2020 Climate Wrapped: la raccolta sull’ambiente

radio ecologia logo

Ciao a tutti, mi chiamo Arianna, e questa è RadioEcologia, la rubrica dedicata all’ambiente di RadioEco.

Questo è il mio primo articolo, per questo ho deciso di parlare del 2020, un anno che riassume tutte le tematiche ambientali fondamentali, in un articolo che ha l’intenzione di far riflettere chiunque avrà voglia di arrivare fino in fondo.

Buona lettura!

L’inizio di fuoco

Il 2020 è quasi finito: è stato un anno pieno di sfide e catastrofi, così tante che lo scorso capodanno, in cui non c’era ancora una pandemia a livello globale e tutti festeggiavamo insieme, ci sembra quasi appartenere a un’altra vita. Ma arrivati alla conclusione, credo sia importante cercare di tirarne le somme e analizzare che cosa è successo. Dunque ecco che vi presento la 2020 Climate Wrapped.

Il 2020 è cominciato con un Gennaio infuocato… letteralmente!
Infatti da Giugno 2019 a Febbraio 2020 in Australia, sono nati degli incendi che hanno bruciato circa 17 milioni di ettari, distruggendo circa 6 mila edifici e uccidendo almeno 33 persone. 

La tragicità di questi incendi, però, è la durezza con cui hanno colpito gli esseri più fragili, ovvero la fauna e la flora e le persone a loro più connesse: i popoli aborigeni. Come riportato dalla rivista Il Tascabile, centinaia di migliaia di persone aborigene sono morte per proteggere la loro terra, la loro casa. Gli incendi che hanno messo in ginocchio l’Australia intera, hanno avuto un effetto così devastante sui popoli indigeni da poterlo paragonare a un secondo genocidio culturale. Insieme alla vita di queste persone, gli ultimi custodi di una cultura in via di estinzione, sono bruciati più di 10 milioni di ettari di foreste. Almeno 30 specie animali hanno perso più dell’80% del loro habitat, imboccando il cammino che porta inesorabilmente all’estinzione. Infatti si registra che almeno 3 miliardi di animali sono morti o sfollati a causa di questi incendi.

Questa catastrofe ecologica si inserisce in un quadro ambientale già complesso, in cui negli ultimi due secoli, a seguito della colonizzazione e della deforestazione massiva, l’Australia ha perso il 25% delle foreste pluviali, il 45% della savana. 
In Australia gli incendi sono abbastanza comuni e normalmente con l’innalzare delle temperature a causa del riscaldamento globale sono sempre più frequenti. Ma la portata così devastante di questi incendi non ha solo origine naturale, infatti la polizia australiana, a inizio gennaio 2020, ha arrestato 183 persone responsabili di 205 reati connessi agli incendi boschivi, tra cui 40 minorenni.

https://www.instagram.com/p/B7Crdd0gReF/?utm_source=ig_web_copy_link

Febbraio 2020 e l’inondazione in Indonesia

A Febbraio in Australia cessano gli incendi, ma in Indonesia si verifica una violenta inondazione che colpisce la capitale, Giacarta, causando la morte di 66 persone e lasciando 400 mila persone senza una dimora. Migliaia di edifici vengono sommersi assieme ad ogni mezzo di trasporto. Tutto questo a causa delle impressionanti quantità di acqua piovute che hanno determinato la rottura degli argini di più fiumi, facendo salire l’acqua fino a quasi 2 metri. Ogni anno gli alluvioni sono sempre più frequenti e violenti, costringendo globalmente 20 milioni di persone a migrare dopo aver perso tutto a causa di questi disastri ambientali.

L’Italia stessa è un Paese fortemente colpito dagli alluvioni ogni anno: solamente tra ottobre e novembre Piemonte, Liguria, Toscana, Sardegna e Calabria sono state colpite da questi disastri climatici che si presentavano una volta ogni 50 o 100 anni e che adesso si manifestano anche più volte nel corso di soli 10 anni.

La pandemia

A Gennaio e Febbraio abbiamo assistito a catastrofi naturali di portata gigantesca, dove elementi come acqua e fuoco hanno inondato intere città e distrutto tutto ciò che incontravano. A Marzo la catastrofe è stata nuovamente colossale, solo che stavolta era dovuta da qualcosa di piccolo, invisibile ad occhio nudo, ma altrettanto veloce a diffondersi, tanto da essere dichiarata ufficialmente una pandemia globale: ad oggi il virus Covid 19 ha portato a 67,6 milioni di casi e 1,54 milioni di decessi in tutto il mondo. Solo in Italia ci sono quasi 2 milioni di casi totali e più di 60 mila decessi. 

Ebbene, anche questo virus può essere ricondotto al cambiamento climatico in quanto entrambi sono alimentati dalle stesse azioni compiute dall’uomo: tra incendi, deforestazione e cementificazione del suolo, si riduce sempre di più la distanza tra animali selvatici e persone, uno dei fattori chiave che facilita il cosiddetto spillover, cioè quel “salto” di virus zoonotici all’uomo, come accaduto con il Covid 19. E questi virus saranno sempre più comuni fin quando l’uomo continuerà a trasformare gli habitat naturali. È infatti emerso che gli animali in via di estinzione a causa di caccia, commercio e declino dell’habitat hanno il doppio di probabilità di avere dei virus zoonotici rispetto a quelli le cui popolazioni declinano per altri motivi. Per un approfondimento sul tema, rimando all’articolo di Alessandra Pafumi “Perché le pandemie aumentano con bracconaggio e deforestazione“.

Un’altra causa che determina virus come il Covid 19, è il modo in cui è organizzata l’industria mondiale della carne: a partire dai wet market (cioè “mercati umidi”, termine che deriva dal pavimento scivoloso creato dal sangue e dalle viscere animali cadute a terra e dall’acqua usata per spazzarli via), fino agli allevamenti intensivi di animali sia da macello che da pelliccia. È recente infatti la notizia, riportata da Essere Animali, che in vari paesi Europei (Olanda, Danimarca, Svizzera, Spagna, Italia, Francia, Svezia, Grecia, Polonia, Lituania) e non solo (Russia, Stati Uniti, Isole Faroe), animali come i visoni hanno contratto il Covid 19 e di conseguenza hanno contagiato i lavoratori con il virus mutato, rischiando di diffondere un “nuovo” Covid 19 per cui i vaccini, le cui prime dosi sono state distribuite da poco, sarebbero inefficaci.

Dunque in Danimarca si sono già abbattuti 17 milioni di visoni, un massacro che si ripeterà anche in altri Paesi, come l’Italia in cui l’allevamento di Capralba, il più grande del paese, sopprimerà circa 28 mila animali, pari a quasi la metà dei visoni allevati per la pelliccia in tutta la nazione (qui trovi la petizione per vietare gli allevamenti di animali da pelliccia). 
Dunque gli allevamenti, per come sono oggi, sono un serio rischio per la sopravvivenza della specie umana, oltre che luoghi basati su metodi fortemente criticabili dal punto di vista etico e ambientale.

Nel report pubblicato il 6 luglio 2020 dalle Nazioni Unite, si riporta uno studio che dimostra come la frequenza con cui i microrganismi patogeni eseguono il salto di specie dagli animali agli esseri umani stanno aumentando, perché le attività umane legate alla produzione di cibo sono sempre più insostenibili. Le pandemie come il COVID-19 sono «prevedibili» e possono essere considerate «il risultato preannunciato del modo in cui la popolazione umana si procura e produce cibo, commercia e consuma animali e infine altera l’ambiente circostante»

Inoltre, come sottolinea Internazionale, l’uso di mascherine chirurgiche monouso, guanti protettivi e distributori di gel disinfettante come strumenti necessari per una prevenzione dell’infezione da Covid 19, ha comportato un aumento della spazzatura e quindi dell’inquinamento ambientale rilevato. Infatti tutti questi dispositivi di protezione monouso non sono riciclabili e finiscono inevitabilmente nelle discariche o inceneritori se conferiti correttamente nella raccolta differenziata, o peggio ancora dispersi nell’ambiente: l’intero pianeta è ormai inondato di rifiuti di plastica legati alla pandemia.

È difficile trovare dati precisi, ma secondo alcune stime il consumo di plastica monouso solamente negli Stati Uniti potrebbe essere aumentato del 250-300%. Sono numeri sconvolgenti, ma la protezione personale rappresenta solo una parte del problema: con il lockdown è avvenuto un boom del commercio online (e gran parte dei prodotti acquistati in rete è avvolta nella plastica, e del peggior tipo) e dei cibi pronti a domicilio (in cui ogni porzione viene conferita in contenitori di plastica).

Il covid-19 ha moltiplicato i rifiuti di plastica anche in altri modi. Per esempio, facendo crollare il prezzo del petrolio (il principale componente della maggior parte dei tipi di plastica i cui costi di produzione sono scesi) disincentivando le aziende a usare plastica riciclata. Ma l’aumento dei rifiuti di plastica è dovuto soprattutto al fatto che molte amministrazioni comunali hanno ridotto la raccolta differenziata che è stata limitata e gli impianti sono stati chiusi per evitare la diffusione del contagio. Infatti molti lavoratori del settore hanno paura che i rifiuti possano essere infetti, dato che il virus può sopravvivere sulla plastica per circa 72 ore. Tutto questo, sommato alla già preesistente crisi di inquinamento causato dalla plastica, crea problemi a lungo termine potenzialmente disastrosi quanto il virus stesso, ma probabilmente anche di più dato che coinvolge non solo la specie umana, ma l’intero pianeta. 

Aprile e le locuste

Ok, Gennaio, Febbraio e Marzo non sono stati proprio dei mesi facili, ma poi arriva Aprile, il mese in cui avvertiamo maggiormente la primavera, con il sole sempre più caldo e gli alberi che fioriscono, l’erba che cresce e gli insetti che rinascono.

Ed è stato così, ma anche questi avvenimenti possono portare catastrofi ambientali: infatti ad Aprile, in Africa orientale è avvenuta la peggiore invasione di locuste dell’ultimo secolo, che come avverte il FAO, mette a rischio la sicurezza alimentare di 25 milioni di persone.

A causa del cambiamento climatico, queste aree si sono trasformate in un “paradiso” per le locuste, che distruggono tutto ciò che incontrano, compreso le coltivazioni su cui si basa l’alimentazione di milioni di persone. La Fao ha lanciato una richiesta di 140 milioni di dollari di aiuti per contenere l’invasione, ma la richiesta si scontra con la necessità enorme di risorse mobilitate per combattere la pandemia di Coronavirus. 

L’estate 2020

Arriva Luglio e tutti vorremmo trovarci in qualche luogo paradisiaco come le Mauritius, ma non nel 2020: il 25 luglio il cargo giapponese Mv Wakashio s’incaglia nella barriera corallina a largo delle Mauritius riversando, dal 6 Agosto, circa mille tonnellate di petrolio nell’ambiente. Inutile dire che il prezzo verrà pagato dall’ambiente, dalla fauna e dalle comunità di persone che vivono in questo luogo, mentre la ricchissima compagnia petrolifera non si è mobilitata per cercare di limitare i danni e recuperare il relitto prima che venissero riversate tutte le tonnellate di petrolio nell’oceano.

Ci sarebbero molte altre cose di cui parlare, ma ci fermiamo ad Agosto, con un’altra ondata di incendi, stavolta in California. Anche qui il motivo della portata distruttrice di questi incendi è il cambiamento climatico e il surriscaldamento globale, infatti la Nasa fa notare che solo in questo Stato americano nel 2020 sono già avvenuti oltre 5.700 incendi che hanno colpito aree che si estendono per oltre 500 chilometri quadrati, cioè 4 volte il suolo bruciato nel 2019.

Oltre alle fiamme, preoccupano sempre di più anche gli effetti nocivi del fumo sulla salute. Il fumo, rilasciato dagli incendi di foreste, edifici, pneumatici, rifiuti, è infatti una miscela di particelle e sostanze chimiche contenente monossido di carbonio, anidride carbonica e particolato, e può contenere anche altre sostanze chimiche, come anidride solforosa, ossidi di azoto, benzene, toluene, stirene, metalli e diossine.

Conclusioni

Questo articolo che ricapitola dal punto di vista ambientale i momenti salienti del 2020, difficile e doloroso da leggere tanto quanto da scrivere, è arrivato alla conclusione e così anche quest’anno terribile. 

Il 2020 è anche l’anno in cui si è festeggiato il settantacinquesimo anniversario delle Nazioni Unite, depositare di uno degli accordi più importanti presi fino ad oggi: l’Accordo di Parigi del 12 Dicembre 2015. Questo è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici che impone di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali come obiettivo a lungo termine, puntando a limitare l’aumento a 1,5°C, dato che ciò ridurrebbe in misura significativa i rischi e gli impatti dei cambiamenti climatici

Nonostante ciò, nel 2020 i livelli di CO2 hanno raggiunto il record di 418,32 ppm (nonostante le emissioni ridotte a causa del lockdown globale) e la temperatura ha raggiunto gli 1,2°C sopra il livello pre-industriale (+1,5°C è la soglia critica di aumento di temperatura secondo quanto stabilito). A 5 anni dall’Accordo di Parigi nessuno dei 197 Paesi è in linea con gli obiettivi fissati.

Nel frattempo le tragedie climatiche continuano ad aumentare, le temperature ad alzare, lo scioglimento dei ghiacci registra uno dei livelli più allarmanti di sempre e, sempre nel 2020, abbiamo raggiunto l’ennesimo record in negativo per cui i materiali creati dall’uomo hanno superato la biomassa, ossia l’insieme di tutti gli esseri viventi presenti in natura, dagli animali a ogni vegetale presente sul pianeta terra (agli inizi del ‘900 la massa di oggetti prodotti dall’umanità rappresentava solamente il 3% rispetto alla biomassa). Se non basta questo a far comprendere quanto in pochissimi anni l’uomo abbia avuto un impatto distruttivo sull’ambiente, non so cosa potrà farlo.

Abbiamo visto che l’ambiente può guarire se glielo permettiamo. Ne sono un esempio i canali di Venezia nel corso del primo lockdown, dove si poteva notare un netto miglioramento della qualità dell’acqua e dove la fauna marina era tornata a vivere. Oppure nel Punjab (India) dove per la prima volta in 30 anni l’Himalaya era nuovamente visibile grazie ai livelli di inquinamento estremamente bassi durante il lockdown. 

Nel 2020 sono successe cose terribili, cose che gli scienziati avevano previsto e che quindi potevamo, forse non evitare, ma certamente rendere meno disastrose e farci trovare più preparati. Per questo è importante tirare le somme dell’anno che a breve ci lasceremo alle spalle.

Oggi più che mai è fondamentale evolverci, cambiando le nostre abitudini di consumo al fine di permettere alle generazioni più giovani di avere un futuro su questo pianeta, che, come abbiamo visto, può ancora guarire con il nostro aiuto. Bastano piccoli cambiamenti a fare la differenza, anche semplicemente informarsi può avere un grande impatto.

A tal proposito, vi lascio qui l’ultimo articolo della rubrica ambientale RadioEcologia di RadioEco.


Il cambiamento “sembra sempre impossibile, finché non viene fatto

Nelson Mandela

Autore: Arianna Armani

Studentessa di DISCO (Scienze della Comunicazione) all’Università di Pisa e blogger per RadioEco dal 2020

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *