Born in UK, made in USA e fu così che negli anni ’70 il mondo ebbe anche la loro musica.

I Fleetwood Mac, originariamente gli inglesi Mick Fleetwood (batterista), John McVie (bassista), Peter Green e Jeremy Spencer (entrambi chitarristi), faticano a decollare, fino a quando la coppia statunitense formata da Lindsey Buckingham e Stevie Nicks, non appare come un profetico segnale. Così, dopo l’abbandono dei due chitarristi (Green e Spencer) è solo un gioco a incastri: la coppia americana, anch’essa con non troppi risultati alle spalle, si unisce al gruppo.
Fu così che, a seguito dell’uscita del primo album insieme del 1975, due anni dopo fu la volta di Rumours, destinato ad occupare per 31 settimane la prima posizione della Billboard 200. Nato nelle tensioni sentimentali dei membri del gruppo, rappresenta quel successo che non sopisce col tempo, proprio perché profondamente sincero. Fra tracce che raccontano turbinii emotivi di separazioni e amori perduti, la band sembra giocare di contrasti: nei testi più melanconici è la musica a supportare e ad essere viva; viceversa, quando la parola è piena di speranza, è il sound ad essere più nudo.
Il risultato è un racconto agrodolce e i Fleetwood Mac ci dicono in continuazione di guardare al risvolto della medaglia: quando le cose vanno male c’è pur sempre un filo (come suggerisce il testo della famosa The Chain), se non ci viene da sorridere va bene così e c’è pur sempre un domani (Don’t stop thinking about tomorrow/Don’t stop, it’ll soon be here celebre ritornello di Don’t Stop) e se ingenuamente pensiamo che nella vita accada una cosa alla volta, invece accadono tutte insieme (ricordando i versi della sognante Dreams).

È così che in questo 2022 nasce l’omonima rubrica musicale. Perché? Perché gran parte della bella musica che conosco mi è arrivata per caso, come un gossip che ancora non conosci e qualcuno ti propina. Così è stato per i Fleetwood: forse in macchina alla radio, forse me li ha fatti sentire qualcuno, ma di sicuro era The Chain. Traccia sette dell’album e sonorità che trascinano fino ad uno dei bridge più intensi di sempre in cui il basso è da solo e anticipa una tensione che scoppia e si distende fino alla fine del brano.
Possibile scenario di quando una canzone nuova ‘ti capita’: sei in macchina e la radio passa qualcosa che ti piace, magari sei in compagnia e magari quella compagnia canticchia allegramente e prima di aprire Shazam di nascosto e scoprire che forse è meglio non chiedere il titolo perché è famosissima ed è il caso che tu l’abbia ascoltata di già, ci pensi su e fingi di conoscerla, ricordandoti il ritornello a memoria per googlarla in solitudine. Oppure, scenario indubbiamente più sano, non ti fai tutti questi problemi e leggi gli articoli dell’area musicale di RadioEco per scoprire un po’ di artisti interessanti.
Per tutti coloro che, all’inizio di ogni mese, hanno voglia di un album che li accompagni e sono curiosi di conoscere la musica senza troppe pretese tecniche. Questa rubrica vuole essere un modo per appassionarsi e divertirsi insieme, approfondendo artisti lontani, vicini, nascosti, sconosciuti o già saputi. Orecchio teso, voce bassa, passaparola et voilà un po’ di rumours.
*Indizio: l’artista dell’album di febbraio, nel 2018, stava messo un po’ come noi. L’album parla chiaro.
Autore: Marika Zandanel

Ascolta un po’ di musica e le piace andare al cinema. Studentessa al corso magistrale di Filosofia e forme del sapere dell’Università di Pisa.