiche. Un capo realmente e interamente prodotto in Italia sarà davvero più sostenibile.

Il sistema della fast fashion si regge grazie alla folla di consumatori che vogliono acquistare sempre di più, spendendo sempre meno. Per cui sono sempre i consumatori, cioè ognuno di noi, a poter fare la differenza, sostenendo un brand piuttosto che un altro. Il contributo di ognuno di noi sarà parte della soluzione.
È arrivato il tempo di fare questa rivoluzione.
“La moda non dovrebbe mai essere docile. Dovrebbe provocare, battersi per un’innovazione e un’espressione spettacolari. Il momento della moda dovrebbe essere magico. La moda è rischio, com’è giusto che sia.”
Mathilda Tham, docente di Design & Sustenability

Autore: Giulia Lauria
Dottoranda in scienze agrarie, incorreggibile buddista, lettrice in erba, aspirante acrobata. Da grande sogna di piantare semi di cambiamento. Le sta a cuore l’ambiente e la sostenibilità. La sua alimentazione è plant-based e si impegna a condurre una vita più possibile zero-waste. Crede nel potere del dialogo e della comunicazione e nel potenziale dell’essere umano. È certa che accrescere la propria consapevolezza sia il primo passo per cambiare il mondo.