Nel corso del tempo, con il mutamento delle società e l’evoluzione delle arti, la figura di Satana, immagine per eccellenza dell’idea del male, è stata rappresentata in maniera diversa, fino a risultare ribaltata rispetto alle origini.
La tradizione prende vita, nel mondo occidentale, con la nascita del cristianesimo. Secondo la credenza, il diavolo, chiamato anche Satana, è l’entità malvagia assoluta, contrapposta a Dio e al bene. Nei secoli di maggiore influenza cristiana, in particolare nel Medioevo, i concetti di bene e male venivano indottrinati. Per il popolo non era semplice apprendere tutte le informazioni, data la mancanza d’istruzione e alfabetizzazione, perciò ci si affidava alle arti, in particolare alle iconografie, alle sculture. L’immagine di Satana veniva rappresentata come terrificante e disgustosa, con sembianze deformi, spesso bestiali, allo scopo di spaventare i fedeli e allontanarli dal peccato originale e dal male.

In letteratura, Dante Alighieri propone nella Divina Commedia una descrizione mostruosa dell’aspetto del diavolo nell’ultimo canto dell’Inferno.
Siamo nel nono cerchio, dove vengono puniti i traditori. Dante descrive il malvagio come un’enorme e orrenda creatura, dotata di tre facce su una sola testa e tre paia di ali di pipistrello. In ognuna delle tre bocche mastica con i denti un peccatore: Bruto e Cassio ai lati e Giuda al centro, i tre principali traditori della tradizione cristiana.
S’el fu sì bel com’elli è ora brutto,
e contra ’l suo fattore alzò le ciglia,
ben dee da lui proceder ogne lutto
Se egli fu tanto bello quanto ora è brutto, e nonostante questo osò ribellarsi al suo Creatore, è giusto che da lui derivi ogni male.
Dante rifacendosi a una tradizione medievale, identifica il diavolo in Lucifero, uno dei serafini, l’angelo più bello e luminoso; il nome stesso Lucifero significa portatore di luce. Egli si ribellò al volere di Dio e fu cacciato dal Cielo, precipitando nel profondo della terra, trasformandosi in un mostro malvagio. Lo colloca nel girone dei traditori proprio perché fu il primo dei traditori, sfidando il Creatore.

Anche Tasso, nell’opera La Gerusalemme liberata, descrive Plutone – questo è il nome che lui attribuisce a Satana – come un essere dall’aspetto terrificante e sgradevole, riprendendo ciò che aveva scritto Dante nella Divina Commedia. Gli occhi del diavolo sono rossi come il fuoco, ha una barba ispida e folta e la bocca, interamente ricoperta di sangue, è grande come una caverna.
Tuttavia, nel momento in cui prende la parola, qualcosa cambia.
Il IV canto del poema si apre con un’assemblea, il concilio dei demoni, convocati da Plutone, il quale, preoccupato per le sorti della guerra, rivolge ai sudditi del suo regno parole d’incitamento. Nel discorso, Satana ricorda con amarezza l’episodio della caduta dal cielo e con rabbia quello della resurrezione di Cristo, momento nel quale, tutte le anime che erano proprietà del suo regno, furono liberate e riportate in Cielo, lasciandolo in un regno vuoto e desolato. Satana fa appello alla gloria perduta, valorizzando il coraggio che lui e i suoi seguaci hanno avuto nello sfidare il potere più alto, nel ribellarsi a ciò che credevano fosse un’ingiustizia fatta nei loro confronti. Ecco che pian piano con il Tasso i confini tra bene e male si sfumano, si relativizzano. Plutone viene descritto come un rivoluzionario, che si ribella alla dittatura di Dio – che vuole avere tutte le anime per sé, nel suo regno – e lo sfida.
Ma che rinovo i miei dolor parlando?
Chi non ha già l’ingiurie nostre intese?
Ed in qual parte si trovò, né quando,
ch’egli cessasse da l’usate imprese?
Non piú déssi a l’antiche andar pensando,
pensar dobbiamo a le presenti offese.
Deh! non vedete omai com’egli tenti
tutte al suo culto richiamar le genti?
Canto IV Gerusalemme Liberata, 12
Questa immagine rievoca quella di vari uomini, personaggi della letteratura, che furono puniti per aver sfidato il volere di Dio, tra cui quelle di Ulisse e Prometeo, anch’egli rivoluzionario della tradizione classica, punito dalle divinità per aver rubato il fuoco dall’Olimpo, in favore dell’umanità e del progresso. Satana nella “Gerusalemme liberata” diventa simbolo del desiderio di riscatto, di rivalsa, dell’uomo nei confronti di Dio.

Esaltando quest’immagine dell’angelo caduto, gli artisti iniziano a modellare l’immagine di Satana e con essa, la percezione della figura stessa agli occhi di chi la guarda.
Il punto di rottura definitivo nella tradizione arriva nel 1667 quando John Milton, letterato inglese, pubblica il suo capolavoro Paradise Lost. Il poema epico racconta il mito della caduta degli angeli ribelli, la caduta di Adamo ed Eva davanti alle tentazioni maligne e spiega il conflitto tra la Provvidenza eterna e il libero arbitrio. Il protagonista dell’opera è proprio Satana e ciò che colpisce è il modo in cui viene descritto. Lucifero è la vittima, lo sconfitto, raffigurato come un reale dalla bellezza maledetta, decaduta.
Che importa se il campo è perduto? Non tutto / è perduto; la volontà indomabile, il disegno / della vendetta, l’odio immortale e il coraggio / di non sottomettersi mai, di non cedere: che altro / significa non essere sconfitti?
J.Milton, “Paradiso Perduto”, Libro I, vv. 105-109
L’ambiguità di questa nuova descrizione confonde il lettore, che prova una certa empatia nei confronti di colui che aveva sempre allontanato e visto con disprezzo. Un poeta anglosassone, William Blake, leggendo l’opera, affermò che Milton risultava essere schierato dalla parte del male senza volerlo, mentre un altro poeta, Friedrich Schiller, disse che il lettore si trovava in difficoltà, indirizzato a simpatizzare con il demonio. Satana diventa un eroe ribelle, forte, affascinante, simbolo della rivendicazione per la propria libertà individuale, allegoria degli echi rivoluzionari dell’Illuminismo che si stavano affermando tra gli intellettuali di quel periodo.
Nel corso del tempo, la figura del diavolo vista come profondamente umana, affascinante e ribelle, dal passato difficile e l’eco regale, non è scomparsa, è semplicemente mutata; come afferma uno dei più importanti esponenti della critica letteraria, Mario Pratz, nel suo saggio La carne, la morte e il diavolo. La ritroviamo per esempio nell’immagine di Mefistofele nel Faust di Goethe o del conte nel romanzo gotico di Dracula, di Bram Stoker o ancora nel bandito Innominato del romanzo cristiano di Alessandro Manzoni.

Oggi la raffigurazione del male, in campo artistico e non solo, ha risentito, come tutto ciò che ci circonda, della liquidità del tempo in cui viviamo. Tutte le etichette che hanno caratterizzato per secoli i vari aspetti della società stanno cadendo, miscelandosi tra loro. Nella società contemporanea potremmo usare una parola chiave per descrivere questo fenomeno: fluidità. Questo fa sì che in ambiti dove prima avveniva una netta polarizzazione – esempio la divisione tra il bene e il male, il brutto e il bello, il buono e il cattivo – ci sia ora un confine più labile, sfumato. I canoni classici risultano essere anacronistici, arretrati, rispetto al progresso e all’evoluzione della società, venendo perfino esasperati, tanto che oggi le distinzioni, le due parti, diventano un tutt’uno.

L’arte non è che la rappresentazione dell’uomo e di tutto ciò che lo circonda, quindi anche della società che egli stesso costruisce e di come questa muti nel tempo. Le raffigurazioni dei personaggi nella letteratura in particolare, ma anche nel cinema, nella musica, evadono dagli stereotipi, dai luoghi comuni, diventando più realistiche, cercando una maggiore attenzione all’individuo in quanto unico e quindi alla sua resa psicologica, alla sua storia, al suo trascorso.
Un po’ riprendendo l’idea del libero arbitrio già accennata con gli autori precedenti – specie con la formazione di una società contemporanea sempre più laica e quindi distaccata dalla dottrina religiosa – oggi c’è l’idea che l’individuo nasca come neutro, a differenza del Medioevo per esempio o in generale dell’idea più radicale del cristianesimo, secondo cui ciascuno nasce con l’attitudine a peccare, cosa da cui deve fuggire.

In letteratura questo si vede nel momento in cui il cattivo non è più malvagio poiché intrinsecamente incline al male, risulta malvagio poiché qualcosa nella sua storia lo ha cambiato, lo ha deviato. Descrivere questo processo di cambiamento, spiegare al lettore in qualche modo perché avviene, lo aiuta a comprendere il punto di vista del cattivo – lo storico diavolo – e a volte anche a giustificarlo e non solo.
Prendiamo ad esempio uno dei personaggi cattivi più apprezzato negli ultimi tempi: Joker, il più noto tra i nemici di Batman, descritto sia nel fumetto originale da Bill Finger, che nelle sue trasposizioni cinematografiche, in particolare cito l’ultima del regista Todd Phillips. Joker è malvagio, è un criminale che ha commesso delle atrocità inaudite, eppure, specie grazie alle ultime rappresentazioni in cui vengono maggiormente analizzate le sue origini, è ammirato dal pubblico, a volte anche maggiormente rispetto all’eroe protagonista.

Premessa doverosa da fare è che si tratta sempre di finzione, di lavoro d’immaginazione, spesso idealizzata e che comunque in questo tipo di opere tendenzialmente il cattivo viene sconfitto nel finale, per cui è sempre il bene a prevalere sul male; tuttavia estratto dal filo conduttore generale dell’intreccio, il Joker piace da un punto di vista intellettuale e ideologico. E’ il diavolo affascinante del passato, che porta con sé l’idea del ribelle, del rivoluzionario, ma non a un Dio, bensì alla moralità, all’etica, alla consuetudine. Viene visto come un modello di uomo che riesce a esprimere la propria diversità, che fugge dall’ordinario, dal “socialmente condiviso”, dal “politicamente corretto” e così facendo si fa portavoce del desiderio di volersi distinguere dalla massa di ciascuno di noi. L’antieroe, in qualche modo, diventa l’eroe dei contemporanei.

Autore: Martina Rizzo
Casa in Toscana, cuore in Puglia. Studia lettere all’università di Pisa. Porta sempre un libro in borsa e ha qualche problema con l’abuso di caffè. In Radioeco dal 2019. Cura con Rebecca Moggia, Mariaconsuelo Tiralongo e Tommaso Dal Monte la rubrica Eco di Libri.