Eco di Libri – Dantedì: Dante e il canto XIII dell’Inferno

dante canto xiii

Nel 2020 il Consiglio dei ministri ha istituito il Dantedì, ovvero la Giornata nazionale dedicata a Dante Alighieri. La scelta è ricaduta sul 25 marzo perché, secondo gli studiosi, questa è la data in cui è iniziato il viaggio ultraterreno di Dante. L’edizione 2021 del Dantedì è molto significativa perché cade nel settecentesimo anniversario della morte di Dante (avvenuta nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321).

In occasione del Dantedì di quest’anno, Eco di Libri ha pensato di omaggiare Dante con un articolo sul XIII canto dell’Inferno, il canto della Selva dei Suicidi.


All’alba del 26 marzo 1300, Dante e Virgilio hanno raggiunto il II girone del VII cerchio, la zona dell’Inferno riservata ai violenti contro se stessi: fisicamente i suicidi, nel patrimonio gli scialacquatori. Dinnanzi ai due poeti si apre una selva inquietante i cui alberi, spogli, secchi e nodosi, hanno sembianze vagamente umane.

Non fronda verde, ma di color fosco;

non rami schietti, ma nodosi e ‘nvolti;

non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco.

Lamenti continui si elevano dagli alberi e il confuso Dante, su suggerimento di Virgilio, spezza il ramoscello di un albero. Dal fusto fuoriescono sangue e parole, e Dante, interdetto, assiste all’intercessione di Virgilio con l’empia anima, la quale, allettata da una promessa di risarcimento per il torto appena subito, prende la parola.

Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece

d’alcun’ammenda tua fama rinfreschi

nel mondo sù, dove tornar li lece”.

E ‘l tronco: “Sì col dolce dir madeschi,

ch’i’ non posso tacere; e noi non gravi

perch’io un poco a ragionar m’inveschi.

Gustave Doré, La Selva dei Suicidi

L’anima si presenta come Pier della Vigna, notaio fidato di Ferdinando II di Svevia. La sua posizione di privilegio nei confronti del sovrano attirò l’invidia degli altri funzionari. I cortigiani, consumati da rabbia e rivalità, convinsero Ferdinando II dell’infedeltà del notaio. Pier della Vigna, allora, convinto di poter in tal modo sfuggire allo sdegno dell’imperatore, si tolse la vita.

L’animo mio, per disdegnoso gusto,

credendo col morir fuggir disdegno,

ingiusto fece me contra me giusto.

Terminato il racconto, Pier della Vigna spiega che l’anima di ogni suicida precipita nella selva e germoglia, crescendo in un arbusto vessato dalle Arpie. Nel giorno del Giudizio Universale, le anime recupereranno i loro corpi ma non potranno riappropriarsene: li appenderanno ai rami degli alberi perché chi ha rinunciato al proprio corpo non ha il diritto di riaverlo.

Come l’altre verrem per nostre spoglie,

ma non però ch’alcuna sen rivesta,

ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.

Dopo la fugace apparizione di due scialacquatori (Lano da Siena e Jacopo da Sant’Andrea), il canto si conclude col racconto di un altro suicida, un anonimo fiorentino impiccatosi in casa propria.

La Commedia di Dante, grandioso poema politico-religioso, abbraccia la considerazione cristiana del suicidio. Il morto suicida è condannato a trascorrere l’eternità all’Inferno, indipendentemente dal movente dell’estremo gesto autolesionista. La dottrina cristiana, infatti, biasima il suicida perché, rinunciando alla vita, si commette un crimine nei confronti di Dio: privandosi della vita, si rifiuta il dono del Signore.

Riservando una zona dell’Inferno ai suicidi, Dante, uomo medievale, mostra di aderire a tale ideale cristiano, discostandosi però nella visione del futuro delle anime: secondo le Scritture, infatti, tutte le anime rientreranno in possesso dei loro corpi, suicidi inclusi. Nonostante ciò, nel poema è presente una figura suicida la cui anima non si trova nel II cerchio del VII girone, bensì sulle sponde del monte del Purgatorio: Catone l’Uticense.

Guillaume Guillon Lethière, “La morte di Catone l’Uticense”

Durante la guerra civile di Roma, Marco Porcio Catone Uticense, nemico di Cesare, si suicidò a Utica in seguito alla sconfitta nella battaglia di Tapso. Nel Medioevo Catone l’Uticense era considerato un martire della libertà politica e repubblicana, così come un illustre esempio di vita dignitosa e austera: per questi motivi, nonostante il suicidio, Dante lo colloca tra le anime di coloro che possono raggiungere il Paradiso.

Esiste dunque un movente “ammesso” dalla dottrina cristiana?

Ciò che distingue (ed eleva) Catone l’Uticense rispetto ai suicidi della Selva sono le rivendicazioni politiche tramandate dalla storia, le nobili ragioni avanzate come motivo del suicidio dell’Uticense. Pier della Vigna e l’anonimo fiorentino, di contro, hanno rinunciato alla propria vita per questioni personali, onde anomale nel loro microcosmo ma ragioni insignificanti se rapportate alla società.

Più che un esempio di movente ammesso, Catone l’Uticense rappresenta un caso di imperscrutabilità della giustizia divina. Nonostante esistano rigide leggi divine che regolano la vita del buon cristiano, non è possibile prevedere le azioni e le decisioni del giudizio divino.

Come dice Virgilio prima nel canto III e poi nel V (Inferno),

Vuolsi così colà dove si puote

ciò che si vuole, e più non dimandare.


Rebecca

Autore: Rebecca Moggia

Appassionata di scrittura e letteratura, spesso fa a pugni con la tavoletta grafica. Frequenta il corso di laurea magistrale in Editoria Digitale. Fa parte di RadioEco dal 2019. Cura con Martina Rizzo, Tommaso Dal Monte e Consuelo Tiralongo la rubrica Eco di Libri.

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