“Diamo spazio ai giovani” è lo slogan più ripetuto nel dibattito pubblico e politico degli ultimi dieci anni. Capire cosa questo significhi veramente è ancora un miraggio lontano. Uno “spazio”, se così lo si vuol chiamare, in cui vediamo quotidianamente dei giovani è la televisione. Affermare che “i giovani” non siano presenti nel mezzo televisivo è una bugia: ma in che modo sono rappresentati? In che modo ci viene mostrata la gioventù di oggi? Qui abbiamo un problema.
Partiamo dal presupposto che, in un mondo ideale, questo articolo non dovrebbe esistere. Sentir parlare di “giovani”, “generazione Z”, “nuova generazione”, in contrasto alle “vecchie” generazioni, è inutile quanto fuorviante. Eppure, pare esserci un continuo paragone tra passato (che solitamente è sempre molto più roseo, migliore, felice) e presente.
Un presente in cui, a parte rari esempi visti come eccezioni, i giovani vengono rappresentati in una maniera distorta, lontana, molto spesso, dalla realtà. Questa immagine, ripetuta costantemente, è andata, piano piano, a costituire, nell’ideale collettivo delle persone, una concezione del giovane, tra i 16 e i 30 anni, completamente errata. Analizzare il rapporto tra le ultime generazioni e la televisione è difficile da poter riassumere, soprattutto perché si tratta di un discorso che va a toccare numerosi temi: dalla questione relativa all’uso e alla diffusione di altri media e piattaforme, a un’analisi dei format maggiormente diffusi, fino a un problema relativo al linguaggio.
Il mezzo televisivo contribuisce ad alimentare questa concezione del “giovane – superficiale – nulla facente” da più punti di vista: da un lato la maggior parte dei contenuti delle trasmissioni italiane presenta un linguaggio obsoleto, messaggi educativi medievali, poco spazio a nuovi format o sperimentazioni, trattando alcune tematiche con una narrazione distorta. D’altra parte, i ragazzi e le ragazze presenti in TV solitamente non hanno posizioni di rilievo all’interno del programma X o Y, rispondono a un preciso canone estetico (dal quale non sia mai sgarrare) e a dei ruoli definiti: non viene chiesto loro di esprimere opinioni su fatti legati al Paese, alla politica, alle relazioni internazionali, alla società, a niente di tutto ciò.

In questi format i giovani cercano l’amore per sempre, litigano fra loro, si mettono in mostra per conquistare il favore del pubblico per una manciata di follower in più. Certo, perché la relazione giovani più cellulare più social network è d’obbligo.
Nel caso dei talent il discorso è ancora più complesso. Qui vediamo la partecipazione di tanti giovanissimi pieni di sogni, che aspirano ad avere una carriera nel mondo della musica (o del ballo): eppure, nonostante i buoni propositi, ci troviamo davanti a un grande circo, dove tutto è centrale, fuorché l’arte. I ragazzi vengono usati fino a quando “servono”, fino a quando vendono e fanno ascolti per poi cadere nel dimenticatoio o partecipare a un reality, altro amatissimo genere. Per quest’ultimo mi riserverei ogni minimo sforzo di giudizio.

Fatta questa carrellata, è evidente come il problema non sia solo nel modo in cui “noi giovani” veniamo quotidianamente presentati nei maggiori programmi televisivi, ma ci sia anche una lacuna dal punto di vista autoriale. Lo si voglia ammettere o meno, nei canali principali troviamo gli stessi format (spesso con i medesimi ospiti o conduttrici e conduttori) da almeno vent’anni con lo stesso modus operandi: in tutto questo tempo ci sono stati dei cambiamenti molto rilevanti che hanno profondamente mutato, com’è ovvio che sia, i giovani.
Rivolgersi ai ragazzi di oggi e alle persone in generale con lo stesso linguaggio che, forse, andava bene nei primi anni Duemila è già un effettivo errore. Così va il mercato: perché cercare di rinnovare ripetutamente il palinsesto quando si può sempre andare avanti con gli stessi contenuti? Un ragionamento più sicuro.

Certamente sono presenti delle eccezioni, dei programmi con dell’ottimo potenziale o con una conduzione diversa dai soliti stereotipi (ma li possiamo trovare molto spesso in seconda serata, la mattina presto o nei canali “minori”). Sanremo 2021 è stato, nonostante numerosi “scivoloni” di stile imperdonabili, un’isola felice: finalmente, alla co-conduzione si sono viste personalità under 30, come Matilda De Angelis, che ha saputo dimostrare di essere versatile, spigliata e capace di reggere un palco, come quello dell’Ariston, in scioltezza.
Questo esempio a dimostrazione che non si dovrebbe “dare spazio ai giovani” in televisione in quanto tali o per dare maggiore “freschezza” a un format o per salire sul carro di un giovane amato dal pubblico (e con tanti follower). “Dare spazio ai giovani” non deve essere una concessione da parte di qualcuno dalle vette aziendali e televisive, “dare spazio ai giovani” è necessario perché se lo meritano, perché ne hanno capacità, perché saprebbero portare una nuova narrazione anche a un pubblico abituato alla solita minestra da molti anni. “Dare spazio ai giovani” perché, Matilda De Angelis docet, quando lo si fa nel modo corretto e reale questi non ci deludono.

Va anche detto che le ultime generazioni non se ne stanno in un angolo a piangere perché la televisione non le comprende, ma hanno saputo ritagliarsi un altro spazio grazie alle piattaforme messe a disposizione dal web. Dunque, invece di “condannare” i giovani perché usano i social media o YouTube, bisognerebbe chiedersi come mai lo fanno. Sempre meno adolescenti e giovani guardano la televisione solamente perché sono più affezionati ai social o perché vi trovano ancora una mentalità retrograda?
Negli ultimi anni, infatti, si sono sviluppate numerose community online, nate e gestite da under 30, capaci di sfatare molti tabù, di vivere su più social e mettere in luce questioni di cui nessuno parla nei media tradizionali.
Inoltre, YouTube, la piattaforma di condivisione video più nota, ha dato modo a molti ragazzi e ragazze di poter esprimere le loro idee liberamente, dibattere di ogni tema, intervistare personaggi più o meno noti con uno spirito sicuramente inclusivo. Questo lato di Internet, in mano praticamente ai giovani e giovanissimi, dà la possibilità di poter conoscere e confrontarsi con quella parte della gioventù che negli schermi televisivi non vediamo mai.

Prima o poi certi format cesseranno, il rapporto tra media differenti si evolverà ed è un peccato (uno spreco) pensare che ai giovani di oggi sarà concesso spazio solo grazie a un naturale cambio generazionale e non per merito.
Nel frattempo, continueremo a vedere la sagra del ridicolo e a chiederci fin dove è capace di arrivare un programma pur di scalare la vetta dell’audience, fino a che limiti si spingeranno dall’alto gli dèi dell’Olimpo di Mediaset o RAI mentre nel basso si svolge una guerra di Troia tra palinsesti per conquistare fino all’ultima fetta di pubblico e potremo decidere da che parte stare: se nel cavallo o dietro le mura, sapendo già come va a finire.

Autrice: Flora Alfiero
Ha una passione per l’arte, la Francia e i cappellini. In Radio ha creato la rubrica “Cafè de Flore”, uno spazio dedicato alle domande, all’arte e agli artisti emergenti. E’ a RadioEco dal 2019.