“Che senso hanno le sfilate in un momento in cui le bombe cadono in un Paese a noi vicino? E che differenza c’è con quelli lontani, perché di conflitti il mondo pullula, ma non tutti sembrano interessarci allo stesso modo? Cosa dovrebbero fare designer, team di marketing, giornalisti e influencer in momenti come questi? Smettere di postare le Stories dagli show, abdicare in toto l’evento oppure continuare a fare il proprio lavoro? […]
Un peccato oltre che una grande fonte di imbarazzo: chi lavora nella moda dovrebbe superare il proprio complesso di inutilità e provare a utilizzare e condividere lo spazio che ha a disposizione al di là di hashtag e attivismo di circostanza, perché saranno anche vestiti e borsette, ma quante cose possono essere dette, e fatte, con quei vestiti e quelle borsette.”
Per l’articolo di questa settimana, voglio partire dalle parole di Silvia Schirinzi in un articolo di Rivista Studio. Ho aperto questa rubrica con lo scopo di dimostrare la non frivolezza della moda, la sua possibilità di diventare un potente mezzo di rivoluzione sociale, il suo essere al servizio del cambiamento e della libertà. Perciò, seppur abbia ancora l’intenzione di parlare delle innovazioni che brand, vecchi e nuovi, hanno portato nelle sfilate appena finite, credo sia prima doverosa una riflessione sulla tragica situazione che sta colpendo la popolazione ucraina in questo momento.
L’11 febbraio scorso la New York Fashion week prende il via, facendo da apripista per Milano (22-28 febbraio) e la chiudi fila Parigi (28 febbraio – 8 marzo).
Nel mezzo della settimana milanese, la più grande delle atrocità umane: inaspettatamente, nella notte fra mercoledì 23 febbraio e giovedì 24 febbraio, Putin, il presidente della Russia, lancia missili su Kyïv, dichiarando guerra all’Ucraina.
Che cosa ha fatto, e che cos’altro avrebbe potuto fare, il mondo della moda?
Subito, tutti e tutte si sono chiesti che cosa fosse doveroso fare: annullare le attività quotidiane, dal lavoro allo studio ai più futili aperitivi, nel rispetto di chi, senza colpe se non essere mirino di un pazzo, stava morendo sotto le bombe senza molte possibilità di salvarsi? Oppure, come scrive Michela Murgia, andare avanti con le nostre vite, in onore della democrazia che dobbiamo tenere stretta e per cui il popolo ucraino stesso sta lottando. Qualsiasi la scelta, fermarsi davanti al dolore o continuare a lavorare, in nessun caso significa dimenticarsi dell’inferno che altri stanno vivendo, mobilitandoci con condivisione delle giuste informazioni e, se possibile, donazioni.
Ed è proprio l’idea della mobilitazione che ha diviso l’opinione pubblica: che sia giusto o meno sfilare e partecipare a cocktail party col sorriso sulle labbra, mentre a 2000 km di distanza i bambini piangono nei bunker, è soprattutto giusto non sfruttare il potere mediatico e politico di quelle passerelle?
Fuori le manifestazioni per la pace, dentro la musica che spacca le orecchie. Unica voce fuori dal coro sembra essere stato Giorgio Armani, il quale, gigante gentile dai molti anni sulle spalle, memore delle atrocità della guerra che lui stesso in Italia ha vissuto da piccolo, ha deciso di togliere la musica di sottofondo della sue sfilate. Lavorare sì, ma divertirsi no, perché in quel momento, in un’altra parte del mondo, non c’era niente da festeggiare.
Parentesi parigina sono Balenciaga e Valentino. Per la sfilata del brand di origine spagnola, il direttore creativo Demna Gvasalia sceglie uno scenario particolare: modelli e modelle sfilano in una tempesta di neve e il pubblico assiste seduto su sedie dove sono stampate bandiere dell’Ucraina. Spiega poi Gvasalia sui social: “La guerra in Ucraina ha risvegliato in me il dolore di un trauma che mi porto dietro dal 1993,quando la stessa cosa è successa nel mio paese d’origine e sono diventato un rifugiato per sempre (Demna parla della guerra civile che colpì la Georgia nel 1993, costringendo lui e la sua famiglia a fuggire dal paese, ndr). Per sempre, perché questo è qualcosa che ti resta dentro. La paura, la disperazione, l’idea che nessuno ti voglia. Ma ho anche realizzato che ciò che importa davvero, le cose più importanti, oltre alla vita stessa, sono l’amore umano e la compassione. […] in un momento del genere, la moda perde tutta la sua importanza, il suo diritto di esistere. La Fashion Week sembra un’assurdità. Per un momento ho pensato di disdire lo show, poi ho realizzato che cancellarlo sarebbe stato come arrendersi al male. […] Questa sfilata non ha bisogno di spiegazioni. È una dedica al coraggio, alla resistenza ed alla vittoria dell’amore e della pace.”
Per la sfilata di Valentino, invece, il direttore creativo Pierpaolo Piccoli, insieme al visual artist Douglas Coupland, aveva già idea da mesi di presentare una sfilata che fosse un’ode all’ottimismo, alla voglia di lottare per creare tempi migliori. E allora, accanto al nero, propone abiti rosa shocking: “il rosa è il colore dell’amore, della comunicazione, dell’energia e della libertà”, colore non a caso creato in tempi di guerra dalla stilista Elsa Schiaparelli, dalla quale prende il nome la nuance. Non potevamo certo aspettarci assoluto silenzio da Piccoli, il quale più volte ha sottolineato come la moda debba legarsi alle tematiche di urgenza politica e sociale, “altrimenti sono solo vestiti”.
Finite le sfilate, molti brand, soprattutto quelli storici, hanno subito iniziato a mobilitarsi. Maison come Gucci, Louis Vuitton, Vivienne Westwood, oltre ad aver donato grandi somme ad associazioni di beneficienza attive in prima linea, hanno condiviso link utili per inviare aiuti, invitando chi li segue a fare lo stesso.
Questi stessi brand ed altri, fra cui per primo l’ungherese Nanushka, hanno deciso di chiudere temporaneamente i loro store in Russia. Scrive, in un articolo per Vogue Business, il CEO Pèter Baldaszti: “Rispettiamo il popolo russo ed i nostri partner. Sappiamo che la guerra non è una loro decisione, ma diventa impossibile per noi, sulla base dei nostri valori morali, continuare a commerciare con la Russia. Ci auguriamo che questa atroce situazione finisca presto, così da poter ricostruire quelle relazioni. […] (Seppur indecisi sul mostrare o meno la nuova collezione) Dovevamo continuare con la fashion week in quanto abbiamo bisogno di far crescere il nostro marchio, ma allo stesso tempo volevamo essere solidali ed utilizzare le sfilate come piattaforme per l’informazione e la consapevolezza degli spettatori.”
Non è facile dire chi abbia sbagliato e chi no, quale sia la linea, sottile, fra solidarietà ed ipocrisia. Ogni giorno, in ogni parte del mondo, milioni di persone, nella maggior parte dei casi innocenti civili, come ci ha insegnato Gino Strada, muoiono sotto le bombe o sono private della loro libertà da regimi dittatoriali. Per cui credo che, in questi momenti soprattutto, ma non di meno negli altri giorni che restano, sfruttare il nostro privilegio, politico ed economico, la libertà che diamo per scontata, per educarci, sostenere, riflettere, protestare sia fondamentale e l’unica arma che abbiamo.
Fashion made in Україна
In questi giorni ho cercato di leggere alcuni articoli sulla moda fatta di stiliste e stilisti ucraini, una realtà che conoscevo, purtroppo, poco. Ho scoperto molte storie e visioni interessanti, per cui vi lascio qualche link utile, nel caso anche voi abbiate voglia di approfondire un po’:
–11 brand ucraini da conoscere
–La resistenza della designer Svetlana Bevza
In un momento così triste, fra la morte, il pianto, le urla, l’incapacità per un popolo stremato di vedere la luce in fondo al tunnel e un mondo, almeno per la parte civile, impotente, credo che due parole possano farci da guida nel buio: solidarietà e bellezza.
Chiudo quindi con le parole, sempre gentili e mai fuori luogo, di Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, intervistato questa domenica, 27 febbraio, al programma “Che tempo che fa”:
“Questo mio adoperarmi per costruire le cose belle che faccio entra in sintonia con la vita. Come dice il grande architetto e filantropo Renzo Piano, il costruire pazientemente qualcosa, nel nostro caso la bellezza, è il gesto contrario a quello della guerra, del suo inaccettabile, disumano orrore distruttivo.L’uomo, e gli animali, sono nati per creare bellezza, nei colori degli abiti e dei manti, nella complessità della natura, del linguaggio e della cultura. La bellezza che creiamo è una scialuppa, quasi un rito religioso.”
Xoxo,
Fashion Riot.

Autrice:Irene Lenzi
Classe 2001, studentessa di filosofia e novizia di Radio Eco. Appassionata di arte, cinema, musica, moda ma soprattutto libri. Logorroica ma simpatica, sfortunata in amore e con una gran voglia di scoprire e raccontare, potete conoscerla meglio su instagram: @irn.lnz