Il 1 Settembre 2020, diciotto pescatori che erano a bordo di due pescherecci provenienti da Mazara del Vallo, una cittadina situata nella Sicilia occidentale, sono stati fermati dalle autorità libiche a poche miglia dalle loro coste. Da quel giorno, i pescatori sono stati messi in stato di fermo e sono tutt’oggi tenuti in ostaggio a qualche chilometro da Bengasi, una città costiera ad est della Libia.
Nei confronti del gruppo di uomini a bordo delle navi, “Antartide” e “Medinea”, è stata mossa l’accusa di sconfinamento nelle acque libiche. Il codice della navigazione, infatti, fa riferimento al “mare territoriale”, riferendosi alle zone del mare che sono soggette alla sovranità di uno Stato, questa si estende per 12 miglia al largo dalla linea di base. Ciascuno Stato è però tenuto a consentire il passaggio di navi straniere, purché questo non comporti un rischio per l’ordine e la pace.
All’interno di tale definizione si differenzia poi quella di “zona contigua”, cioè la zona che va dalle 12 alle 24 miglia, in cui lo Stato esercita il controllo sulle navi straniere, onde evitare che queste possano commettere dei reati.
Con il governo Gheddafi la Libia aveva esteso la sua zona economica esclusiva, ovvero la porzione di mare in cui il paese ha il diritto esclusivo allo sfruttamento delle ricorse economiche, portando così alla estensione per 74 miglia della sua sovranità sul mare, decisione che però non è stata ratificata da nessun trattato internazionale. La situazione si è aggravata ulteriormente dopo la caduta di Gheddafi. Secondo le ricostruzioni, i pescherecci mazaresi si trovavano a 35 miglia dalla costa libica, portando Khalifa Haftar, generale a capo del cosiddetto “esercito nazionale libico”, ad intervenire, sostenendo che la pesca del gambero rosso in quelle acque non fosse consentita in quanto rientrava nella zona economica esclusiva della Libia.
L’accusa mossa ai pescatori siciliani si è aggravata ulteriormente, in quanto si è aggiunta quella di traffico di droga, la quale è arrivata dopo diversi giorni dal fermo degli uomini, rendendo ancora più instabile e pericolosa la situazione degli ostaggi.
I pescatori negano le accuse mosse dalle autorità libiche, accuse che però portano ulteriori pressioni nelle trattative in corso tra il governo italiano e quello libico. Il generale Haftar, infatti, ha fatto sapere che rilascerà gli ostaggi soltanto in cambio dei quattro cittadini libici che sono stati condannati a 30 anni di reclusione e che si trovano tutt’ora in Italia. I quattro uomini sono stati considerati responsabili della “strage di Ferragosto” avvenuta nel 2015, questi infatti avevano attraversato il canale di Sicilia con un imbarcazione su cui viaggiavano molti migranti. Durante la traversata questi quattro scafisti avevano percosso alcuni dei migranti per tenerli sottocoperta, ma la nave era affondata in prossimità delle coste siciliane, causando la morte per asfissia di 49 migranti che si trovavano nella stiva della imbarcazione.

Nelle ultime ore il sindaco di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci, ha lanciato un appello al Governo “non lasciateci soli”.
Il tema della sovranità delle acque, è stato molto spesso oggetto di dibattito e scontro, tra i vari paesi costieri che popolano il Mediterraneo. Non è infatti la prima volta che la Libia accusa lo sconfinamento di un’imbarcazione nelle proprie acque, tali accuse erano già state mosse contro dei pescherecci provenienti da Mazara del Vallo, le ultime si era avute nel 2018 e nel 2019.
La cosiddetta “guerra del pesce” va avanti ormai da decenni, ed ha portato inevitabilmente ad un aumento dei rischi per i pescherecci di Mazara del Vallo. Una guerra che si combatte ormai su due fronti: il primo in mare, il secondo a terra, a colpi di diplomazia.
Questa è soltanto una delle tante battaglie che fanno parte di questa “guerra” che ha caratterizzato, e continua a caratterizzare, la storia dei popoli del Mediterraneo.

Autore: Federica Tumbiolo
Classe 1995. Studia Giurisprudenza all’Università di Pisa. Fa parte di Radioeco dal 2019.