Questa settimana la rubrica CinefiLife, grazie al supporto di RadioEco, volge alla scoperta del gelido pianeta Terra del mondo post-apocalittico di Snowpiercer, un film che nel 2013 ha mostrato al cinema internazionale l’interessante analisi anti-capitalista della nuova leva di cineasti sud-coreani.
Paragrafi dell’articolo:
- Dall’oriente con furore
- La trama
- Il treno come metafora del capitalismo
- Comunismo o nichilismo?
- Il treno come il “Leviatano” di Hobbes
- L’auspicio di un ritorno alla natura
- L’innocenza contro la freddezza della tecnica
- Conclusioni amare

Dall’oriente con furore
Bong Joon-oh è un nome che dal 2020 è nelle menti di tutti i cinefili grazie a Parasite (2019), la pellicola vincitrice del premio oscar come miglior film, che ha portato una ventata di nuovo interesse verso il cinema orientale. Eppure, il regista sudcoreano aveva già condiviso la sua visione al cinema americano, portando in scena una tra le più splendide trasposizioni derivate da un fumetto degli ultimi anni. Si tratta di Snowpiercer (2013) tratto dalla graphic novel Le Transperceneige di fantascienza post-apocalittica, ideato da Jacques Lob e Je an-Marc Rochette .
La trama
Ambientato in un futuro in cui il mondo, a causa degli esperimenti umani per fermare il surriscaldamento globale, è piombato in una nuova era glaciale, il film vede gli ultimi sopravvissuti dell’umanità confinati in un treno rompighiaccio, i cui vagoni rappresentano una vera piramide sociale, eretta sul più feroce classismo.
Frutto di tutto ciò sarà la cruenta rivoluzione guidata da Curtis Everett ( Chris Evans ), avente come unico scopo quello di invertire lo status quo che perdura da anni, e giungere dunque da Wilford ( Ed Harris ), l’onnipresente quanto misteriosa figura a capo del treno.
Il treno come metafora del capitalismo
Il viaggio del film è quello di una ascesa che comincia scavando nel fango, fino a giungere ai limiti più estremi del lusso, la dove l’abbondanza lascia posto solo al grottesco. È un’esperienza dantesca, che racconta la scalata verso un paradiso che, man mano, scoprendo gli abissi dell’interiorità umana, si rivela essere l’inferno.
Parte delle fondamenta dell’intreccio è dunque il tema della lotta di classe, motore per la storia di Karl Marx. Un concetto che riassume la contraddizione di una società che nello sviluppo incessante delle forze produttive, simboleggiato da un treno in costante movimento e che riunisce tutto il mondo in un’unica rete ferroviaria, quasi come una rete internet tangibile, aliena anche gli uomini trasformandoli in “risorse individuali” .
Così vediamo i passi avanti meravigliosi del progresso tecnologico, rappresentati dalla fantasia di Wilford, sin da bambino guidato da una passione per i treni, mortificata però da un utilizzo borghese, dal fatto che in questa società la tecnologia, come la stessa classe operaia o che dir si voglia la coda del treno, è solo un mezzo per produrre i profitti dei capitalisti.
Per Karl Marx questa contraddizione può essere spezzata da un sovvertimento del potere, da parte di mani che hanno la consapevolezza sia dell’ultimo vagone che della locomotiva, una rivoluzione comunista che permetterà dunque alla scienza e alla tecnologia sviluppi giganteschi a vantaggio dell’umanità, senza distinzione.

Comunismo o nichilismo?
Tuttavia il film mostra come il potere non dia spazio all’equità, non esiste uomo che non sarebbe tentato, dall’abbandonare il fango e vivere nella luce anche a discapito di chi invece nel fango deve rimanerci. La condizione del treno è di fatti retta da un sottile equilibrio che non riguarda solo la testa, ma anche la coda: ognuno ha una posizione prestabilita e la scalata sociale è impossibile onde evitare il caos, e se lo è, è spesso un’illusione, volta anch’essa a consentire di preservare un equilibrio sociale, che dal benessere di pochi, ricava la sofferenza di molti.
Il film critica un consumismo che, guidato dal sogno americano, spinge a pensare che lavorando di più, immettendo più carbone nelle caldaie della locomotiva del progresso, sia possibile riuscire un giorno ad abitare in testa, ma in realtà così facendo si alimenta solo il treno della disparità, perché il treno vede ai suoi passeggeri solo come “pezzi di ricambio” per la sua manutenzione.
È quindi dando alle classi sociali basse la speranza illusoria di una scalata, che è possibile tenerle a bada, e mantenere intatto questo mondo ingiusto, spingendo i poveri addirittura a combattere per esso e, nel peggiore dei casi tra loro stessi. L’unica soluzione non è dunque il cambiamento, perché il problema è alle radici, l’unica possibilità è la distruzione, il nichilismo.
È necessario uccidere ciò che l’uomo è diventato per consentire all’umanità di reinventarsi con premesse migliori. E questo perché l’umanità attuale, raccontata dal regista sud-coreano, anche nei suoi spiragli di bontà, nasconde sempre un lato oscuro.
Il treno come il “Leviatano” di Hobbes
Il film possiede, infatti, anche dei richiami al pensiero del filosofo britannico Thomas Hobbes, per il quale nello stato di natura gli esseri umani si ritrovano ad avere tutti quanti gli stessi diritti. Non esiste il male, non esiste il bene e per accaparrarsi le risorse, gli uomini, come del resto gli abitanti del treno, possono ingaggiare una guerra che vede tutti contro tutti: homo homini lupus, l’uomo è un lupo per ogni altro uomo .
Tuttavia, per Hobbes, gli esseri umani hanno un comune interesse ad arrestare la guerra, onde evitare un’esistenza che altrimenti sarebbe impegnata soltanto nel caos, così formano delle società, delle classi, dei vagoni, limitano la loro libertà, accettando delle regole che vengono fatte rispettare da un singolo essere, il “Leviatano“: una vorace creatura che inglobando le proprie vittime le riorganizza metaforicamente conservando un’armonia illusoria. Allora sotto questa lettura è possibile vedere la mostruosità del treno di Snowpiercer: un gigantesco serpente meccanico che divora per primo gli uomini prima che essi si divorino tra di loro.
L’auspicio di un ritorno alla natura
Eppure, se per Hobbes la natura è un concetto che avvicina a ciò che è primitivo, alla violenza, comunicando che lasciato a sé, l’uomo, non sia altro che un animale senza speranza, per Bong Joon-oh la speranza esiste, ed è la natura stessa dalla quale l’uomo si è allontanato, rinchiudendosi tra le mura di un treno, isolandosi tra i cavi di una tecnologia sempre più pervasiva.
Snowpiercer ci dice che è l’uomo, sotto la fredda tecnica dell’innovazione, ad essersi complicato la vita: partendola in classi, ragionando per compartimenti o, se vogliamo, scompartimenti. Non è il mondo ad essersi trasformato in un blocco di ghiaccio, ma è l’uomo ad essere diventato gelido, nel suo modo di vivere e vedere il mondo. Ogni cosa è vista ormai in virtù di uno scopo: le vite umane sono numeri da gestire e la natura è una dispensa piena di risorse.
L’innocenza contro la freddezza della tecnica
La speranza dunque risiede in una nuova umanità, nata dalle ceneri di quella attuale, la quale finirà inevitabilmente per annientarsi da sola. Questa nuova umanità è rappresentata nel film dai bambini, i quali hanno sempre un ruolo di rilievo: la rivoluzione nasce per ritrovare i figli di alcuni dei protagonisti della coda, rapiti da quelli della testa, una ricerca metafora del ritrovamento del nuovo punto di partenza per l’uomo: l’innocenza.
Del resto, è Yona (Go Ah-sung) ovvero la figlia di Nam (Song Kang-oh), l’ingegnere avente il compito di sbloccare le porte man mano che la rivoluzione procede di carrozza in carrozza, ad avere quasi una sorta di preveggenza: riesce a vedere il futuro, unico sprezzo di sovrannaturale nella pellicola, comunicando al padre i possibili pericoli che incontreranno. E questo perché Yona è il futuro, ovvero la possibilità data al genere umano di non ripetere i propri errori.

Conclusioni amare
Ciò che dunque possiamo imparare da Snowpiercer è che, come ha di recente affermato il regista sudcoreano, non sono gli esseri umani a star distruggendo il loro stesso habitat ma è la logica del consumo continuo, dello sfruttamento delle risorse, fino al loro esaurimento totale. È il capitalismo, questo sta uccidendo il nostro pianeta.

Autore: Tommaso Corsetti
Nato nel 1999 e circondato dal mare, prima dell’isola d’Elba e poi della Sardegna, Tommaso dalle poltrone della sala, approda finalmente a quella davanti alla tastiera, per scrivere di ciò di cui ha sempre amato parlare: il cinema, in tutte le sue forme. Studente di filosofia e da poco in Radioeco, puoi trovarlo su instagram come @tomcorsetti_