Bentornati a Meta Cinema, la rubrica di Radioeco a tema cinematografico!
Il Metacinema è il cinema che racconta il Cinema, che parla di sé stesso, dei propri mezzi e del proprio linguaggio. Meta Cinema nasce come rubrica che si impegna ad investigare nel grande universo della macchina da presa attraverso le recensioni dei suoi figli, i film. Per questa particolare occasione ho deciso di parlare della Notte degli Oscar. Ciak, si gira!
Domenica 25 aprile ha avuto luogo la 93esima edizione dei Premi Oscar, conosciuti anche con l’appellativo di Academy Awards. La cerimonia è stata posticipata di qualche mese a causa dell’emergenza sanitaria per la pandemia di COVID-19, della quale siamo tutti tristemente a conoscenza e, proprio per le dinamiche straordinarie in cui ci ritroviamo, la lista dei film in gara ha ospitato opere che sono state rilasciate nell’arco di due anni solari. Inoltre, ci sono state delle piccole modifiche nelle categorie: a partire dall’anno corrente si verifica il passaggio da 24 a 23 categorie, data l’unione dei premi al Miglior sonoro e al Miglior montaggio sonoro nella singola categoria Miglior sonoro. Soggetto a modifiche è stato anche l’ordine di chiamata dei premi, dove il tanto atteso Miglior film non è stato annunciato in conclusione dell’evento ma prima delle proclamazioni per il Miglior attore e attrice protagonista.

La tanto attesa “Notte degli Oscar” è stata la prima grande cerimonia in presenza dell’anno, rispetto alle varie premiazioni cinematografiche che si sono susseguite nei mesi passati e che si sono celebrate esclusivamente con eventi a distanza. Per rispettare le normi di sicurezza igienica, la serata si è consumata in due sedi differenti, quali lo storico Dolby Theatre di Los Angeles e la inedita Union Station della medesima città, ovvero un’ex caserma dei pompieri che per l’occasione si è trasformata nella casa del premio di cinema più ambito e antico al mondo. Seguendo la scia delle ultime due edizioni, anche la 93esima cerimonia di premiazione non ha avuto un presentatore ufficiale, bensì c’è stato un susseguirsi di star del cinema che si sono passate il testimone dell’annuncio di ciascun vincitore: sono apparsi davanti allo schermo Brad Pitt, Don Cheadle, Joaquin Phoenix, Renée Zellweger, Regina King, Harrison Ford, Bong Joon-Ho e tanti altri.

Rispetto all’edizione passata, non c’è stato un film in particolare a vincere la maggior parte dei premi, bensì si è verificata una premiazione “a spezzatino”, con statuette distribuite a quasi tutti i principali lungometraggi in corsa. Il film che si è presentato con più nominations è stato il metalinguistico “Mank” di David Fincher con ben 10 nominations (tra le quali è riuscito a conquistare la Miglior scenografia e la Miglior fotografia), mentre il più atteso e favorito era “Nomadland” di Chloé Zhao, che ha saputo rispettare le aspettative. Non si può non rimanere stupiti per l’uscita a mani vuote de “Il processo ai Chicago 7” di Sorkin – grande sconfitto della serata – e, nonostante la maggior parte dei pronostici si siano verificati, c’è stata qualche sorpresa.
Partiamo dalla grande protagonista degli Oscar 2021: Chloé Zhao. La 39enne di Pechino è la seconda donna della storia a vincere il premio per la Miglior regia e il Miglior film (solo Kathryn Bigelow c’era riuscita prima di lei con il film “The Hurt Locker” nel 2010) e la prima regista asiatica di sempre a riuscirci. “Nomadland” si è presentato agli Oscar come l’avversario da battere, pluripremiato ovunque e giudicato come un gioiello dagli addetti ai lavori, tanto che il trionfo nelle due categorie non ha sorpreso nessuno.
Altro discorso invece per quanto riguarda la vittoria di Frances McDormand per il premio alla Migliore interpretazione femminile nel ruolo di protagonista, vittoria tutt’altro che di facile previsione visto che nei festival precedenti le varie candidate si erano spartite le statuette. La McDormand riesce invece a superare le concorrenti e a centrare il terzo premio Oscar in carriera (dopo le vittorie per “Fargo” e “Tre manifesti a Ebbing, Missouri”), traguardo storicamente importante considerando che davanti alla moglie di Joel Coen rimane soltanto Katharine Hepburn per statuette conquistate (posizionata a quota quattro). Il successo dell’attrice è stata la classica ciliegina sulla torta, con una Chloé Zhao che ha esultato più qui che per le proprie conquiste, prima di lasciare la scena all’ultima vincitrice della serata che ha invitato il pubblico a guardare tutti i film candidati alla nottata, durante il personale discorso di ringraziamento.

Serata amara per Laura Pausini, che aveva accarezzato l’idea della doppietta dopo il successo ai Golden Globe ottenuto grazie al brano “Io sì (Seen)”, e per “Pinocchio” di Garrone, in corsa per i Migliori costumi e per il Miglior trucco e parrucco, ma incapace di ribaltare l’aspettativa nei confronti del favorito “Ma Rainey’s Black Bottom”, già vincitore del Costume Guild Award e del BAFTA. A conquistare la Miglior canzone è invece H.E.R., in gara per il film “Judas and the Black Messiah” con il pezzo “Fighting for you”.

Il film sulla vita di Fred Hampton si aggiudica inoltre un secondo riconoscimento, merito della prova attoriale -non protagonista- del britannico Daniel Kaluuya, nei panni del leader delle Pantere nere. Miglior attrice non protagonista va a Yoon Yeo-jeong per la sua prestazione nel film di Lee Isac Chung, “Minari“, nel quale ha saputo calarsi perfettamente prendendo le sembianze della nonna.
Ad ottenere la Miglior prova attoriale è stato invece Anthony Hopkins per la sua interpretazione in “The Father” di Florian Zeller, dove il protagonista risulta essere un padre affetto da demenza senile. Dopo la statuetta ottenuta circa vent’anni fa per il più che convincente Hannibal Lecter ne “Il silenzio degli innocenti”, Hopkins si ripete, diventando così il più anziano attore premiato per la categoria. Da sottolineare che il lungometraggio di Zeller è anch’esso giunto a quota due premi, dopo aver ottenuto a inizio serata il riconoscimento per la Miglior sceneggiatura non originale, scritta a quattro mani dal regista con il collega Christopher Hampton. La Miglior sceneggiatura originale se l’aggiudica, diversamente, la esordiente Emerald Fennell, sceneggiatrice e regista di “Una donna promettente“.
Nottata da ricordare per il film di animazione “Soul”, dato da tutti come l’avversario da battere – nei film di animazione – fin dallo scorso dicembre, quando ne cominciò la distribuzione mondiale. Pochi forse però si sarebbero aspettati che il film di Pete Docter avrebbe concesso pure il bis nella premiazione, conquistandosi la statuetta per la Miglior colonna sonora, in aggiunta alla categoria pura di appartenenza.

Più che scontato il trionfo di “Sound of Metal” nelle categorie di montaggio e sonoro, fiore all’occhiello sui quali il lungometraggio intero poggia. Altresì scontato l’Oscar per gli effetti speciali al film di Christopher Nolan “Tenet“, che, fin dall’annuncio della candidatura, aveva lasciato poco spazio ai dubbi.
A chiudere il quadro, una statuetta a testa per le opere di distribuzione Netflix “Colette“, “Two distant strangers“, “Se succede qualcosa, vi voglio bene” e “Il mio amico in fondo al mare“ rispettivamente nelle categorie Miglior corto documentario, cortometraggio, corto d’animazione e documentario dopo che ognuna di queste opere è stata accolta più che positivamente dalla critica e dal pubblico (in particolare “Il mio amico in fondo al mare”/ “My octopus teacher”, per la capacità del documentario ad aprire nuovi orizzonti di pensiero nello spettatore).
L’ultima statuetta da assegnare nell’articolo in questione è l’Oscar per il Miglior film straniero vinto dal cofondatore di Dogma 95 Thomas Vinterberg, regista di “Un altro giro“, film interpretato da Mads Mikkelsen. Il regista danese nel ringraziamento ha dedicato la vittoria alla giovane figlia Ida, deceduta pochi giorni prima l’inizio delle riprese, firmando il momento più toccante della serata. Il giorno seguente è stato Hopkins in collegamento dal Galles a ringraziare per il riconoscimento ottenuto, dedicando il premio allo scomparso Chadwick Boseman, che i più (mossi dai precedenti risultati ai festival di cinema) pensavano avrebbe vinto per la sua parte in “Ma Rainey’s Black Bottom”.

La 93esima edizione dei Premi Oscar ha avuto un peso notevole, nonostante non sia stata nulla di eccezionale, per non dire una nottata piuttosto noiosa: la cerimonia è stata per molti il primo passo verso un certo grado di normalità, una serata di spettacolo televisivo come non si vedeva da tempo. Si sta parlando di una quotidianità oggi perduta e di cui stiamo lentamente cercando di ritrovare le tracce, lavorando continuamente nei termini di sicurezza nei confronti del prossimo e agendo senza nuocere a nessuno. Per tale motivo quella del 25 aprile può esser stata una nottata molto gradevole e non conta chi ha vinto cosa (nonostante ci sia stato un alto grado di giustizia in fondo, almeno secondo un personale parere), ma che essa abbia avuto luogo, con il proposito che sia la prima di molte altre.

Autore: Andrea Vinci
Classe 1999. Studente di DISCO presso l’Università di Pisa. Fa parte di Radioeco dal 2020.