Questa settimana RadioEco, attraverso la rubrica CinefiLife, si rivolge direttamente a te caro lettore, e ti chiede di sederti comodamente, versarti un bicchiere della tua bibita preferita e prenderti una pausa, perché oggi è de Il Grande Lebowski (1998) dei fratelli Coen che si parla, e Drugo non vuole stress di alcun tipo, nemmeno quando si parla di lui.
Paragrafi dell’articolo:
- La trama
- Il mondo non ha senso, dunque perché preoccuparsi?
- L’ansia di vivere senza preoccupazioni
- Cos’è che rende un uomo un uomo?
- Jeffrey Lebowski: un nuovo messia?
- Non si scherza con Jesus
La trama
Jeffrey Lebowski (interpretato dal grande Jeff Bridges ) è il protagonista di questa storia, ma chiamatelo “Drugo o Drugantibus o Drughino se siete di quelli che mettono il diminutivo alla fine “. Drugo è un ex hippy sessantottino , è disoccupato e passa il tempo a giocare a bowling in compagnia di due amici e del suo immancabile White Russian . Così quella disegnata il film sembrerebbe già interessante, seppur statico, ma basta un semplice scambio di identità per smuoverlo e farlo rotolare come la palla di rovi che apre il film o come da bowling che lo accompagna.
Uno scambio di persona che costerà però caro all’eroe di questa storia, al quale verrà fatta pipì sul tappeto, anche se il “caro” a cui ci si riferisce non ha a che vedere con i soldi, Drugo non è avaro, ma «al tono che quel tappeto dava all’ambiente».
Lebowski si recherà dunque dal suo omonimo, un magnate reduce di guerra, con l’unico scopo di farsi rimborsare della perdita, finendo però invischiato come corriere di un ingente somma di denaro che il magnate, costretto su una sedia a rotelle, deve pagare per riavere la sua giovane moglie rapita.
Il mondo non ha senso, dunque perché preoccuparsi?
La trama si presenta quasi come un thriller dalle tinte noir con ispirazione ai classici anni 40-50 di Humprey Bogart, e la relativa genesi di un investigatore privato alle prese con un caso più grande di lui. E non avremmo torto se la pensassimo in questo modo, tolto il fatto che nel grande Lebowski non è il “caso” investigativo a quasi sopraffare chi cerca invece di venirne a capo, ma è lo stesso “caso” del mondo in cui si svolgono le vicende del film.
Un mondo dettato dal caos, tanto caro alla cinematografia dei fratelli Coen, portato poi anche in scena in pellicole come Non è un paese per vecchi (2007) o A Serious Man (2009). Infatti, nel mondo de Il Grande Lebowski i macguffin servono solo a muovere i protagonisti da un luogo all’altro, non portando a nulla di concreto e le intuizioni più geniali, alle quali più volte assistiamo nel film, perdono di efficacia per via di motivazioni del tutto assurde e illogiche.
Si può dunque ben capire perché il protagonista scelga di condurre una vita simile, lontano da qualsivoglia responsabilità, guardando dall’alto chi invece cerca di ribellarsi a uno scorrere degli eventi dominato dalla casualità. È dunque un vero nichilista, lontano da ogni credenza o preoccupazione, che non sceglie però di seguire il nichilismo credendoci religiosamente, Drugo non sa nemmeno cosa significhi essere nichilisti, e questo perché non segue una filosofia di vita, bensì ha una vita filosofica.
L’ansia di vivere senza preoccupazioni
Eppure, i fratelli Coen ci mostrano attraverso un paio di sequenze oniriche surrealiste, come la pista onirica da bowling sulla quale si svolge la vita del Drugo, le cui scarpe per l’ingresso ci vengono servite da Saddam Hussein in persona, non tenga comunque lontani da ansie e complessi dovuti dal confronto con una società, che non vuole certo sostenere individui che scelgono di adeguarsi al caos del mondo.
Dunque, nei suoi sogni, forse più simili a trip d’acido, Lebowski diviene il protagonista di un mondo surreale, metafora dell’America dipinta dai Coen, capace di promettergli di raggiungere le stelle, di poter sfondare in tournée con i Metallica o di poter cambiare a Port Huron culturalmente il mondo, facendolo invece cadere violentemente a terra, e questo perché se nel primo caso «i Metallica sono una manica di stronzi», nel secondo «gli sbandati hanno perso».
Questa rovinosa caduta gli da però anche la possibilità di allontanare le illusioni, di prendere dunque questo mondo un po’ come viene e di diventare dunque il “grande” Lebowski. Ma anche quando la soluzione sembra essere trovata, il male sta già tramando dietro di lui, il sogno muta forma e diviene un incubo popolato da riferimenti fallici, che strizzando l’occhio all’evirazione, comunicano il suo timore di non essere completamente uomo, di perdere i suoi attributi, perché non conforme ad uno stile di vita riconosciuto dalla società.
Cos’è che rende un uomo un uomo?
Ma d’altronde «cos’è che rende un uomo un uomo?» Domanda a Drugo il magnate omonimo del protagonista, un altro “grande” Lebowski che differentemente dall’eroe di questa storia, non è “grande” perché ha compreso il senso della vita, ma è “grande” perché ha conseguito una vita di successi, i cui effetti sono stati solo, però, quelli di rimpinzare una fame di vanità che adesso, di fronte alla vecchia, a una moglie “trofeo da esibire” che non ne ricambia l’amore bensì il portafogli, appaiono del tutto privi di significato.
Allora «cos’è che rende un uomo un uomo?» Forse essere un uomo è «essere pronti a fare ciò che è più giusto», è questa l’unica massima che trova il disilluso omonimo del protagonista.
Una risposta che però viene, ben presto, spazzata via dal nichilismo di un mondo ancora più nichilista del protagonista stesso. Ricettacolo di personaggi locandine, un misto di seguaci del passato col trauma del Vietnam (da lodare l’interpretazione di John Goodman), fabbrica di inetti reazionari (David Huddleston), individui grotteschi che impiegano poco a puntare un’arma addosso agli altri, uomini che forse più che essere bollati come stupidi o poco svegli non hanno semplicemente la possibilità di esprimersi (si, mi riferisco al povero Donny di Steve Buscemi), e individui degni di essere memorabili perché spettacolarizzati e che non meriterebbero però molte attenzioni («Non si scherza con Jesus» vi ricorda qualcosa?).
Jeffrey Lebowski: un nuovo messia?
Idee e valori sono dunque luoghi comuni e il bowling è la sola costituzione sulla quale prestare giuramento. D’altronde il Drugo è il Drugo e forse non è davvero neanche un uomo, ma come vorrebbe il suo soprannome originale (Dude) solo un “tizio“, una personalità che abbracciando la libertà abbandona l’identificazione con qualcosa, persino con un nome, il bisogno di soldi, di un lavoro e tantomeno di una famiglia.
Sembrerà strano, ma proprio il suo essere slegato all’umanità, il suo essere vicino alla povertà, alla disoccupazione, al non volere figli, in aggiunta al mistero, o meglio alla non curanza nei confronti delle sue origini, lo rendono quasi simile ad una figura messianica.
E non a caso negli anni si è diffusa una vera e propria corrente filosofica culto della sua figura: il dudeismo il cui manifesto recita: “La vita è corta e complicata e nessuno sa cosa farci. Quindi non fare niente. Prendila con calma. Smettila di preoccuparti così tanto di come andrà a finire. Rilassati con qualche amico, e sia che l’orso ti mangi o che sia lui a mangiare te, fa solo del tuo meglio per rimanere te stesso“.
Non si scherza con Jesus
Drugo è dunque un messia, ma allo stesso tempo non è neanche l’ennesimo capostipite di un dogma da dover rispettare, perché in questo modo cadremmo nell’errore del dover obbedire a qualcosa, nel dover prendere seriamente la vita. Col Drugo invece si può sempre scherzare, anzi, si deve scherzare, mentre, beh, con altri messia, come ci insegna il grande Jesus Quintana (interpretato dall’indimenticabile John Turturro) è invece meglio prendere le cose seriamente, del resto «non si scherza con Jesus».
La parola d’ordine è dunque godersi la vita, nel rispetto del prossimo, condividendola solo con chi si crede possa accettarci per come siamo, cercando di vedere il bene in ogni cosa e negli altri.
Seguiamo dunque Drugo, d’altronde come ogni messia che si rispetti è un uomo che sa leggere il mondo per quello che è, e forse sa anche quale sia la risposta alla domanda tanto ripetuta nel film: «cos’è che rende un uomo un uomo?»
Semplicemente «un paio di testicoli».

Autore: Tommaso Corsetti
Nato nel 1999 e circondato dal mare, prima dell’isola d’Elba e poi della Sardegna, Tommaso dalle poltrone della sala, approda finalmente a quella davanti alla tastiera, per scrivere di ciò di cui ha sempre amato parlare: il cinema, in tutte le sue forme. Studente di filosofia e da poco in Radioeco, puoi trovarlo su instagram come @tomcorsetti_