Fashion Riot – Eppur si muove: innovazione e inclusività fra i brand delle Fashion Week

“La moda se ne frega, la moda è chiusa nei suoi standard di bellezza ormai sorpassati, la moda sfrutta le tematiche sociali di inclusione solo per vendere di più.”

Vero!, avrebbe risposto Michael Foucault: non c’è modo migliore per tenere a freno le masse rivoluzionarie che includere le loro tematiche sociali nel proprio progetto di marketing, neutralizzandone il potere e mostrandosi come loro alleati.

Eppure, per una volta, mi sento di essere meno pessimista e sperare che davvero qualcosa, soprattutto con l’avvento di tanti giovani creativi dalle larghe vedute, stia cambiando in meglio anche nel mondo dei corpi perfetti su copertine patinate. Fra inclusione e sostenibilità, credo che di qualche passo in avanti si possa parlare, per cui questa settimana, come avevo promesso, ho deciso di dedicare questo articolo ad alcuni brand che nelle Fashion Week appena concluse si sono distinti per aver presentato, finalmente, delle nuove immagini sulle passerelle: 

Marco Rambaldi:

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@marcorambaldi

Protegè del mecenatismo di Pierpaolo Piccoli, direttore creativo di Valentino convinto che i grandi brand debbano sostenere i giovani di talento, Marco Rambaldi è uno stilista bolognese classe 1990. Negli ultimi mesi, ha meravigliato appassionati e appassionate di moda, ma anche fatto discutere i perbenisti del “buon gusto” (in questo articolo parla di come questi canonici vadano superati il professore Andrea Batilla). Eccentrico, rivoluzionario nei tessuti, nella filosofia, nel lavoro di squadra, ma soprattutto nei corpi che fa sfilare. Donne e uomini, persone fluide, di ogni nazionalità, di ogni età, con qualsiasi imperfezione e taglia, in un mix splendido che toglie ogni etichetta, perché non esistono più i canonici “bello”, “brutto”, “plus size” e “normal size”, e riporta la libertà nella moda di esprimere tutta la variegatura del mondo, nelle forme e nelle idee. E allora spazio alla ricchezza della diversità; non a caso, la prima sfilata fu a Porta Venezia, luogo simbolo della Milano progressista. Perché la moda, come sottolineano Rambaldi e Piccoli in un’intervista a due voci, fatta da Federica Salto sul numero di febbraio di Vogue Italia, “è moda quando racconta la bellezza, però legata al periodo storico che stiamo vivendo. […] (Dice Piccoli, ndr) Marco mi piace non tanto per un’estetica affine alla mia. Ma perché per me è davvero importante la condivisione di un sistema valoriale. Sento che in qualche modo facciamo parte della stessa comunità, quella che si batte per tutte le battaglie civili. Poi, ognuno traduce questo atteggiamento a proprio modo, attraverso la propria visione. Ed è bello osservare come l’immagine abbia un potere incredibile, è più forte delle parole di qualsiasi politico. Ecco perché nel nostro lavoro è importante trasmettere messaggi, altrimenti sono solo vestiti.”

Vi lascio il link di una bella intervista fatta a Rambaldi da Irene Graziosi per il canale di Venti

Act N.1:

Si tratta di un brand con base in Italia fondato da Galib Gassanoff e Luca Lin, il cui tratto distintivo sta nell’interesse per la multiculturalità, l’inclusività e la problematicità della condizione femminile attuale. In passerella una variegata bellezza di età, genere, nazionalità: sfilano, fra le altre, icone della comunità LGBTQ+ come l’attivista Francesco Cicconetti ed Elenoire Ferruzzi, ma anche Alma dal Maso, con in braccio il suo bambino, e Elisa Gasparotto, incinta. Colori, volumi, sperimentazione. I due designer, parlando del brand, scrivono sulla sezione dedicata nel loro sito web: “L’essenza del nostro brand e la sua immagine si basano sulle storie personali ed il background multiculturale dei sui creatori, focalizzandosi soprattutto sulla loro infanzia, la propria città natale ed il lifestyle, dove l’antica arte cinese incontra l’artigianato dell’Azerbaijan. Ogni collezione punta ad esprimere una storia riguardo l’inclusività e la condizione femminile nel mondo.”

Off-white:

Credo di parlare a molti e molte quando nomino la potenza di Virgil Ablho, designer e stilista avanguardista scomparso troppo presto. Oltre ad essere stato il direttore creativo di Louis Vuitton uomo, nel 2012 fonda a Milano Off white, brand di alta moda street stile, fondendo ricerca dei materiali, creatività e arte di strada.

Off white diventa negli anni fonte d’ispirazione di ogni creativo che voglia mantenere un contatto col mondo, facendo comunicare ambienti diversi: dallo stretto style all’haute couture, dalla moda all’architettura, alla musica, dalla cultura alta alla cultura bassa, stravolgendone i canoni; qui un bell’articolo di Leonardo Caffo in proposito. In onore delle sue ultime straordinarie idee, famiglia e collaboratori di Ablho hanno messo in mostra il lascito di Virgil in una sfilata eccentrica: non casuale il nome, “Spaceship Earth: An Imaginary Experience”.

La sfilata presenta un’atmosfera extraterrestre e rappresenta la ricerca di un ultimo contatto con Virgil, deceduto lo scorso novembre 2021, a causa di una malattia che per pudore, e voglia di non abbandonare il proprio lavoro, ha tenuta segreta fino alla fine. Unico segno della malattia, le pillole che riempivano le borse di Cindy Crawford in passerella, portando un tema tabù, come quello della malattia e della debolezza umana, ad una sfilata. 

Iconico il look di Bella Hadid: un abito da sposa etereo, abbastanza corto da poter ballare, e quindi accompagnato da un paio di sneakers, una veletta su un baseball hat ed un portasigarette al posto della borsetta; quindi tutto ma non la solita sposa impettita e candida.

Ma, fra abiti eleganti e sneakers, hanno sfilato tanti altri personaggi molto diversi. Spiccano Cindy Crawford e Naomi Campbell: raggianti, calcano ancora le passerelle come nei mitici anni ’90, di cui sono state protagoniste. Eppure, entrambe, sono alla soglia dei cinquant’anni: mi chiedo allora, è questa forse una provocazione, ad un mondo che vede ancora le donne che superano una certa età ormai incapaci di sfilare, di mostrare il loro corpo e la bellezza, con anche i segni del tempo, senza essere bollate come inopportune, superate? Stessa sorte è spesso toccata a queen Madonna, ancora oggi icona indiscussa ma accusata di essere diventata indiscreta con i suoi abiti provocanti su un corpo adulto. E’ sicuramente un tema da tenere d’occhio, un cambiamento sulle passerelle non da poco.

Ancora, la campionessa mondiale di tennis Serena Williams, la quale nella vita ha spesso dovuto lottare contro il razzismo. E proprio contro il razzismo, che Ablho ha vissuto in prima persona, si batte Off-White. Insieme a Vogue Inghilterra, il brand ha lanciato la campagna “I support black education”, a sostegno della diffusione della storia delle popolazioni nere in tutto il mondo, oltre a fornire aiuti economici per studenti neri in difficoltà che vogliono impegnarsi nel mondo della moda e del design.

Padiglione sostenibilità:

Un contributo prezioso per questo articolo, sia per contenuti che per le foto, me lo da Martina Lazzar, membro dell’area social di radio Eco, che ringrazio molto. Per interessi legati ai suoi studi, Martina ha seguito la settimana della moda milanese, in particolar modo per quello che riguarda il lato della sostenibilità ambientale. In una chiacchierata che ci siamo fatte, mi ha raccontato del padiglione dedicato alla sostenibilità allestito al Design Museum: abiti fatti con tessuti riciclati, pigmenti vegetali, impegno da parte dei brand per ridurre l’impatto ambientale delle loro produzioni ed esportazioni, rompendo la catena della distribuzione-distruzione, messaggi di positività e speranza stampati sulle t-shirt. 

Un brand che sicuramente attira è quello di Pangaia: nato dieci anni fa e amatissimo da molti personaggi famosi, presenta un sito ricco e dettagliato rispetto alla sua filosofia e alle missioni attive in fatto di ambientalismo. Oltre ai vestiti, sulla pagina web, potete trovare anche delle possibili donazioni da fare, sostenendo ambienti in pericolo ed animali in via di estinzione, oltre ad associazioni che si impegnano a produrre mezzi di trasporto sostenibili. 

Altro brand molto interessante è Raree Show: grafiche naive, colori accesi, abiti genderless e seasonless, ma dietro si nasconde un messaggio per nulla bambinesco. Scrivono sul loro sito i creatori, nel manifesto chiamato “Educational Involution”: “Raree Show prende spunto dalla peep box, una vecchia scatola di giochi per illusionisti utilizzata per divertire i bambini, i quali vi guardavano dentro grazie ad una fessura. Attraverso Raree show, lo spettatore sarà capace di aprire gli occhi alla visione giocosa e spensierata di un bambino che guarda al disagio della nostra società, e attraverso la sua visione ne denuncia le differenza, abusi ed ineguaglianze.” Fra le denunce, anche quella contro le politiche dei grandi stati che contribuiscono ad aumentare l’inquinamento e le disuguaglianze sociali, sfruttando persone, bambini in tutto il mondo per una produzione insostenibile a livello sia umano che ambientale. 

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Sicuramente non bastano questi brand a fare la differenza, perché la strada da fare è ancora lunga, lunghissima. Ogni taglia in passerella, eppure in negozi, fisici e online, resta ancora un range di scelta troppo piccolo. Il razzismo, la grassofobia, l’abilismo, non sono finiti e non finiranno grazie ad una sfilata. Ma, sicuramente, una dimostrazione di maggiore apertura e sensibilizzazione da parte del mondo della moda, fino a pochi anni fa ancora molto chiuso nei suoi schemi, fa ben sperare. Incrociamo le dita, non sia mai che le prossime settimane della moda possano stupirci ancora di più!

XOXO,

Fashion Riot.


Autrice:Irene Lenzi

Classe 2001, studentessa di filosofia e novizia di Radio Eco. Appassionata di arte, cinema, musica, moda ma soprattutto libri. Logorroica ma simpatica, sfortunata in amore e con una gran voglia di scoprire e raccontare, potete conoscerla meglio su instagram: @irn.lnz

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