Giugno è il mese del Pride: un periodo in cui rivendicare e celebrare la propria identità LGBTQ+ pubblicamente e, per una volta, sentirsi legittimati. Per questo i tweet di J.K. Rowling, l’autrice di Harry Potter, non potevano arrivare in un momento meno opportuno. Mentre da noi si discute della legge sull’omotransfobia, diamo un’occhiata ai numeri e le parole della discriminazione. E a cosa c’entra tutto questo col Black Lives Matter
Qualche giorno fa, J.K. Rowling ha commentato il titolo di un articolo ridicolizzando l’uso della dizione “persone con le mestruazioni”.
La testata l’aveva deliberatamente usata per includere anche le persone che pur avendo le mestruazioni non si riconoscono come donne, come gli uomini transgender FtM (Female to Male) e gli individui non binari, e contemporaneamente non escludere dalla definizione di donna quelle che il ciclo non ce l’hanno, come le donne MtF (Male to Female) o cisgender con particolari condizioni fisiologiche o mediche.
Che significa “transgender”, “non binario”, “cisgender”? Cos’è l’identità di genere?
La Rowling quindi critica il mancato utilizzo del termine “donna”, perché secondo lei solo di donne, in presenza di un ciclo mestruale, si può parlare. Alle non nuove accuse di transfobia ha risposto pubblicando uno scritto, oltre a nuovi tweet, in cui giustifica la propria visione come semplice volontà di proteggere l’esperienza femminile.
Ma in che modo le persone transgender costituirebbero una minaccia per le donne, o meglio, le donne cisgender?
La storia delle TERFs, Trans Exclusionary Radical Feminists
Tutto risale alla seconda ondata del femminismo, quello scaturito dalle proteste del ’68: l’ondata della rivendicazione delle differenze tra femminile e maschile piuttosto che della loro uguaglianza.
Questa celebrazione delle peculiarità porta ad individuare nella pluralità dell’esperienza umana in primis, e delle correnti di pensiero in secundis, il punto di forza che sarà proprio del femminismo di terza e quarta ondata, quello attuale: il femminismo intersezionale, termine coniato dall’accademica e attivista nera Kimberlé Williams Crenshaw per identificare il sovrapporsi di varie identità e dinamiche sociali, e quindi delle relative discriminazioni, che vanno considerate come elementi comunicanti e non a compartimenti stagni.
Contemporaneamente si sviluppa una visione opposta, il femminismo separatista, o radicale, che invece identifica negli uomini sempre e comunque promulgatori del patriarcato senza possibilità di redenzione: la rivoluzione sociale è quindi un affare femminile che gli uomini possono solo sabotare, come scrive Germaine Greer nell’opera manifesto del movimento, L’eunuco femmina.

Gli uomini sono sempre, e per sempre, nemici. Per sempre: una volta nati con un pene si è segnati. Anche se non ci si riconosce come uomini: da qui l’avversione per le donne transgender.
Nel 1979 Janice Raymond, in Transsexual Empire: The making of the Shemale sostiene che il transessualismo dovrebbe essere “moralmente obliterato”, principalmente attraverso l’ostruzione dell’accesso alla transizione di genere. Su questo punto finisce quindi per non esserci differenza tra femministe radicali e conservatori: proprio a seguito di un nuovo scritto della Raymond l’amministrazione Reagan tagliò le assicurazioni coprenti le cure relative alla transizione.
Una delle argomentazioni ricorrenti delle TERFs è che le donne transgender, essendo “in realtà” uomini, vogliano passare come donne per appropriarsi dei loro spazi e molestarle. Un classico esempio è il tema dei bagni pubblici: secondo le TERFs, permettere alle donne transgender di accedere ai bagni femminili implica sottoporre donne e bambine a un potenziale predatore sessuale.
Questa stimolazione alla paura dello sconosciuto non è nulla di nuovo (vi ricordate di come Trump chiamasse gli immigrati messicani?), ma ignora completamente i dati, che da tempo indicano che le donne hanno molta più probabilità di venire stuprate da un conoscente che da un estraneo, e soprattutto, che le persone transgender stesse sono estremamente vulnerabili alla violenze.
I numeri della discriminazione
Il 2015 U.S. Transgender Survey ha evidenziato che quasi metà degli intervistati (48%) aveva subito, solo nell’anno passato, disparità di trattamento in luoghi pubblici e maltrattamenti verbali e/o fisici (9%) a causa della loro identità. Sempre poco meno della metà degli intervistati (47%) aveva subito violenze sessuali almeno una volta nella vita, e se gli studenti di qualunque genere sono soggetti a una maggiore probabilità di molestie, gli studenti transgender sono i più a rischio (21%, contro il 18% delle donne cis e il 4% degli uomini cis.)
Secondo uno studio da poco pubblicato sulla rivista ILR Review, le persone transgender hanno significativamente meno probabilità di trovare lavoro, il 90% di chi lo trova subisce discrimazioni o è costretto a nascondere la propria identità, e il 25% viene licenziato a causa del proprio genere. Anche per questo, come risultato dal report dell’anno scorso del Williams Institute, il 30% della popolazione trans vive in povertà, contro il 16% delle persone cisgender etero.
In Europa non siamo messi meglio: l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali ha pubblicato i risultati di una ricerca realizzata nel 2019 a cui ha partecipato un campione di circa 140 mila persone LGBTI – lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali – provenienti da 30 diversi paesi. Più della metà delle persone transgender intervistate sono state discriminate nell’ultimo anno, contro il 35,5% delle persone cis omosessuali, e sono anche più soggette ad aggressioni.
Il 41% della popolazione transgender ha tentato il suicidio almeno una volta nella vita — una frazione 25 volte superiore a quella della popolazione generale.
Ma c’è una categoria particolarmente vulnerabile, e di cui si parla ancora poco: le persone transgender nere.
Dove si intersecano transfobia e razzismo
Secondo un report del 2018 della National Coalition of Anti-Violence Programs, il 52% degli omicidi contro persone LGBTQ nel 2017 sono stati commessi verso persone transgender: di questi, il 40% è stato contro persone trans nere. Il 61% ha dovuto sopportare maltrattamenti verbali e fisici dalla polizia, e molteplici studi hanno mostrato una sproporzionata presenza di individui neri trans nei carceri minorili dovuta alla combinazione degli effetti di razzismo sistematico, discreminazione di genere e rigetto familiare.

Essere neri e transgender– contemporaneamente– comporta la sovrapposizione di due identità spesso difficilmente conciliabili. Quando la comunità nera non riconosce la tua dignità di genere, e la comunità LGBTQ risulta essenzialmente bianca, proprio chi dovrebbe far parte di entrambe rischia di non essere supportata da nessuna delle due.
Molti individui LGBTQ, ignorando che il Pride odierno si deve anche a una donna trans nera, si rifiutano di sostenere le lotte contro le questioni razziali, e la maggior parte delle donne trans nere vengono uccise da uomini cis neri.
Questo incrocio di discriminazioni ha effetti pesantissimi: l’aspettativa di vita di una persona transgender nera non supera i trentacinque anni.
Secondo Human Rights Campaign, nel 2020 almeno 14 transgender o persone gender non-conforming sono già state uccise. Nel 2019 sono state 26, di cui la maggior parte donne trans nere.
Solo la scorsa settimana due donne transgender nere sono morte nel giro di ventiquattro ore: Dominique “Rem’Mie” Fells è stata trovata il 9 giugno, mentre Riah Milton è morta in una rapina lo stesso giorno. Ma non sono le uniche: Tony McDade, un uomo trans nero, è stato ucciso dalla polizia due giorni dopo la morte di George Floyd.
Proprio per denunciare il tasso particolarmente elevato di violenza subita dalle persone nere trans, il 14 giugno più di 25 mila persone hanno marciato a Brooklyn lungo la Hollywood Walk of Fame, gridando «All Black Lives Matter»: le vite dei neri trans valgono tanto quelle dei neri cis, e meritano lo stesso rispetto, e indignazione, quando il rispetto nei loro confronti viene meno. La manifestazione è infatti nata anche come reazione alla decisione dell’amministrazione Trump di abolire le tutele introdotte da Obama contro le discriminazioni in campo sanitario: un modo singolare di segnare il giorno del quarto anniversario della strage di Orlando, quando 49 persone furono uccise in un gay bar.
Non possiamo sapere se la manifestazione abbia influito: quel che è certo è che il giorno dopo, lunedì 15, la Corte Suprema statunitense ha dichiarato illegale discriminare una persona sul posto di lavoro sulla base della sua identità di genere o orientamento sessuale.

È in questo contesto che qui in Italia, negli stessi giorni in cui a Napoli una donna transgender è stata aggredita e discriminata anche in ospedale, la CEI si dichiara contraria all’attuale proposta di legge sull’omolesbobitransfobia (il cui disegno unificato non è ancora stato depositato, ed è ferma alla Camera da due anni.) E non solo la CEI: il dibattito sulla legge implica anche quello sull’identità di genere, che vede la contrapposizione di due delle maggiori associazioni LGBTQ italiane.
ArciGay ha infatto accusato di transfobia e chiesto l’espulsione dall’Arci di ArciLesbica, a seguito del patrocinio concesso da quest’ultima alla Declaration on women’s sex-based rights, documento che “denuncia la discriminazione ai danni delle donne nel momento in cui il dualismo maschile e femminile viene sostituito da un linguaggio centrato sull’identità di genere.”
E così rieccoci al punto di partenza: il femminismo radicale delle TERFs, della Rowling. Che, come tutte le TERFs, rigetta questa denominazione. Le TERFs preferiscono infatti chiamarsi gender critical, critiche del genere: l’identità di genere sarebbe solo un’ideologia senza fondamenta nella realtà, rappresentata dal sesso biologico. Pertanto, se non coincidono, sarebbe perché gli uomini trans sono solo lesbiche vittime del patriarcato che vogliono allontanarsi dalla loro femminilità, e le donne trans uomini che vogliono esercitare il loro potere anche negli spazi delle donne.
Nonostante l’identità di genere sia in realtà un concetto dislocato dal sesso assegnato alla nascita, e quindi non lo neghi (probabilmente nessuno più delle persone transgender è conscio del proprio sesso biologico), su questa presunta pretesa “ascientifica” si basa buona parte del femminismo radicale.
«Non è odio dire la verità» tweetta la Rowling. O, come dicono molte critiche del genere, “la biologia non è bigottismo.”
Eppure l’uso della biologia come giustificazione del bigottismo esiste da quando esiste la biologia. E quasi tutte le minoranze lo hanno sperimentato sulla loro pelle: basti pensare all’eugenetica nazista, o a come Darwin fosse convinto che la sua teoria dell’evoluzione dimostrasse l’inferiorità intellettuale delle donne, così come il razzismo scientifico sanciva l’inferiorità intellettuale dei neri, giustificandone la schiavitù.
L’ostilità verso l’esistenza di una categoria di persone ha sempre bisogno di una copertura razionale per legittimarsi. Ed è per questo che le TERFs si chiamano gender critical e i suprematisti bianchi “realisti della razza”: la pretesa di razionalità passa anche, e soprattutto, per le parole.
Il motivo per cui i tweet della Rowling rappresentano un case study di particolare rilevanza è che è una scrittrice: quindi sa come usare le parole per esprimere comprensione, ma implicare sospetto; dichiarare supporto, ma sottindendere disgusto; suggerire senza dire: che è la cosa più importante, nei romanzi come nella propaganda.

Autrice: Alison Haughton
Alison studia Scienze Biologiche all’Università di Pisa e davvero non le dà fastidio se pronunci male il suo nome, ha un quadernino su cui si annota le versioni migliori. Fa parte di RadioEco dal 2019.
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