Erano le ore 16.30 circa di venerdì 12 dicembre 1969. Nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura di Milano si stavano svolgendo per antica consuetudine le contrattazioni dei fittavoli, dei coltivatori diretti e dei vari imprenditori agricoli ivi convenuti dalla provincia per discutere i loro affari commerciali ed attendere al compimento delle operazioni bancarie presso gli sportelli, allorché improvvisamente vi echeggiava il fragore dell’esplosione di un ordigno di elevata potenza.
Ai primi accorsi da Piazza Fontana, che dà accesso al salone, l’interno della Banca offriva subito dopo un raccapricciante spettacolo: sul pavimento del salone, che recava al centro un ampio squarcio, giacevano, fra calcinacci e resti di suppellettili, vari corpi senza vita ed orrendamente mutilati, mentre persone sanguinanti urlavano il loro terrore.
panoramica dall’alto della Banca a seguito dell’esplosione
Così i giudici della Corte d’Assise di Cantanzaro, nella sentenza del 23 febbraio 1979 descrissero lo scenario di quella sera.
Tra le 16.55 e le 17.30, altre tre esplosioni si verificarono a Roma: una all’interno della Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio; una davanti l’Altare della Patria; una all’ingresso del Museo del Risorgimento. E una a Milano, scoperta e fatta esplodere dagli artificieri.
Da quel pomeriggio del 12 dicembre 1969 scaturì la “scintilla” della cosiddetta strategia della tensione, sancendo l’inizio degli anni di piombo, un periodo concentrato nell’arco di circa 10 anni caratterizzato da una serie di atti terroristici volti a disseminare terrore fra i cittadini (tra i più noti: la strage dell’Italicus, la strage di Piazza della Loggia e la strage di Bologna).
Il movente principale della strategia sarebbe stato quello di destabilizzare la situazione politica italiana o, in alternativa, attuare un colpo di stato da parte di forze politiche prettamente neofasciste e di estrema destra, come nel caso del Golpe Borghese.
Nonostante la maggior parte di reo-confesso e accuse interessarono quasi esclusivamente movimenti terroristici neofascisti, è giusto sottolineare che anche l’estrema sinistra non fu affatto estranea alle azioni di questi anni. Le Brigate Rosse, per esempio, furono un movimento di estrema sinistra che, ritenendo non conclusa la fase della Resistenza, tentò l’applicazione della dittatura proletaria attraverso azioni “guerrigliere” o politico-militari, adottando misure terroristiche contro chiunque secondo loro rappresentasse il potere.
Fonte: Adnkronos Fonte: Il Giornale
Decenni di inchieste giudiziarie e svariati processi non sono stati però sufficienti a trovare i mandanti ed esecutori della strage di Piazza Fontana, nonostante le indagini vennero avviate immediatamente in parallelo, a Roma, dove si occuparono in prima istruttoria della pista anarchica (Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, morto 3 giorni dopo in questura trattenuto in stato di fermo oltre il termine massimo consentito per legge), e a Milano, dove seguì la seconda istruttoria con atti relativi alla pista nera neofascista, con principali indagati Franco Freda e Giovanni Ventura.
A metà degli anni ‘90 emersero delle dichiarazioni circa la responsabilità di gruppi sovversivi dell’estrema destra e dei servizi segreti italiani e stranieri, animati dalla possibilità di instaurare uno stato di polizia permanente che rendesse impossibile una vita democratica nel nostro paese.
Nonostante l’inizio di un altro giudizio, conclusosi poi nel 2005, ci fu nuovamente la conferma da parte della Corte di Cassazione della sentenza di assoluzione per insufficienza o contraddittorietà delle prove (art. 530 comma 2 del Codice di procedura penale)*.
Tuttavia, sia le sentenze di primo e di secondo grado sia quella della Corte di Cassazione accertarono la riferibilità della strage di piazza Fontana alle strutture venete di Ordine Nuovo, con particolare attenzione circa il coinvolgimento dei primi imputati della pista nera, Franco Freda e Giovanni Ventura.
Non dimentichiamo che, in tutto questo via vai di informazioni e nomi, tra gli innocenti del terrorismo provocato in primis dalla strage di Piazza Fontana, non mancano casi sospetti di insabbiamenti e segreti di stato, come nel caso di Giuseppe Pinelli.
Giuseppe Pinelli
Con caso Pinelli, dunque, s’intende la misteriosa morte del ferroviere anarchico, scomparso la notte del 15 dicembre 1969, a seguito della strage di Piazza Fontana, nella quale si presupponeva fosse implicato. Le notizie che abbiamo a riguardo son ben poco chiarificatrici, in quanto i funzionari in carica quella notte ritrattarono le dichiarazioni più e più volte nel corso del processo, ricorrendo a dettagli spesso in contraddizione tra loro.
Questa serie di ritrattazioni furono il motivo per cui l’unica ipotesi e convinzione comune fu quella dell’omicidio, operato presumibilmente da uno o più degli agenti presenti in stanza, per il quale Lotta Continua accusò, diffamò e poi uccise il 17 maggio 1972 il commissario Luigi Calabresi, l’ennesimo innocente della strage.
Luigi Calabresi
Dal punto di vista legislativo, gli anni che seguirono la strage di piazza Fontana, furono caratterizzati da un duro inasprimento della legislazione penale, allo scopo di contrastare e combattere i fenomeni di terrorismo.
Tra le leggi più dure presenti, senza dubbio spicca la Legge Reale, caratterizzata da un’estensione della custodia preventiva anche in assenza di flagranza di reato (art. 3), l’uso vietato del casco e qualsiasi altro elemento che compromettesse il riconoscimento del cittadino in luoghi pubblici (art. 5) e l’uso legittimo delle armi da parte delle forze di polizia non solo in presenza di violenza ma anche solo per «impedire la consumazione dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di persona» (art. 14).
Nietzsche s’interrogò a lungo sul valore e il senso dell’indagine storica positiva, come tutti coloro che in fondo scelgono di accogliere e studiare il passato con uno sguardo scientifico, che permetta di convogliare tutte le verità, da quelle personali a quelle giudiziarie o storiche, in un unico quadro chiarificatore della nostra realtà.
Spesso però, questa nobile pretesa non nasconde altro che la nostra impotenza dinanzi a un determinato evento e il desiderio non solo di conoscerne le verità materiali quanto il senso; è questo che provai dopo aver scoperto solo la punta dell’iceberg di queste vicende, banalmente tramite la visione di un film, Romanzo di una strage, o quando uscì Sulla mia pelle, o ancora guardando Diaz – Don’t clean up this blood, alla fine del quale mi sentii anch’io le mani sporche di quel sangue.
Valerio Mastandrea, nei panni di Luigi Calabresi, in una scena del film “Romanzo di una strage”, subito dopo le esplosioni in piazza Fontana Pierfrancesco Favino, nei panni di Giuseppe Pinelli, in una scena del film ambientata nella questura di Milano al momento della custodia cautelare
Vi lascio con un estratto del comunicato stampa che Pier Paolo Pasolini pubblicò riguardo le vicende trattate e non solo, intitolato Che cos’è questo golpe? Io so., nel quale dichiarò di sapere i nomi dei responsabili delle stragi, dei potenti al vertici, ma di non avere né prove né indizi; l’intellettuale sa in quanto scrittore “che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace“.
A voi le riflessioni.
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Autore: Federica Viola
Fuorisede pugliese, studia Scienze Politiche presso l’Università di Pisa.
Fa parte di RadioEco dal 2019.